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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/02/2017 Scarica PDF

Discrezionalità e motivazione nella concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto

Giuseppe D'Elia, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università degli Studi dell'Insubria. Avvocato cassazionista nel Foro di Milano


Sommario: 1. Il caso. - 2. Sulla nullità dell’ordinanza per omessa o apparente motivazione. - 3. Sulla revocabilità delle ordinanze che non concedono la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. - 4. La “intensità probatoria” degli elementi addotti dalle parti. - 5. Postilla.


     

1. Il caso

In un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo davanti al Tribunale di Bologna, il giudice rigetta la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto con la seguente motivazione: «ritenuto di non concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non sussistendo i presupposti per esercitare la facoltà di cui all’art. 648 c.p.c.»[1].

Il decreto ingiuntivo era stato concesso in favore dell’erede universale, per vocazione testamentaria, il quale in sede monitoria aveva documentato, producendo in atti la sequenza completa degli estratti conto, che tutte le rimesse attive, versate in un conto corrente bancario cointestato alla de cuius e al di lei fratello, provenivano esclusivamente dalla de cuius, così superando la presunzione di pari contitolarità di cui agli artt. 1298 e 1854 c.c. E, pertanto, il nipote, erede universale, aveva ottenuto ingiunzione di pagamento nei confronti dell’altro cointestatario per la restituzione delle somme dallo stesso prelevate dal conto medesimo, in quanto prive di causa; e ciò anche in ragione della circostanza che la de cuius, poco prima della cointestazione dei rapporti bancari, era stata accertata affetta da grave handicap cognitivo e relazionale. L’ingiunto, per contro, si opponeva, bensì ammettendo la esclusiva provenienza dalla de cuius del denaro e dei titoli depositati nei rapporti bancari cointestati, ma affermando altresì di essere donatario indiretto «di metà delle somme ivi depositate» in virtù della cointestazione stessa dei rapporti bancari medesimi.

Il provvedimento di non concessione della provvisoria esecuzione sollecita alcune riflessioni, non tanto nel merito, il che richiederebbe l’esposizione degli atti di causa, quanto con riguardo all’iter logico seguito dal giudicante e ai contenuti strutturali dell’ordinanza medesima, la quale, già a colpo d’occhio, si appalesa del tutto immotivata.

 

2. Sulla nullità dell’ordinanza per omessa o apparente motivazione

In attuazione dell’art. 111, comma 6, Cost., secondo cui «Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati», l’art. 134 c.p.c. dispone che anche «l’ordinanza è succintamente motivata»[2].

Tuttavia, l’ordinanza in commento, nella parte in cui respinge la richiesta di provvisoria esecuzione, limitandosi ad affermare «di non concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non sussistendo i presupposti per esercitare la facoltà di cui all’art. 648 c.p.c.», si appalesa priva di reale motivazione o, meglio, come sul dirsi, apparentemente motivata.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, «si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice»[3].

In virtù del suddetto consolidato orientamento, la Suprema Corte[4] ha cassato la seguente motivazione: «il Giudice di pace, esaminati gli atti e sentite le parti, accoglie solo in parte le ragioni del ricorrente, con particolare riferimento alla buona fede, ferma restando la validità dei provvedimenti contestati».

In altra pronuncia, la Suprema Corte ha cassato la mera parafrasi dell’articolo, perché motivazione apparente. In particolare, il Tribunale aveva rigettato l’eccezione di incapacità a testimoniare del teste [Sempronio] affermando semplicemente la «inesistenza nel [Sempronio] di un interesse concreto ed attuale alla lite». Secondo la Suprema Corte, «si tratta, in effetti, di una motivazione apparente, che si limita a parafrasare il disposto dell’art. 246 c.p.c., senza fornire alcuna spiegazione, ancorché succinta, del perché il [Sempronio] non avrebbe potuto partecipare al giudizio»[5].

In altra pronuncia, la Suprema Corte ha cassato una motivazione dalla quale «non emergono collegamenti puntuali con la fattispecie concreta che ne occupa ma enunciazione di generici princìpi di diritto»[6].

Ancora in altra pronuncia, la Suprema Corte ha cassato una ordinanza istruttoria per difetto di motivazione, così argomentando: «Ed infatti, qualsiasi provvedimento del giudice, anche se succintamente, dev’essere motivato e l’assenza assoluta di tale requisito è suscettibile di censura in sede di legittimità [...]. Orbene, sebbene nelle ordinanze istruttorie il requisito della motivazione non è previsto a pena di nullità, l’assenza di tale requisito comporta la nullità dell’atto stesso quando non sia possibile ricavare aliunde la ragionevolezza del provvedimento, risultando il medesimo, in ipotesi siffatta, indispensabile per il raggiungimento dello scopo»[7].

D’altro canto, verrebbe da chiedersi per che mai il giudice non dovrebbe motivare (o motivare solo in apparenza) i suoi provvedimenti. La motivazione, infatti, assolve alla duplice funzione, come s’è visto, non solo di far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ma anche di consentire un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice; dunque, una funzione preliminare non solo all’esperimento dei mezzi di gravame, quando previsti, ma altresì alla verifica del corretto e legittimo adempimento della funzione giurisdizionale.

Il provvedimento immotivato è sospetto, per ciò nullo. È sospetto perché l’omessa motivazione è indicativa di uno sviluppo patologico della funzione giurisdizionale[8] e forse, anche, di un «abuso» della funzione giurisdizionale[9]. Nella migliore delle ipotesi, infatti, il provvedimento è immotivato solo perché il giudice non ha tempo o voglia di motivare ovvero perché ritiene che la motivazione sia ricavabile aliunde, dagli atti di causa; ma, nella peggiore delle ipotesi, il provvedimento immotivato ingenera il sospetto che il giudice non sia capace di motivare, ora, perché non adeguatamente preparato all’esercizio della sua funzione[10], ora, perché impreparato sui fatti di causa. D’altro canto, il provvedimento immotivato può altresì ingenerare il non meno biasimevole sospetto che il giudice sia così inflessibile da perseverare con una decisione assunta di petto o di pancia, per quanto l’impossibilità di motivarla suoni chiaro indice della necessità di un ripensamento[11].

 

3. Sulla revocabilità delle ordinanze che non concedono la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c.

Si potrebbe, semmai, dubitare della esperibilità di un rimedio avverso le ordinanze, come quella in commento, che non concedono la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c.

Si tratta, com’è noto, di una annosa questione[12]. In effetti, l’art. 648 c.p.c. qualifica come «non impugnabile» esclusivamente l’ordinanza di concessione della provvisoria esecuzione, e non anche quella di diniego[13]; sicché solo per l’ordinanza concessiva si direbbe, ex art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c., che non sia modificabile né revocabile dal giudice che l’ha pronunciata[14].

Ma, la risposta più articolata ci è offerta dalla ricostruzione sistematica elaborata sul punto dalla Corte costituzionale, secondo cui «la norma censurata (art. 648 c.p.c.) mira manifestamente ad indurre “l’opponente – in sintonia, peraltro, con la peculiare diligenza impostagli dall’art. 647 c.p.c. – ad una particolare esaustività dell’atto di opposizione, e pertanto su di lui tendenzialmente trasferendo, quando l’apprezzamento delle sue ragioni non sia immediatamente delibabile ma richieda la trattazione della causa, l’onere della durata del processo di cognizione attraverso l’anticipazione del momento dell’efficacia rispetto a quello del pieno accertamento” (ord. n. 428 del 2002). Tale funzione della norma esclude – ha ritenuto questa Corte (sent. n. 65 del 1996) – che possa ritenersi manifestamente irragionevole una disciplina che “stabilizza”, fino all’esito del giudizio di opposizione, il provvedimento concessivo della provvisoria esecuzione»[15].

Insomma, la previsione dell’immutabilità, fino all’esito del giudizio di opposizione, del provvedimento concessivo della provvisoria esecuzione provoca una accelerazione del contraddittorio, sollecitando l’opponente a versare già nell’atto introduttivo tutte le sue possibili ragioni in modo esauriente, consentendo in limine litis una ragionevole previsione del giudizio finale.

Le ragioni di immutabilità, che derivano dalla funzione acceleratoria del provvedimento concessivo, sono invece del tutto insussistenti con riguardo al provvedimento di diniego, per il quale vale dunque la regola della precarietà, in virtù della quale le ordinanze sono sempre modificabili e revocabili in quanto non rientrino tra i casi tassativi per i quali ciò sia vietato dall’art. 177, comma 3, c.p.c.

Ma, in ogni caso, un provvedimento nullo, perché privo di motivazione, non merita il privilegio della non impugnabilità, in quanto incostituzionale per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. Infatti, in un datato precedente, la Suprema Corte ha espressamente riconosciuto al collegio la possibilità di controllare la legittimità dell’ordinanza pronunciata dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 648 c.p.c., «per annullarla, ove sia affetta da vizi che ne determinino la nullità»[16]; competenza evidentemente oggi rimessa – giusta l’art. 281-quater c.p.c. – allo stesso giudice istruttore designato nei procedimenti in composizione monocratica. Semmai, la circostanza che a doversi pronunciare sia la stessa persona-giudice che ha omesso il provvedimento impugnato riduce notevolmente le possibilità di successo dell’istanza.

 

4. La “intensità probatoria” degli elementi addotti dalle parti

Si è detto come l’annotata ordinanza abbia ritenuto di non concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto con la tautologica motivazione: «non sussistendo i presupposti per esercitare la facoltà di cui all’art. 648 c.p.c.».

L’evocazione del concetto di «facoltà» – soprattutto, se accompagnata dall’assenza di riferimenti puntuali al caso concreto – allude, evidentemente, alla estravagante idea che il giudice possa, appunto, valutare una mera opportunità, anziché esercitare un «potere discrezionale»[17], il quale si concreta, piuttosto, nella verifica e nella equilibrata ponderazione della sussistenza dei presupposti legali di concessione del provvedimento giurisdizionale o, per usare le nitide parole della Corte costituzionale, nello «scrutinare se la opposizione sia oppur no fondata su prova scritta o si profili oppur no di pronta soluzione»[18].

In effetti, nella sua versione originaria, l’art. 648 c.p.c. distingueva un «potere», al primo comma, da un «dovere», al secondo comma. Successivamente, la Corte costituzionale ha rimosso il dovere, sostituendolo con un più articolato «possa concederla sol dopo aver delibato gli elementi probatori di cui all’art. 648 comma primo»[19]. Ma, appunto, questa sostituzione del «possa» al «deve in ogni caso», avvenuta nel secondo comma, è stata talora tradotta un po’ troppo semplicisticamente nel senso che il giudice possegga, in questa materia, una «facoltà». Appare, invece, chiaro come la categoria della facoltà (cioè, della libertà di assumere un comportamento) sia evocata in modo improprio e atecnico[20] e come possa essere, altresì, espressiva dell’erroneo atteggiamento prospettico di considerare la giurisdizione come mero esercizio autoritario.

Invero, nella successiva sentenza del 2007, la Corte ha ulteriormente chiarito – in parziale continuità[21] col precedente del 1984 – come il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia chiamato bensì a valutare il fumus boni iuris delle ragioni esposte dalle parti, ma «comparando “l’intensità probatoria” degli elementi addotti dall’opponente con quelli offerti dall’opposto»[22], alla luce dei criteri legali di giudizio declinati, in parte, espressamente e, in parte, implicitamente nello stesso art. 648 c.p.c. Mentre, l’ultima novella[23] di recente portata all’art. 648 c.p.c., sostituendo la parola «concede» con «deve concedere», si illude che quando le somme siano «non contestate» non vi sia alcuna discrezionalità; ignorando, evidentemente, che la discrezionalità del giudice è ineludibile, quantomeno nella verifica della sussistenza dei presupposti di operatività dell’ingenuo dovere.

Semmai, una valutazione di opportunità sembra concedersi al giudice quando si afferma, ma senza alcuna base normativa, che, pur sussistendo i presupposti per la concessione della provvisoria esecuzione, questa possa essere inibita quando ricorrano gravi motivi[24], così traslandosi una valutazione che, invece, l’art. 649 c.p.c. riserva alla eventualità che la provvisoria esecuzione sia stata concessa nella fase monitoria.

Il ragionamento è questo: se il giudice dell’opposizione può, ricorrendo gravi motivi, sospendere l’esecuzione provvisoria concessa nel monitorio, allora tali gravi motivi sono idonei, altresì, a impedire la concessione ex art. 648 c.p.c.; e ciò a maggior ragione in quanto quest’ultima non può essere sospesa ex art. 649 c.p.c.

Ma la provvisoria esecuzione è «per definizione»[25] lesiva per l’opponente, sicché quel che conta è solo che essa non sia ingiusta, in quanto l’azione sia fondata su prova scritta e l’opposizione non sia altrettanto fondata su prova scritta ovvero non sia di pronta soluzione. Inoltre, la sospensione ex art. 649 c.p.c. si giustifica nei confronti della provvisoria esecuzione ex art. 642 c.p.c., perché questa è concessa inaudita altera parte e, quindi, sulla base di un quadro probatorio parziale. Sicché la sospensione è prevista nel giudizio di opposizione solo nei confronti del provvedimento ex art. 642 c.p.c., perché concesso quando l’ingiunto non poteva far valere le proprie ragioni. Ma una volta che il contraddittorio sia instaurato nel giudizio di opposizione, quei gravi motivi restano assorbiti nei presupposi “negativi” declinati dall’art. 648 c.p.c.

Del resto, quei gravi motivi ex art. 649 c.p.c., nella giurisprudenza di merito, si risolvono – al di fuori della eventuale assenza dei presupposti di legge ovvero della rivalutazione del periculum in mora precedentemente considerato, ai sensi dell’art. 642 c.p.c. – nella probabile o, addirittura, solo possibile o plausibile fondatezza dell’opposizione[26]. Sicché, il teorema della traslazione dei gravi motivi serve, piuttosto, ad eludere il paradigma declinato dall’art. 648 c.p.c., consentendo semmai al giudice valutazioni estetiche estranee ai parametri della prova scritta o dell’opposizione di pronta soluzione.

Insomma, nel decidere se concedere o meno la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, il giudice è senz’altro posto di fronte alla necessità di operare una delicata ponderazione degli elementi proposti dalle parti[27]; così delicata che tanto le banali semplificazioni quanto gli eccessivi dogmatismi appaiono decisamente bizzarri, frustrando ora l’aspettativa di colui che sollecita una tempestiva tutela giurisdizionale ora il bisogno di protezione di colui che si difende[28]. Né va trascurato che in molti casi il creditore reclama una provvisoria esecuzione al solo scopo di garantire il proprio credito, potendo così sopportare senza inaccettabili rischi le lungaggini del processo civile; e, de iure condendo, si potrebbe anche auspicare la previsione di una provvisoria esecuzione limitata alla sola iscrizione di ipoteca giudiziale.

Seguendo un ordine logico e sistematico, il primo momento di valutazione consiste nella intensità probatoria degli elementi offerti dal creditore (fumus boni iuris), non più, però, nel prisma del procedimento monitorio, ma secondo le ordinarie categorie che governano il procedimento di cognizione ordinaria. L’opposizione, infatti, riscrive le regole del giudizio: da un lato, il creditore non potrà più contare sulle eventuali semiprove prodotte ex art. 633 c.p.c., ma dovrà, se del caso, completare il quadro documentale; dall’altro, però, il creditore potrà ora contare sul contraddittorio e, quindi, sulla capacità lato sensu probatoria del principio di non contestazione[29]. Così, ad esempio, se il creditore ha prodotto, nel procedimento monitorio, fattura e documento di trasporto della cosa compravenduta, e nel giudizio di opposizione il debitore eccepisce il difetto della cosa, va da sé che il giudice dovrà interrogarsi della intensità probatoria della sola eccezione, perché la fonte dell’obbligazione, il contratto di compravendita, è ammessa dalle parti.

Sussistendo il fumus dell’azione creditoria, il giudice dovrà specularmente valutare la sussistenza del fumus delle difese dell’opponente, per le quali però l’art. 648 c.p.c. non richiede in via esclusiva solo una prova scritta, come per l’opposto, ma, in alternativa, anche una opposizione[30] di pronta soluzione[31] allo stato degli atti[32]. L’asimmetria evidenzia, a questo fine, un comprensibile favor oppositionis, il quale però non può giungere fino a far ritenere sufficiente difesa la mera allegazione di una eccezione: altrimenti, solo per fare un esempio, nei rapporti sinallagmatici, basterebbe lamentare l’inesatto adempimento, ex art. 1460 c.c., del ricorrente-opposto per inibire la concessione della provvisoria esecuzione.

Insomma, il pericolo segnalato da autorevole dottrina, per cui possa aversi un’opposizione seria e fondata anche se priva di prove scritte o di pronta soluzione[33], trova adeguata risposta nell’art. 648 c.p.c., laddove inibisce la concessione della provvisoria esecuzione quando l’opposizione sia «di pronta soluzione». Del resto, se la prova è di pronta soluzione, lo è anche l’opposizione; e ciò a maggior ragione quando le prove di pronta soluzione siano quelle che possono essere assunte nell’ambito della medesima udienza ovvero quelle che non richiedono una istruzione probatoria in senso stretto, come i fatti notori, l’ammissione, la non contestazione e le presunzioni semplici. Correlativamente, di pronta soluzione, perché iura novit curia, sono altresì le questioni concernenti la fondatezza in punto di diritto delle pretese dei contendenti – tanto l’azione quanto l’eccezione, quando si manifestino prive di possibilità giuridica, benché fondate in punto di fatto su prova scritta (si pensi, solo per fare un esempio, ad un contratto in tutto o in parte nullo) – che non possono non incidere in modo risolutivo sulla concessione o meno della provvisoria esecuzione.

 

5. Postilla

Ecco la decisione di rigetto dell’istanza di annullamento per motivazione apparente: «la norma richiamata dall’odierno giudicante a sostegno della propria decisione è di tenore inequivocabile e determinato cosicché detta decisione non appare sguarnita di motivazione»[34].


[1] Il provvedimento completo suona così: «Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 20 dicembre 2016, ha pronunciato la seguente ordinanza. Ritenuto che l’opposizione in esame è stata tempestivamente proposta; ritenuto di non concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non sussistendo i presupposti per esercitare la facoltà di cui all’art. 648 c.p.c.; ritenuto di non dover richiedere la riunione della presente causa con quella n. [omissis], in quanto le due procedure sono relative a petita differenti. P.Q.M. Assegna alla parti i termini per le memorie di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., con termine a decorrere dal giorno 12 gennaio 2017 (termine a quo non computato). Fissa per l’eventuale ammissione dei mezzi istruttori l’udienza del 26 giugno 2017 ore 11,00. Si comunichi. Bologna, 4 gennaio 2017».

[2] Sull’obbligo di motivazione secondo la giurisprudenza europea sull’art. 6 Cedu, S. Marino, Obbligo di motivazione delle sentenze e ordine pubblico processuale nello spazio giudiziario europeo, in Riv dir. proc., 2013, 982 ss.

[3] Cass. civ. n. 22232/2016.

[4] Cass. civ. n. 890/2006.

[5] Cass. civ. n. 7028/1998.

[6] Cass. civ. n. 24985/2006.

[7] Cass. civ. n. 1283/2003.

[8] Ricorda, F. Fiandanese, Le tecniche della motivazione fra esigenze di celerità e di adeguata risposta di giustizia, in www.cortedicassazione.it, come, nel nostro sistema costituzionale, la motivazione assolva ad una pluralità di funzioni: «tali funzioni sono state identificate nella garanzia del controllo della imparzialità e quindi dell’indipendenza del giudice (art. 104, comma 1, Cost.), della legalità della decisione, in cui si riflette la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, Cost.), della giustificazione della decisione in rapporto alle censure prospettate e, quindi, dell’effettiva tutela assicurata al diritto di difesa (art. 24 Cost.), del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), impedendo l’adozione di scelte arbitrarie e, perciò stesso, discriminatorie».

[9] Cfr. B. Capponi, La motivazione della sentenza civile, in www.questionegiustizia.it: «la norma costituzionale sulla motivazione (art. 111, comma 6) non tutela tanto le parti quanto la funzione stessa del decidere, da un lato, e i suoi destinatari “sociali” dall’altro. La motivazione sottopone il giudice a un controllo che, tra l’altro, elimina (o quantomeno riduce) il rischio d’un uso scorretto o irresponsabile o autoritario della giurisdizione».

[10] Cfr. G. De Gregorio, La fase decisoria, Corso Mot 2016, Villa di Castel Pulci, Scandicci, 17-21 ottobre 2016: «Certo è, comunque, che la stesura della motivazione (...) costituisce uno dei momenti professionalmente più impegnativi per il giudice».

[11] Sulla motivazione come momento non solo giustificativo, ma anche deliberativo: G. di Benedetto, La motivazione della sentenza civile nel modello di decisione tradizionale e nei nuovi modelli previsti dall’art. 281-sexies c.p.c. e dal rito societario. Il rilievo della scrittura nel ragionamento del giudice e nella durata dei processi, in www.osservatoriogiustiziacivilefirenze.it

[12] Cfr., per una esposizione delle varie tesi, E. Bonomi (nota senza titolo) in Giur. it., 2007, 2015 ss.

[13] In questo senso, tra le pronunce di merito edite, Trib. Como 22 gennaio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 2765; Trib. Ravenna 7 giugno 1991, in Arch. civ., 1992, 575; Trib. Lecco 24 luglio 1986, in Foro it., 1988, I, 971; Trib. Torino 11 maggio 1980, Giur. it., 1980, I, 2, 25; Trib. Milano 20 maggio 1953, Foro it., 1953, I, 1183. Per la dottrina, in questo senso, tra gli altri, E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Giuffrè, 1991, 189.

[14] Tra le rare decisioni di segno contrario, in particolare Cass. civ. n. 1962/1969, in Foro it., 1969, I, 2531-2533, secondo la quale l’impugnabilità sarebbe riferita al provvedimento sia di concessione sia di rigetto e ciò in virtù sia della lettera dell’art. 648 c.p.c., sia del principio generale per cui i mezzi di gravame, salvo casi tassativamente indicati dalla legge, non mutano in relazione al carattere negativo o positivo del provvedimento impugnato.

Tuttavia, valorizzando il carattere essenzialmente interinale dell’ordinanza de qua, è possibile concludere nel senso che essa non rientri nemmeno nei casi contemplati dall’art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c. E uno spunto in tal senso potrebbe cogliersi dalle Sezioni Unite, quando affermano, sia pure ai fini della ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, ma con un fraseggio che sembra trascendere il caso di specie, che «l’ordinanza, con la quale il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo accoglie o rigetta la richiesta di conferire al decreto la provvisoria esecuzione ai sensi dell’art. 648 c.p.c., è atto processuale, che per sua natura è sempre modificabile e revocabile dallo stesso giudice che l’ha emessa»: Ss.Uu. n. 10941/2007. Conf. Ss.Uu., n. 10132/2012.

[15] Corte cost. n. 306/2007, in Corriere giuridico, 2007, 1399 ss., con nota critica di R. Conte, Irreclamabilità (ed irrevocabilità) dell’ordinanza ex art. 648 c.p.c.: un’altra occasione mancata dalla Corte costituzionale.

[16] Cass. civ. n. 1107/1975, in Foro it., 1976, I, 2239.

[17] E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 184.

[18] Corte cost. n. 137/1984.

[19] Cit. Corte cost. n. 137/1984: «dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 648, comma secondo, c.p.c. nella parte in cui dispone che nel giudizio di opposizione il giudice istruttore, se la parte che ha chiesto l’esecuzione provvisoria del decreto d’ingiunzione offre cauzione per l’ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni, debba e non già possa concederla sol dopo aver delibato gli elementi probatori di cui all’art. 648 comma primo e la corrispondenza della offerta cauzione all’entità degli oggetti indicati nel comma secondo dello stesso art. 648».

[20] Tra le varie descrizioni del fenomeno, V. Roppo, Diritto privato, IV ed., Giappichelli, 2014, 52: «Il concetto di facoltà esprime l’idea di una libertà d’azione, di una libertà di scelta fra vari comportamenti, che sono tutti leciti, cioè permessi (né vietati né imposti) dalla legge». E, più nello specifico, M. Scaparone, L’ordinamento giudiziario, Giappichelli 2012, 5-6: «La situazione attiva che abbiamo detto potere pubblico concorre sempre con un dovere, nel senso che il titolare di un potere pubblico, quand’anche questo sia meramente discrezionale, ha il dovere di esercitare il potere nei casi e nei modi che l’ordinamento più meno rigorosamente prescrive. L’esercizio del potere privato è invece libero, nel senso che il titolare di tale potere, sia pur entro i limiti generali segnati dall’ordinamento, ha facoltà di scegliere se e come esercitarlo».

[21] È opportuno ricordare come nella sentenza del 2007, n. 306, sia scomparso il requisito del periculum in mora, invece predicato nei precedenti del 1989, n. 295, e del 1984, n. 137, laddove si afferma: «se è vero, infatti, che questa Corte – come ricorda il giudice rimettente – ha riconosciuto che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve valutare gli stessi presupposti (fumus boni iurise periculum in mora) propri delle misure cautelari (cit. sent. n. 137/1984), è anche vero che tale riconoscimento era finalizzato esclusivamente ad escludere che la provvisoria esecuzione dovesse necessariamente essere concessa (come prevedeva il comma secondo dell’art. 648) quando, avendo offerto il creditore idonea cauzione, venisse meno il periculum in mora».

Tuttavia, l’impostazione cautelare è tuttora coltivata da una parte della dottrina, ma spesso al solo scopo di dedurre la reclamabilità del provvedimento concessorio: cfr. A. Majorano, Art. 648 c.p.c.: presupposti di applicazione e potere discrezionale del giudice, in Giur. it., 2009, 699.

[22] Cit. Corte cost. n. 306/2007.

[23] Art. 4, comma 1, d.l. 3 maggio 2016, n. 59, conv. legge 30 giugno 2016, n. 119.

[24] In questo senso, tra gli altri, G. Vignera, La provvisoria esecutività ex art. 648 c.p.c. quale condanna con riserva, in Riv. dir. proc., 2010, 81, ora anche in www.ilcaso.it.

[25] R. Caponi [eE. Merlin], Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corriere giuridico, 2005, 705.

[26] Cfr. Trib. Chieti 18 settembre 2015, Trib. Torino 07 luglio 2014, Trib. Firenze 16 giugno 2011, Trib. Roma 21 dicembre 2010, tutti in www.ilcaso.it.

[27] E non giova ad una più chiara definizione dei margini di discrezionalità del giudice l’inquadramento del provvedimento di concessione della provvisoria esecutorietà ex art. 648 c.p.c. nella categoria della condanna con riserva (cfr., di recente, G. Vignera, Op. cit., passim) se intesa, in senso ampio, come cognizione allo stato degli atti (cfr. E. Merlin [eR. Caponi], Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corriere giuridico, 2005, 714), mentre se intesa in senso stretto, come cognizione piena con riserva di conoscere le eccezioni, finirebbe per divenire impraticabile «in prima udienza».

[28] Cfr. G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, I, Giuffrè, 2008, 2.

[29] Cristallina, in questo senso, tra le altre, Trib. Torino 22 gennaio 2016 - Est. E. Di Capua, in www.ilcaso.it, secondo cui: «ai fini della concedibilità dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto, è necessaria anche la sussistenza del ragionevole fumus del credito, nel senso che occorre indagare anche sull’esistenza di una prova “adeguata” dei fatti costitutivi del diritto vantato dall’opposto, secondo i canoni del giudizio ordinario di merito: tale “adeguatezza” si ha o quando la documentazione della fase sommaria ha valore di prova scritta anche nel giudizio di opposizione, o quando viene integrata da idonea ulteriore documentazione o, infine, quando non vi è stata contestazione dei fatti costitutivi da parte dell’opponente».

[30] Sulla pronta soluzione come riferita al mezzo di prova e non alla opposizione, di recente, I. Usuelli, Provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c. e prova di pronta soluzione, in Giur. it., 2015, 375 ss.

[31] Di «controversia di pronta soluzione», invero, ragiona anche la Corte costituzionale: cit. sent. n. 137/1984.

[32] Si osserva giustamente come la valutazione di prontezza della soluzione vada bensì formulata allo stato degli atti, ma tenendo altresì conto anche delle ulteriori istanze istruttorie formulate – si intenda, in modo specifico e rilevante – fino a quel momento: cfr. F. De Stefano, A. Valitutti, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Cedam, 2013, 386.

[33] Cfr. E. T. Liebman, In tema di esecuzione provvisoria del decreto d’ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1951, II, 80.

[34] Il provvedimento completo suona così: «Il Giudice, vista l’istanza di modifica e revoca della ordinanza del 4.01.2017 depositata in data 11.01.2017 da parte convenuta opposta, osserva: 1. la norma richiamata dall’odierno giudicante a sostegno della propria decisione è di tenore inequivocabile e determinato cosicché detta decisione non appare sguarnita di motivazione ; 2. le deduzioni ed allegazioni della Difesa del signor [omissis] sono già state oggetto di valutazione nella prima udienza di comparizione delle parti, in occasione della quale si individua il momento in cui il giudice deve delibare sull’istanza di concessione della provvisoria esecuzione, PQM conferma la propria ordinanza resa il 4.01.2017 e la celebrazione della prefissata udienza del 26.06.2017 ore 11,00. Si comunichi. Bologna, 22 gennaio 2017».


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