Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 30648 - pubb. 15/02/2024

Giudizio di divisione nell'ambito di una procedura fallimentare

Tribunale Verbania, 19 Gennaio 2024. Est. Mingione.


Fallimento - Divisione



La presenza di difformità urbanistiche insanabili non preclude la divisione, né la vendita degli immobili, quando la domanda è proposta nell'ambito di una procedura fallimentare (nel caso di specie dal fallimento personale di un coniuge nei confronti dell'altro coniuge comproprietario dei beni). La domanda riconvenzionale del coniuge in bonis, di restituzione/indennizzo per aver prelevato importi dal patrimonio personale per la realizzazione/ristrutturazione degli immobili oggetto di divisione, va dichiarata inammissibile, in quanto devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato. Anche la richiesta del coniuge in bonis di compensazione tra il credito restitutorio/indennitario e il controcredito del fallimento al conguaglio è inammissibile, perché non è possibile compensare un credito che non abbia i requisiti di certezza (essendo stato contestato dal fallimento), né di liquidità (non essendo di facile e pronta liquidazione). Quanto dedotto dal coniuge convenuto in merito al fatto di non aver proposto domanda di insinuazione al passivo essendo necessario proporre la domanda di restituzione in sede di divisione, non trova alcun riscontro normativo. In particolare, ove la difesa della convenuta sia fondata sulla previsione dell’art. 192 co. 3 c.c., non può essere accolta, in quanto la norma si applica in caso di comunione legale, e, dunque, non è applicabile nel caso di specie (i coniugi sono in regime di separazione dei beni). La questione di legittimità costituzionale, prospettata dalla convenuta nelle conclusioni, in relazione alla violazione del principio di uguaglianza per non essere, l’art. 192 co. 3 c.c., applicabile ai coniugi in regime di separazione dei beni, è manifestamente infondata. Non vi è alcuna disparità di trattamento tra coniugi in regime di comunione legale o di separazione dei beni, in quanto la diversità di regime e di disciplina è connessa ad una scelta dei coniugi. Inoltre, i coniugi in regime di separazione dei beni sono liberi di regolamentare gli aspetti economici relativi all’impiego delle proprie risorse, sicché anche l’eventuale arricchimento dell’altro coniuge sarebbe una libera scelta della convenuta. In ogni caso, a prescindere da quanto suddetto, anche ove applicabile l’art. 192 co. 3 c.c., la circostanza che la domanda di restituzione debba essere proposta in sede di divisione, non costituisce una deroga al principio dell’inammissibilità di domande di condanna nei confronti del fallimento. La domanda di ingiustificato arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c. – che pure la convenuta ha proposto, tenuto conto degli argomenti della comparsa di costituzione - può essere proposta senza limiti e, dunque, poteva essere proposta dalla convenuta sin dal momento della separazione e mediante insinuazione al passivo. Pertanto, anche sul punto, la difesa della convenuta di non averla potuta proporre prima, indipendentemente dalla domanda di divisione, non trova alcun riscontro. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)




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