Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/06/2017 Scarica PDF

I finanziamenti dei soci tra postergazione e azioni revocatorie

Pietro Gobio Casali, Avvocato in Mantova


1. Conferimenti, versamenti anomali e finanziamenti dei soci. – 2. La postergazione dei finanziamenti ex art. 2467 c.c. – 3. Le revocatorie del rimborso dei finanziamenti. 4. Le altre azioni a tutela dei creditori.


     

1. Conferimenti, versamenti anomali e finanziamenti soci

Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2247 c.c.).

L’apporto fisiologico dei soci avviene appunto attraverso i conferimenti, che vanno a comporre il capitale di rischio (artt. 2253, 2342, 2464 c.c.). Questi costituiscono i contributi destinati alla formazione del patrimonio della società e nel bilancio rientrano nella voce “capitale”, venendo indicati al passivo dello stato patrimoniale quale debito di restituzione della società ai soci (art. 2424 c.c.)[1].

Nel corso della sua vita la società di capitali può acquisire nuovi conferimenti tramite l’aumento di capitale a pagamento, che avviene attraverso un procedimento formale che comporta la modifica dello statuto (art. 2436 ss. c.c.; art. 2480 ss. c.c.).

Talvolta però i soci, senza procedere ad una formale modifica del capitale sociale, effettuano versamenti in conto capitale o a copertura di perdite, al fine di incrementare il patrimonio o di costituire un fondo per ripianarle. Si può trattare di apporti in vista di un futuro aumento di capitale oppure a fondo perduto.

Tali operazioni vincolano delle somme al rafforzamento del patrimonio sociale, incrementando i c.d. mezzi propri, senza dover provvedere nell’immediato ad un aumento formale del capitale; oppure fronteggiano situazioni difficili che hanno eroso il capitale, senza dover procedere (con gli inconvenienti, anche di immagine, che ne possono derivare) ad una sua riduzione ufficiale[2].

Per la giurisprudenza questi apporti anomali non sono equiparabili formalmente ai conferimenti e quindi non sono imputabili a capitale, ma vanno comunque ad incrementare il patrimonio netto, con la conseguenza che il socio non diviene un creditore che ne ha diritto alla restituzione durante la vita della società e prima della sua liquidazione[3].

Tali apporti vanno iscritti a bilancio tra le riserve[4] e si ricorda che nella nota integrativa “le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi” (art. 2427 n. 7 bis c.c.)[5].

Alcune volte invece i soci effettuano versamenti qualificabili come veri e propri finanziamenti (ad es. a titolo di mutuo), dando origine al ricorrente fenomeno delle società sottocapitalizzate, che si dotano di capitale di credito invece che alimentarsi naturalmente con mezzi propri.

In luogo dei conferimenti vengono così versate somme a prestito, per cui il socio assume la stessa posizione dei creditori sociali, potendo pretenderne la restituzione prima che la società giunga allo scioglimento e traslando così su di loro il rischio d’impresa derivante dalla prosecuzione dell’attività[6].

Nel passivo del bilancio è apposta prevista la voce “debiti verso soci per finanziamenti” (art. 2424 c.c.) e la nota integrativa deve indicare “i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori” (art. 2427 n. 19 bis c.c.)[7].

Non sempre è chiaro se il versamento costituisce un apporto di patrimonio di rischio (per il quale non c’è obbligo di restituzione) o un finanziamento (per il quale tale obbligo sussiste), così che nei casi incerti è necessaria un’interpretazione della volontà negoziale delle parti[8]. Se poi queste non effettuano un’espressa qualificazione, non è esaustiva la classificazione formale fatta nel bilancio, che può essere smentita da elementi ulteriori ricollegabili ai criteri di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 ss. c.c.)[9].

 

2. La postergazione dei finanziamenti ex art. 2467 c.c.

Per disincentivare il suddetto fenomeno della sottocapitalizzazione, la riforma del diritto societario del 2003 ha introdotto l’art. 2467 c.c., secondo cui “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori”. La postergazione dunque opera come condizione sospensiva dell’esigibilità del credito e implica la degradazione del socio a creditore “subchirografario”[10].

Il comma 2 dell’art. 2467 c.c. precisa che il principio vale solo per i finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati[11], che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

L’art. 2467 c.c. ha quindi come presupposto situazioni di difficoltà della società, nelle quali il prestito del socio – in luogo di un fisiologico conferimento – è alquanto sospetto e scorretto. Sennonché è arduo accertare quando sussistono i requisiti di legge, risultando vaghi indicatori come “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto” o “situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”[12].

Prevediamo che la loro precisazione avvenga soprattutto tramite una consulenza tecnica basata sugli indici di bilancio[13] e quindi su elementi di economia aziendale non sempre interpretabili univocamente. Del resto, se è vero che uno stato di insolvenza della società rientra certamente tra le condizioni indicate dalla norma, situazioni che lo precedono si pongono in una zona grigia in cui è difficile tracciare una linea di demarcazione.

Un ausilio a tal fine si può forse rinvenire nell’art. 2412 comma 1 c.c., che indica quale limite per l’emissione di obbligazioni il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili. Un altro ausilio si può forse rinvenire nell’art. 2545 quinquies comma 2 c.c., il quale in tema di cooperative stabilisce che possono essere distribuiti i dividendi e assegnate le riserve disponibili se il rapporto tra patrimonio netto e indebitamento complessivo è superiore ad un quarto.

Si tratta di indicazioni numeriche che potrebbero contribuire a delineare i contorni dell’art. 2467 comma 2 c.c., tanto più che gli amministratori necessitano di sapere con certezza quando devono sospendere i rimborsi, non volendo perdersi in complesse analisi degli indici di bilancio.

Sotto un altro profilo notiamo che l’art. 2467 c.c. non riferisce la regola della postergazione ad una fase particolare della vita della società per cui – ma il punto è controverso - dovrebbe valere sempre e non solo nel corso di una procedura concorsuale o di liquidazione volontaria ovvero durante un concorso esecutivo tra i creditori[14].

Trattasi di profilo fondamentale, che comporta notevoli riflessi pratici, come vedremo anche in seguito. In quest’ottica, se il prestito è avvenuto in situazioni patologiche, gli amministratori devono sospendere il rimborso ogni qual volta la società non sia dotata di mezzi propri sufficienti a garantire il pagamento degli altri creditori sociali[15].

Se poi in tale situazione (tutta da dimostrare) vi è lo stesso la restituzione, i creditori possono esercitare l’azione revocatoria, visto che la postergazione blocca l’esigibilità del credito, tanto che non si tratta più di debito (eventualmente) scaduto esente da revoca ex art. 2901 comma 3 c.c.[16]

Effettivamente talvolta i soci autori dei prestiti, non appena vedono compromesse le condizioni economiche della società, si affrettano a chiederne la rifusione, con l’effetto di ridurre il patrimonio sul quale i creditori potranno tentare la soddisfazione. Con l’aggravante che i terzi difficilmente vengono a sapere subito del rimborso, salvo il fatto che l’anno successivo nel bilancio la voce “debiti verso soci per finanziamenti” dovrebbe risultare modificata rispetto all’anno precedente.

D’altro canto estendere l’applicazione dell’art. 2467 c.c. al di fuori di una fase concorsuale significa attribuire agli amministratori un compito dai contorni incerti, anche perché le loro decisioni non devono basarsi solo sulla situazione attuale della società, ma pure su quella in cui fu erogato il finanziamento, ciò che li costringe ad un’analisi di dati risalenti nel tempo.

L’art. 2467 c.c. è dettato nell’ambito della società a responsabilità limitata, ma si discute se esprima un principio generale applicabile pure alla società per azioni[17]. In realtà è inverosimile che il legislatore si sia semplicemente dimenticato di estendere la regola alla s.p.a., data la sua importanza: appare allora ragionevole l’applicazione del brocardo ubi lex voluit dixit, pure considerando che dopo la riforma del diritto societario la s.r.l. costituisce una figura a sé stante rispetto alla s.p.a.[18] Tanto più che nella s.r.l. è maggiore e più frequente il rischio di sottocapitalizzazione.

D’altra parte è vero però che – ai sensi dell’art. 2497 quinquies c.c. – l’art. 2467 c.c. si applica ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (c.d. finanziamenti infragruppo). Ed i gruppi sono formati di solito da società per azioni, ciò che potrebbe accreditare l’opinione secondo cui la regola della postergazione andrebbe estesa a questo tipo societario.

 

3. Le revocatorie del rimborso dei finanziamenti

L’art. 2467 comma 1 c.c. stabilisce anche che il rimborso dei finanziamenti dei soci (effettuati in situazioni critiche) deve essere restituito se è avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società. Ciò determina la sua inefficacia automatica[19].

In caso di inerzia del socio si configura quindi per il curatore un’azione restitutoria vicina alla revocatoria fallimentare, senza però che egli debba provare la conoscenza dello stato d’insolvenza della società; e in effetti la posizione dell’accipiens fa pensare ad una consapevolezza della crisi, in quanto egli è membro dell’impresa.

Al curatore spetta tuttavia la dimostrazione che il finanziamento è avvenuto in presenza delle situazioni anomale sopra descritte (art. 2467 comma 2 c.c.), così che la prova può essere più difficile di quella della scientia decotionis[20]. Questa infatti riguarda un momento più vicino al fallimento e una situazione di crisi estrema; si basa poi su indici presuntivi tipizzati dalla giurisprudenza, tanto più che nella s.r.l. vi sono di solito pochi soci interessati alle vicende dell’impresa e dotati di ampi poteri informativi (art. 2476 comma 2 c.c.).

C’è poi il problema del rapporto tra l’azione ex art. 2467 c.c. e la revocatoria fallimentare ex art. 67 comma 2 l.f. in quanto, prescindendo dalla norma sulla postergazione, il rimborso del prestito dei soci può essere visto come il pagamento di un debito liquido ed esigibile. Per risolverlo possiamo ricorrere al principio di specialità tra norme, ma non pare scontato che sia quella del codice civile ad essere speciale rispetto a quella fallimentare[21].

L’azione ex art. 67 l.f. riguarda i pagamenti nei sei mesi antecedenti al fallimento, mentre quella ex art. 2467 c.c. si riferisce alle restituzioni nell’anno anteriore e non è agevole adottare il criterio di specialità, visto che ciascuna azione ha caratteristiche proprie: per la seconda rileva la situazione di crisi al momento del prestito (non del rimborso) e la crisi riguarda l’elemento oggettivo (non quello soggettivo); in più la seconda comporta l’inefficacia automatica del rimborso mentre la prima ha natura costitutiva.

Stante l’autonomia dell’azione ex art. 2467 c.c. ci pare allora che le due azioni concorrano, tanto che il curatore può promuovere la revocatoria ex art. 67 l.f. se il rimborso è avvenuto nel semestre anteriore al fallimento e se gli sembra agevole la prova della conoscenza dello stato d’insolvenza, a fronte della difficoltà di provare invece l’anomalia del finanziamento[22].

Se prima dell’anno – ed entro il biennio anteriore al fallimento - la società ha restituito il prestito anomalo, il curatore può esperire la revocatoria di diritto ex art. 65 l.f., relativa ai pagamenti di debiti che scadono dopo l’apertura della procedura concorsuale[23]. Si è detto infatti che la postergazione condiziona l’esigibilità del credito e l’art. 65 l.f. si applica ai crediti condizionali per i quali la condizione non si è verificata alla data del fallimento[24].

Se poi il finanziamento non prevede un termine di rimborso, potrebbe considerarsi effettuato a tempo indeterminato e quindi pure in questo caso sarebbe applicabile al rimborso la regola dell’inefficacia del pagamento di debito non scaduto, a prescindere dalla regola sulla postergazione[25].

Per l’anno anteriore al fallimento, a fronte dell’art. 65 l.f. il peso della regola fallimentare ex art. 2467 c.c. rischia di ridimensionarsi, posto che “il curatore potrebbe richiedere la revocatoria dei pagamenti effettuati a titolo di rimborso dei finanziamenti, in quanto aventi per oggetto crediti postergati e quindi non scaduti e con scadenza successiva al fallimento”[26]. Ma pure agendo in forza dell’art. 65 l.f. l’attore deve provare che il prestito avvenne nella situazione anomala descritta dall’art. 2467 comma 2, che ai fini dell’art. 65 l.f. deve permanere almeno sino alla data del rimborso[27].

Per i rimborsi risalenti a più di due anni prima del fallimento il curatore può esercitare la revocatoria ordinaria (art. 66 l.f.), dato che – come si è già osservato - la postergazione sospende l’esigibilità del credito[28]. In tal caso occorre la dimostrazione dei requisiti oggettivi e soggettivi dell’art. 2901 c.c., adattati alla sede fallimentare[29]. Lo status di insider del socio agevola la prova dell’elemento soggettivo, quantomeno ai sensi dell’art. 2727 c.c.; ma va dimostrata pure l’esistenza delle cause di postergazione indicate dall’art. 2467 comma 2 c.c.[30]

La restituzione del finanziamento costituisce certamente un pagamento anticipato se era previsto tra le parti un termine di rimborso che sarebbe scaduto dopo la dichiarazione di fallimento. In questa ipotesi si possono applicare gli artt. 65 e 66 l.f. tout court, senza affrontare la questione dell’anomalia del finanziamento: tralasciando la postergazione si tratta comunque di pagamento di debito non scaduto, così che non sorgono difficoltà di prova a carico della curatela[31].

Per chi ritiene riferibile l’art. 2467 c.c. solo ad una fase di concorso formale dei creditori, evidentemente solo nel caso di pagamento anticipato si possono applicare gli artt. 65 e 66 l.f.: al contrario prima di tale concorso – durante societate – la restituzione del finanziamento anomalo scaduto non andrebbe postergata e la società potrebbe effettuarla legittimamente, senza rischi di revoca.

Un esempio può chiarire la differenza: nel gennaio 2015 - in un momento di crisi non sfociato nella liquidazione della società - il socio presta denaro da restituirsi dopo 4 mesi e allo scadere (maggio 2015) la società lo rimborsa; se a febbraio 2016 questa fallisce, seguendo la tesi in esame il curatore non può agire ex art. 65 l.f., visto che a maggio 2015 il prestito era scaduto (nonostante ci fosse un creditore sociale). Se invece si pensa che la postergazione valga sempre quando c’è squilibrio nei debiti, la società – sebbene a gennaio 2015 non fosse in liquidazione – in maggio non poteva restituirlo (visto che c’era un creditore) e se ciò è avvenuto il curatore può far dichiarare inefficace il pagamento di un debito considerabile come non scaduto (se lo squilibrio si è protratto fino alla data del pagamento o forse del fallimento).

Sotto un altro aspetto si discute se le esenzioni dalla revocatoria di cui all’art. 67 comma 3 l.f. – in particolare quella dei pagamenti avvenuti in esecuzione di procedure concorsuali minori - possano riguardare la fattispecie disciplinata dall’art. 2467 c.c.: tutto sta nello stabilire se le forme di inefficacia disposte per i rimborsi dei prestiti possano inquadrarsi nell’azione revocatoria fallimentare e così beneficiare anche delle relative ipotesi di esenzione[32].

Sul punto la Cassazione ha optato per l’inapplicabilità dell’esenzione ai pagamenti avvenuti in esecuzione del concordato preventivo, limitandosi ad osservare che “la finalità della postergazione e l’obbligo della restituzione risulterebbero infatti frustrati qualora si consentisse nei loro confronti la esclusione della revocatoria”[33].

La Legge n. 122/2010 (integrata dalla Legge n. 134/2012) ha però introdotto l’art. 182 quater l.f. secondo cui, in deroga agli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., i crediti da finanziamenti dei soci erogati in funzione o in esecuzione di un concordato preventivo (o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato) sono prededucibili fino all’80% del loro ammontare[34]. Pertanto entro tale percentuale non c’è alcuna inefficacia, essendo anzi proiettati in un rango privilegiato onde stimolare il sostegno alle imprese in crisi, mentre per il restante 20% permane la postergazione.

Sempre in tema di concordato preventivo, prima della novella poc’anzi citata la giurisprudenza aveva peraltro precisato che, se il piano concordatario prevede il pagamento in percentuale dei creditori chirografari, proprio sulla base della regola della postergazione nulla sarà dovuto ai soci finanziatori[35].

   

4. Le altre azioni a tutela dei creditori

Per completezza dobbiamo aggiungere che in tema di finanziamento dei soci il panorama delle azioni a disposizione dei creditori – e quindi del curatore in caso di fallimento - può estendersi oltre la revocatoria.

Dato che ex art. 2467 c.c. il rimborso dei finanziamenti anomali non può avvenire prima della soddisfazione degli altri creditori, c’è chi lo inquadra come indebito oggettivo, così da configurare un’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c.[36]; inquadramento che si giustifica laddove si ritenga che l’azione ex art. 2467 c.c. abbia natura diversa dalla revocatoria[37].

Trattasi di tesi contestata da chi osserva che l’indebito presuppone un pagamento senza causa mentre qui, prima dell’anno anteriore al fallimento, i rimborsi non sono ripetibili[38]; peraltro l’art. 2033 c.c. riguarda tradizionalmente ipotesi peculiari di mancanza di titolo della prestazione[39], mentre qui il titolo valido c’è – seppur provvisoriamente inefficace - ed è costituito dal contratto di finanziamento[40]. Non manca tuttavia chi considera pagamento di un indebito quello di un credito sottoposto a condizione sospensiva[41].

Sotto un altro aspetto, se è vero che nella s.r.l. la società può esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori, il curatore può promuoverla perché essi hanno illegittimamente rimborsato il socio, violando la postergazione e l’obbligo di preservare il patrimonio sociale[42]. Il socio può essere responsabile in solido con loro, se ha autorizzato il compimento dell’atto (art. 2476 comma 7 c.c.)[43]. Ma anche sotto questi profili è decisivo stabilire se gli amministratori devono sospendere la restituzione pure in una fase in cui non c’è alcun concorso formale tra i creditori.

In definitiva, sia in merito all’azione di responsabilità, sia per quanto concerne le azioni restitutorie e revocatorie, l’ambito delle iniziative che creditori e curatore possono assumere dipende dall’ampiezza che si attribuisce ab origine alla regola della postergazione. Limitarla ad una fase di liquidazione del patrimonio sociale o di esecuzione collettiva significa, come si è visto, ridurre drasticamente la portata di tali azioni quando la società non si trova in questa fase, magari perché ne è stata ritardata l’apertura.

In più, seguendo questa opzione, i creditori verrebbero penalizzati ingiustamente nei casi in cui, pur versando la società in stato d’insolvenza, non venga dichiarato tempestivamente il fallimento o non possa essere dichiarato perché la s.r.l. non raggiunge le soglie di fallibilità enunciate dall’art. 1 l.f.

Ci sembra allora che sia il rischio d’insolvenza di per sé a determinare il concorso (potenziale) tra i creditori e a far scattare la postergazione[44].

È vero che, se l’art. 2467 c.c. è applicato nel modo più ampio, il socio - intenzionato a finanziare la società per risollevarla dalla crisi – potrebbe di fatto desistere, favorendo così lo stato d’insolvenza. Ma è vero altresì che egli deve fisiologicamente fornire apporti di capitale, non di credito.

Del resto la postergazione del rimborso dei conferimenti rispetto agli altri crediti rientra nella natura delle cose, senza che il socio possa trasferire sui terzi creditori il rischio d’impresa, assumendo il ruolo di finanziatore esterno.



[1] Cfr. ABRIANI, I conferimenti, in Le società per azioni, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, IV, 1, Padova, 2010, 125; COTTINO, Diritto societario, Padova, 2011, 503; G. FERRI, Diritto commerciale, Torino, 1976, 298. Invece per FERRARA – CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 246 (nt. 5), l’iscrizione al passivo del capitale non avviene per assicurare la restituzione dell’apporto spettante ai soci, bensì per impedirla prima del soddisfacimento dei creditori sociali; così di recente anche BUSI, Aumento del capitale nelle s.p.a. e nelle s.r.l., Milano, 2013, 7. In effetti in sede di liquidazione il credito dei soci per la restituzione dei conferimenti è postergato a quello dei terzi creditori della società: ex art. 2280 c.c. (per le società di persone) ed ex art. 2491 c.c. (per le società di capitali) i liquidatori non possono fare ripartizioni tra i soci finché non siano pagati i creditori o non siano accantonate le somme necessarie per soddisfarli. L’art. 2626 c.c. prevede poi una sanzione penale per gli amministratori che “fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamene, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli”.

[2] Così COTTINO, op. cit., 265. Sulle varie tipologie di versamento “fuori capitale” cfr. CENNI, I “versamenti fuori capitale” dei soci e la tutela dei creditori sociali, in Contr. e Impresa, 1995, 1110 ss.; BUSI, op. cit., 100 ss.

[3] Cfr. Cass., 13 agosto 2008, n. 21563, in Foro It., 2009, 6, 1829; Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, ivi, 7-8, 2244; Cass., 30 marzo 2007, n. 7980. In dottrina cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Torino, 2009, 507 ss.; GALGANO, Le società, Bologna, 2003, 384 ss.; per un riesame critico di questa impostazione COTTINO, op. cit., 268 ss.; G. FERRI, op. cit., 295 ss.

[4] Cfr. Cass., 9 dicembre 2015, n. 24861; GIUNTA – PISANI, Il bilancio, Santarcangelo di Romagna, 2008, 187; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., 508; ABRIANI, op. cit., 204. Per COTTINO, op. cit., 268, i versamenti a copertura di eventuali future perdite dovrebbero essere inseriti al passivo tra i fondi e non tra le riserve.

[5] A seguito del D.Lgs. n. 139/2015 questa indicazione non rientra più tra quelle che, ai sensi dell’art. 2435 bis c.c., devono essere inserite nella nota integrativa dei bilanci in forma abbreviata, che possono essere redatti dalle società di capitali più piccole. Osserva ABRIANI, op. cit., 210, che tramite detta indicazione i potenziali creditori possono ricostruire l’eventuale “personalizzazione” della riserva a favore di un determinato socio (origine della riserva), l’eventuale postergazione (condizione di utilizzo) e la possibile uscita dal patrimonio netto a favore del socio (distribuibilità).

[6] Cfr. FERRARA – CORSI, op. cit., 904, i quali rilevano altresì che i soci possono concordare un interesse che consente loro di prelevare somme senza formalizzare una distribuzione di utili, anzi abbattendoli anche a fini fiscali; BUSI, op. cit., 92 ss.

[7] A seguito del D.Lgs. n. 139/2015 pure quest’ultima indicazione non rientra più tra quelle che ex art. 2435 bis c.c., devono essere inserite nella nota integrativa dei bilanci in forma abbreviata. Per MAUGERI, voce Finanziamenti dei soci, in Il diritto, Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, VI, 438 ss., nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione gli amministratori devono indicare l’eventuale soggezione del finanziamento alla postergazione legale ex art. 2467 c.c., della quale parleremo tra poco.

[8] Così Cass., 31 marzo 2006, n. 7692, in Giust. Civ., 2007, 3, 668, secondo cui incombe al socio l’onere di dimostrare il titolo che giustifichi la restituzione prima dell’esito della liquidazione; Trib. Milano, 30 aprile 2007, in Giur. It., 2007, 2499, con nota di Cagnasso. In dottrina sul punto v. BUSI, op. cit., 115 ss.

[9] Cfr. in tal senso Trib. Nocera Inferiore, 23 febbraio 2007, in Giur. It., 2007, 2783, con nota di Fauceglia. Peraltro il dato formale potrebbe essere superato anche ove le parti qualifichino espressamente l’operazione: secondo App. Milano, 31 marzo 2003, in Giur. It., 2003, 1178, con nota di Spiotta, “per distinguere tra versamenti in conto capitale ed attribuzioni di denaro rientranti nello schema classico del mutuo non sono tanto importanti la denominazione usata dalle parti quanto soprattutto il modo con cui è stato concretamente attuato il rapporto, le finalità pratiche cui esso appare essere diretto e gli interessi che vi sono sottesi”. Nello stesso senso di recente Cass., 3 dicembre 2014, n. 25585.

[10] Parlano di condizione sospensiva dell’esigibilità del credito Trib. Milano, 11 novembre 2010, in Giur. Comm., 2012, 1, 123, con nota di Prestipino; M. CAMPOBASSO, Finanziamento del socio, in Banca, borsa, 2008, 4, 449 ss.; ABRIANI, op. cit., 213 (nel campo processuale il diritto “esigibile” di cui all’art. 474 c.p.c. è appunto quello non soggetto a termine o condizione: v. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2015, 40). Invece ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in Cod. Civ. Comm., diretto da Busnelli, Milano, 2010, 467, nega che la postergazione incida sull’esigibilità del credito visto che, come vedremo, l’obbligo di restituzione pare limitato all’anno anteriore al fallimento. Secondo PORTALE, I “finanziamenti” dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, 2003, 6, 663 ss., la postergazione comporta una riqualificazione forzata del prestito in conferimento. Per GALGANO, op. cit., 134, il denaro prestato subirà la stessa sorte di un apporto di capitale di rischio, giacché sarà rimborsato ai soci se e solo nella misura in cui residuerà qualcosa dopo il soddisfacimento degli altri creditori. Per un’analisi delle varie posizioni su questi aspetti cfr. PRESTI, Commento all’art. 2467 c.c., in Codice commentato delle s.r.l., diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, 112 ss. Un fugace accenno a questo profilo è contenuto in Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, cit., laddove incidentalmente si parla di “riqualificazione imperativa del prestito in prestito postergato”.

[11] L’espressione “in qualsiasi forma effettuati” consente di includere le garanzie dei soci, ad esempio in forma di fideiussione: v. GALGANO, op. cit., 134. ZANARONE, op. cit., 453, parla di “ogni atto il quale comporti un’attribuzione patrimoniale compatibile con l’obbligo di futuro rimborso della medesima”; nello stesso Trib. Milano, 4 giugno 2013, in Giur. Comm., 2015, 1, 160, con nota di Pedersoli.

[12] Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Giur. It., 2007, 2500, con nota di Cagnasso, ha affermato che “il criterio della ragionevolezza, utilizzato dal legislatore per individuare i finanziamenti dei soci postergati, comporta la necessità di tener conto della situazione della società al tempo del finanziamento confrontata con i comportamenti che nel mercato sarebbe ragionevole aspettarsi”. Ma l’affermazione ha il sapore di una tautologia ed è comunque eccessivamente vaga.

[13] PRESTI, op. cit., 111, nota che l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto evoca – nell’analisi di bilancio - l’indice di indipendenza finanziaria, dato dal rapporto tra patrimonio netto e totale delle attività; l’indice rivela quanta parte dell’attività è finanziata con mezzi propri e, per esclusione, la consistenza di quella finanziata da terzi. Per App. Milano, 18 aprile 2014, in Giur. Comm., 2015, 5, 997, con nota di Restuccia, “lo squilibrio non è eccessivo quando il rapporto fra la posizione di liquidità a breve termine (disponibilità liquide immediate e differite) e l'ammontare delle passività correnti è pari o di poco inferiore ad 1; lo squilibrio non è altresì eccessivo quando il rapporto tra patrimonio netto e capitale (proprio e di terzi) complessivamente acquisito è compreso nella media europea, attualmente attestata intorno al 70%”. Per Trib. Venezia, 14 aprile 2011, in www.ilcaso.it, 4814, “ai fini dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 2467 c.c., il cd. rapporto di indebitamento, costituito dal rapporto tra la somma complessiva delle fonti di finanziamento e l'ammontare dei mezzi propri, costituisce un indicatore significativo, che deve però essere confortato da ulteriori elementi probatori e valutato unitamente a questi. A tal fine occorre tenere in considerazione, innanzitutto, la struttura del debito. Incide in misura inferiore sullo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto la presenza di debito a medio-lungo termine rispetto ad una componente a breve termine, avvenendo, in tale ultima eventualità, che i finanziamenti erogati da terzi devono essere necessariamente utilizzati per pagare altri debiti di imminente scadenza e non per finanziare gli investimenti”.

[14] Così CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, V, 1, Padova, 2007, 109 ss.; MAUGERI, op. cit., 434; COTTINO, op. cit., 639. Per la tesi opposta v. IRRERA, sub art. 2467 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino e altri, Bologna, 2004, 1794; ZANARONE, op. cit., 467, il quale parla di “esecuzione forzata individuale o fallimento”; VITTONE, op. cit., 926. Per la tesi opposta v. anche Trib. Milano, 24 aprile 2007, cit., che parla di “liquidazione volontaria o concorsuale”. Trib. Milano, 10 gennaio 2011, in Giur. It., 2011, 574, parla invece di “concorso potenziale” tra i creditori ma àncora la postergazione ad una situazione di specifica crisi societaria, che consenta ai soci di traslare il rischio d’impresa sugli altri creditori. Per Trib. Milano, 15 dicembre 2014, in Giur. Comm., 2015, 6, 1389, con nota di Arcidiacono, i presupposti della postergazione sono individuati dall’art. 2467 in situazioni di rischio di insolvenza che possono manifestarsi anche in fase di start up.

[15] Cfr. ABRIANI, op. cit., 212 e 214; CAGNASSO, op. cit., 111; BUSI, op. cit., 141. Ma è lecito chiedersi se ciò debba avvenire solo in situazioni di vera e propria insolvenza e con quali criteri si possano identificare gli altri creditori (che potrebbero essere privi di titolo esecutivo e aver eseguito una prestazione contestata dagli amministratori). Sul primo punto Trib. Milano, 10 gennaio 2011, cit., ha ritenuto che “la condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. possa essere eccepita dagli amministratori nei confronti del socio finanziatore solo laddove il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società”. Sul secondo punto Trib. Milano, 13 marzo 2014, in juris data, ha affermato che “gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione al socio richiedente il rimborso del finanziamento laddove al momento del richiesto rimborso sussistano creditori ordinari (vale a dire creditori non soci, soggetti allo stesso vincolo) titolari di crediti scaduti e non soddisfatti o comunque non ancora scaduti”. MAUGERI, op. cit., 432, ritiene che la postergazione venga meno non solo quando tutti i creditori sono stati soddisfatti (o sono state accantonate le somme per soddisfarli), ma anche quando la società supera la crisi, così che il prestito cessa di assolvere una funzione “sostitutiva” del conferimento. La norma però non lo dice e in senso contrario si veda appunto ABRIANI, op. cit., 214.

[16] Cfr. CAMPOBASSO, op. cit., 450.

[17] In senso affermativo Cass., 7 luglio 2015, n. 14056, in Giur. It., 2016, 894, con nota di Cavaliere, con riguardo alla s.p.a. che, per le modeste dimensioni o per l’assetto dei rapporti sociali, presenti una struttura “chiusa”, analoga a quella tipica delle s.r.l; nello stesso senso PORTALE, op. cit., 681. In senso contrario VITTONE, Questioni in tema di postergazione dei finanziamenti soci, in Giur. Comm., 2006, I, 937 ss., il quale ritiene nondimeno che l’art. 2467 c.c. sia applicabile alle società di persone.

[18] Secondo M. STELLA RICHTER, Di alcune implicazioni sistematiche della introduzione di una nuova disciplina per le società a responsabilità limitata, in Giust. Civ., 2004, II, 15, “la tentazione da evitare è di continuare a pensare alla società a responsabilità limitata come a una variante della società per azioni (senza azioni, appunto) e quindi a ritenere innaturale che disposizioni (speciali) dettate per questa non vengano ripetute o richiamate per quella”. Il discorso potrebbe essere rovesciato, ritenendo naturale che disposizioni previste per la s.r.l. non valgano per la s.p.a.

[19] Cfr. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2014, 170; JORIO, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Il fallimento, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, 404.

[20] Lo rileva COTTINO, op. cit., 639; così pure JORIO, op. cit., 404. Trib. Biella, 17 giugno 2008, in Giur. Comm., 2010, 4, 717, ha precisato che la prova spetta alla parte che vuol far valere la sussistenza di tali situazioni. A quanto sembra MAUGERI, op. cit., 434, ritiene invece che al curatore non spetti questa prova per i rimborsi avvenuti entro l’anno dal fallimento. L’affermazione però lascia perplessi, in quanto il comma 2 dell’art. 2467 c.c. sembra riferirsi a tutti i profili del comma 1, compreso quello fallimentare.

[21] CAGNASSO, op. cit., 117, afferma che l’art. 2467 c.c. introduce un’ulteriore azione a favore del curatore, senza escludere l’utilizzabilità della “normale” revocatoria fallimentare; nello stesso senso v. l’ampia disamina di ESPOSITO, Il “sistema” delle reazioni revocatorie alla restituzione dei finanziamenti postergati, in Soc., 2006, 559 ss. Per ZANARONE, op. cit., 472, stante il carattere indiscriminato dell’obbligo di restituzione previsto dall’art. 2467 c.c., non è applicabile l’art. 67 comma 2 l.f., che subordina la revoca alla prova della scientia decotionis. Per GALGANO, op. cit., 454, i rimborsi antecedenti all’anno saranno soggetti al regime ordinario della revocatoria fallimentare (questa affermazione è però contenuta in uno scritto antecedente alla riforma del 2005 che ha dimezzato i termini dell’art. 67 l.f.).

[22] Così P. VELLA, Postergazione e finanziamenti societari nella crisi d’impresa, Milano, 2012, 139; ESPOSITO, op. cit., 566.

[23] Cfr. ESPOSITO, op. cit., 563 ss.; VITTONE, op. cit., 929; P. VELLA, op. cit., 139; M. CAMPOBASSO, op. cit., 452, il quale però parla solo di “rimborsi effettuati anticipatamente rispetto al termine di scadenza convenuto”.

[24] Così TEDESCHI, Gli atti pregiudizievoli ai creditori, in Tratt. Dir. Priv., diretto da Rescigno, 16, II, Torino, 2011,180; PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 391; GALLESIO PIUMA, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, II, in Commentario Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 2003, 158. Se è così, l’art. 65 si applica pure se il credito era scaduto.

[25] Così Trib. Napoli, 8 gennaio 2004, in Giur. Comm., 2005, II, 72, con nota di Galeotti Flori, in relazione ad una fattispecie antecedente alla riforma del diritto societario; cfr. anche Trib. Napoli, 13 dicembre 2001, in juris data; Trib. Catania, 15 gennaio 1987, in Giur. merito, 1987, 1168. Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 1817 c.c., in caso di mutuo per il quale non è fissato un termine per la restituzione, questo è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze. Più in generale si veda l’art. 1183 c.c. sul tempo dell’adempimento di una obbligazione.

[26] CAGNASSO, op. cit., 117. Si potrebbe però forse sostenere che l’art. 2467 c.c. si ponga in un rapporto di specialità rispetto all’art. 65 l.f. in relazione ai rimborsi avvenuti entro l’anno anteriore al fallimento.

[27] CAGNASSO, op. cit., 117, nota che il curatore dovrebbe dimostrare che le condizioni di squilibrio sussistevano sia al momento del finanziamento sia al momento del rimborso posto che, se la società fosse tornata in una situazione di equilibrio, la postergazione non sarebbe applicabile e quindi il credito sarebbe divenuto esigibile. Invece per ESPOSITO, op. cit., 565 ss. e P. VELLA, op. cit., 139, occorre la prova che la condizione di squilibrio che ha caratterizzato il momento del finanziamento si sia protratta sino alla data del fallimento, per dimostrare indirettamente la mancata scadenza dell’obbligazione di rimborso e quindi la sua inesigibilità.

[28] Cfr. VELLA, op. cit., 139; ESPOSITO, op. cit., 566; M. CAMPOBASSO, op. cit. Di base invece i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili non sarebbero impugnabili con la revocatoria ordinaria, ma solo con quella fallimentare: v. GUGLIELMUCCI, op. cit., 147.

[29] Sui presupposti della revocatoria ordinaria in sede fallimentare v. l’ampia disamina di TEDESCHI, op. cit., 272 ss.; GALLESIO PIUMA, op. cit., 254 ss.

[30] Per ESPOSITO, op. cit., 566, si può invocare l’applicazione dell’art. 2901 c.c. se la condizione di squilibrio ha accompagnato il finanziamento dal momento in cui è stato concesso a quello in cui è stato rimborsato, perdurando alla data della dichiarazione di fallimento; ma il curatore deve dimostrare pure i presupposti dell’art. 2901 c.c.

[31] V. appunto le sentenze citate alla nota 25; salvo ritenere che l’art. 2467 c.c. sia una norma speciale da applicarsi - per i rimborsi entro l’anno dal fallimento - anche se il prestito non era scaduto.

[32] Così BONFATTI – CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 190. In senso negativo CAGNASSO, op. cit., 114 (nt. 72); sul punto v. pure TEDESCHI, op. cit., 244 ss. La soluzione negativa si giustifica per il fatto che le esenzioni previste dall’art. 67 comma 3 l.f. si riferiscono appunto alla revocatoria disciplinata dall’art. 67 l.f.; l’inquadramento all’interno della revocatoria fallimentare non dovrebbe comunque condurre all’applicazione del regime di decadenza di cui all’art. 69 bis l.f., che si riferisce alle “azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione”.

[33] Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in Foro It., 2009, 9, 2370.

[34] Su questa innovazione si veda BONFATTI, I concordati preventivi di risanamento, in www.ilcaso.it, II, 228/2011.

[35] Cfr. Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, cit; Trib. Messina, 30 dicembre 2005, in Giur. It., 2006, 1635, con nota di Cagnasso.

[36] Cfr. PRESTI, op. cit., 118 ss.; M. CAMPOBASSO, op. cit., 450.

[37] MAUGERI, op. cit., 433, ritiene che l’inquadramento come azione di ripetizione si giustifichi in quanto l’azione ex art. 2467 c.c. ha natura restitutoria e non è riconducibile ad una revocatoria. Per evitare fraintendimenti bisogna però chiarire se l’azione di ripetizione si ritiene configurabile in generale, per il solo fatto che la postergazione sospende l’esigibilità della prestazione, o se si vuole semplicemente identificare come azione di ripetizione quella che il curatore può esercitare per i rimborsi avvenuti entro l’anno che precede il fallimento. Nel primo senso PRESTI, op. cit., 118 ss., secondo cui il rimborso extrannuale è soggetto a ripetizione se il curatore prova che, al momento del pagamento, la società era incapace di soddisfare regolarmente i creditori esterni, mentre il rimborso infrannuale comporta un’agevolazione probatoria.

[38] Così ZANARONE, op. cit., 471, il quale per questa ragione esclude la riconducibilità dell’azione in esame all’art. 2033 c.c. e riconduce l’azione ex art. 2467 c.c. ad una revocatoria ex lege simile a quella ex art. 65 l.f.

[39] Per una casistica di queste ipotesi cfr. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 1994, 795.

[40] Secondo PRESTIPINO, Finanziamenti dei soci nella s.r.l.: i presupposti di applicazione dell’art. 2467 c.c., in Giur. Comm., 2012, 1, 126 ss., nell’ambito della nozione di pagamento non dovuto, rilevante ai fini dell’art. 2033 c.c., non rientra il pagamento di un debito inesigibile, ma solo quello privo di una causa giustificativa.

[41] MOSCATI, La disciplina generale delle obbligazioni, Torino, 2012, 217: “il pagamento immediato di un credito sottoposto a condizione sospensiva è sicuramente il pagamento di un indebito, poiché il diritto di credito non esiste prima del verificarsi dell’evento dedotto in condizione. Prima di tale momento, la parte non è titolare di un diritto di credito, ma di una semplice aspettativa, per cui non potrebbe esigere la prestazione”. Nello stesso senso A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2015, 1131, in tema di indebito oggettivo osserva che “può ripetersi anche il pagamento di un debito esistente, ma sottoposto a condizione sospensiva”. Sul punto v. pure BRECCIA, Il pagamento dell’indebito, in Tratt. Dir. Priv., diretto da Rescigno, 9, Torino, 1999, 933.

[42] Cfr. Trib. Roma, 1 giugno 2016, in Giur. It., 2017, 115, con nota di Cagnasso; PRESTI, op. cit., 119; CAGNASSO, op. cit., 111. L’art. 2476 c.c. sancisce che l’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, mentre tace sulla legittimazione della società o dei creditori sociali. La tesi decisamente prevalente è però nel senso dell’ammissibilità dell’azione di responsabilità da parte della società e dei creditori e quindi del curatore: v. Cass. 26 agosto 2016, n. 17359; Trib. Napoli, 25 luglio 2013, in www.ilcaso.it, 9341; Trib. Milano, 18 gennaio 2011, Giur. It., 2011, 1313; Trib. Milano 30 ottobre 2008, in Giur. It., 2009, 647. In dottrina in questo senso AMBROSINI, Le azioni di responsabilità, in Il fallimento, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, 744 ss.; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., 581; COTTINO, op. cit., 660.

[43] Atto che per P. VELLA, op. cit., 132, potrebbe essere appunto la concessione del finanziamento anomalo; BUSI, op. cit., 142. Sui presupposti per l’applicazione dell’art. 2476 comma 7 c.c. v. FERRARA – CORSI, op. cit., 944 ss.; CAGNASSO, op. cit., 267 ss.

[44] Trib. Milano, 10 gennaio 2011, cit., e Trib. Milano, 11 novembre 2010, cit., parlano appunto di rischio d’insolvenza che determina un concorso potenziale tra i creditori.


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