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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/10/2014 Scarica PDF

La valutazione di fattibilità giuridica del concordato preventivo nell'interpretazione giurisprudenziale con particolare riferimento alla verifica del contenuto dell'attestazione

Giuseppe Bersani, Magistrato


Sommario: 1. La sussistenza della  “fattibilità giuridica” nel concordato preventivo; 2. Segue: la valutazione di “fattibilità giuridica” da parte del Tribunale ed il suo contenuto;  proposte per una  lettura critica dell’attestazione del professionista; 3. Le concrete modalità di controllo della relazione del professionista da parte del Tribunale: a) La sussistenza dei presupposti formali: l’indipendenza dell’attestatore; b) La sussistenza dei presupposti sostanziali: B1) La sussistenza di un giudizio di fattibilità sorretto da una motivazione coerente; B2) La necessità da parte dell’attestatore di un controllo analitico della contabilità del proponente il concordato al fine di esprimere un effettivo giudizio di  veridicità dei dati aziendali. 4. Conclusioni

 

 

 

1. La sussistenza della “fattibilità giuridica” nel concordato preventivo

Un particolare aspetto caratterizzante il “nuovo” concordato preventivo è costituita  dal ruolo dell’Autorità giudiziaria nell’ambito della procedura, il quale risulta ora essere  decisamente ridimensionato rispetto al passato, non potendo il Tribunale più esprimere una preventiva valutazione sulla fattibilità della proposta di concordato preventivo.

E’ ben noto il dibattito fra coloro che sostenevano la necessità di una valutazione  preventiva del Tribunale al momento dell’ammissibilità (o comunque  un giudizio di “fattibilità” in concreto del concordato almeno al momento dell’omologa), e coloro che, invece, affermavano che ogni valutazione era preclusa all’Autorità giudiziaria in  considerazione della natura privatistica e dell’aspetto “contrattualistico” del nuovo concordato preventivo.[1]

E’ altrettanto nota la pronuncia della Corte di Cassazione[2] che ha consolidato la soluzione giurisprudenziale secondo cui l’organo giurisdizionale, non potendo valutare né la convenienza economica né la concreta fattibilità del piano, dovrà limitarsi ad un controllo di legalità formale e sostanziale.

Ragioni di logica espositiva rendono necessario ed opportuno ricordare come la Corte di Cassazione nella sentenza citata ha precisato che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti, precisando poi che il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo.

In particolare, hanno evidenziato  le SS.UU., che il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato: “ ….. quest’ultima, (la “causa”) dovrà intendersi come l’obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non avente contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.

In particolare da parte dei giudici di legittimità si è ricordato come la disciplina del  “nuovo concordato preventivo”  “… è stata ispirata da esigenze di economicità, che si è inteso soddisfare recuperando moduli operativi già adottati in altri ordinamenti, e segnatamente facendo ricorso all’individuazione di misure idonee a snellire le procedure esistenti, a valorizzare la posizione del giudice quale tutore del rispetto della legalità, a rafforzare il ruolo propositivo e decisionale delle parti, modifiche tutte che avrebbero dovuto eliminare (o quanto meno limitare) dispersioni di ricchezze ed attribuire una maggiore flessibilità al mercato”.

La Corte di Cassazione ha quindi sottolineato come l’istituto appare ispirato alle sopra indicate esigenze, e ciò “…. in quanto il conseguimento della migliore economicità realizzabile nelle diverse possibili soluzioni di composizione della crisi di impresa presuppone un’ampia flessibilità della procedura, obiettivo che a sua volta può trovare soddisfacente attuazione - nell’ambito del quadro delineato sul punto dal legislatore - soltanto se adeguatamente valorizzati i profili negoziali della stessa”.

L’accentuazione dell’aspetto “privatistico” ad avviso della Corte di Cassazione, trova conferma nel modulo procedimentale delineato dal Legislatore ove sono enucleabili  tre elementi distinti individuabili rispettivamente: a) in una domanda di accesso alla procedura; b) in una proposta rivolta ai creditori in essa contenuta; c) nell’indicazione  di un piano, prospettato come lo strumento idoneo a perseguire gli obiettivi delineati.

Alla luce di tali premesse la Corte di Cassazione ha precisato che non appare revocabile in dubbio il fatto che il legislatore abbia “… inteso demandare esclusivamente al professionista il compito di certificare la veridicità dei dati rappresentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto. Tuttavia, considerato che la l.fall., art. 162, impone al tribunale di dichiarare l’inammissibilità della proposta di concordato ove constatata l’assenza dei "presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2, e art. 161", in essi compresi quindi anche quelli concernenti la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano, la questione che problematicamente viene sottoposta all’attenzione del Collegio riguarda l’individuazione del perimetro di intervento assegnato al giudice, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano prescritto dal citato art. 161”.

Pertanto, poiché la fattibilità del piano deve essere attestata dal professionista, occorre stabilire se sia o meno configurabile un potere di sindacato del Tribunale con riferimento all’idoneità di tale attestazione, e, nell’ipotesi positiva, quali siano i termini del relativo controllo.

Le considerazioni che precedono hanno portato poi la Corte di Cassazione ad enucleare il concetto di “fattibilità”, precisando che con tale terminologia si deve intendere “…. una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati, il che implica una ulteriore distinzione, nell’ambito del generale concetto di fattibilità, fra la fattibilità giuridica e quella economica”.

L’enucleazione dei due concetti (fattibilità giuridica e fattibilità economica) ha costituito l’autentica novità della pronuncia, in quanto si giunge, per questa via, ad individuare il perimetro entro il quale dovrà essere limitata la valutazione del Tribunale al momento dell’ammissione; in tale prospettiva si è dunque affermato che il controllo del giudice  è destinato a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista.

Da parte dei Giudici di legittimità si è concluso nel senso di escludere che una  qualsiasi valutazione inerente la “fattibilità economica” possa essere riconosciuta al Tribunale, così individuandola e collegandola ad “….. un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un fattore rischio per gli interessati”.

L’ulteriore corollario cui è pervenuta la Corte di Cassazione è stato nel senso che del  rischio dell’insuccesso economico del concordato “…. si facciano esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto”.

Naturalmente - come ha opportunamente precisato la Corte di Cassazione - sarà necessario che i creditori ricevano una completa e veritiera informazione circa i dati  contabili del debitore, nonché in ordine alle verifiche interne e le connesse valutazioni che sono state effettuate al fine di giungere all’affermazione di fattibilità economica da parte del professionista attestatore.

Tali informazioni assumono - pertanto - un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono chiamati a provvedere, dapprima il professionista attentatore, e quindi il commissario giudiziale prima dell’adunanza per il voto: in tale ambito, e quindi nella verifica anche della completezza del complesso di informazioni per una corretta e consapevole decisione da parte dei creditori, si dovrà svolgere il giudizio del Tribunale in ordine alla “fattibilità giuridica”.

Al momento dell’ammissibilità al Tribunale dovrà - dunque - essere riservato il   controllo di fattibilità giuridica che consiste in una verifica della idoneità della proposta concordataria a realizzare le complesse ipotesi dell’art 160 l.f. attraverso strumenti astrattamente idonei e giuridicamente leciti: si tratta di un vaglio che deve essere effettuato una prima volta con l’ammissione, integrando essa uno dei presupposti o fatti costitutivi della procedura concordataria, ma che – a nostro avviso – potrà essere effettuato nuovamente fino all’omologa.[3] 

Nel rispetto delle indicazioni della Corte di Cassazione a SS.UU. si dovrà  – pertanto – ritenere pienamente consentito al Tribunale un controllo finalizzato a verificare se     l’attestazione del professionista risponda, innanzi tutto, ai criteri formali previsti dalla legge e, successivamente, se soddisfi i presupposti sostanziali e quindi, sia  comprensibile, coerente, sufficientemente dettagliata. [4]


1. segue: la valutazione di “fattibilità giuridica”  da parte del Tribunale ed il suo contenuto;  proposte per una  lettura critica dell’attestazione del professionista

Alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione, il  Tribunale, in sede di ammissione alla procedura,  dovrà e potrà controllare la  completezza del  ricorso e la coerenza complessiva  del piano concordatario; nell’ambito della verifica della completezza della documentazione richiesta  dovrà essere svolto  un ulteriore  controllo sulla  correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni indicate dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano; tali  argomentazioni  dovranno essere coerenti con le  conclusioni finali prospettate (si pensi ad esempio ad un giudizio di fattibilità ancorato ad un complesso di dati, la cui sommatoria deponesse viceversa in favore di conclusioni di segno opposto);  da ultimo dovrà essere  vagliata la possibilità giuridica di dare esecuzione (sia pure parziale) alla proposta di concordato, ovvero la rilevazione del dato, se emergente ‘‘prima facie’’, da cui poter desumere l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti.

Si tratta, come si vedrà più avanti, di una tipologia di controlli che, se correttamente esercitati, appaiono idonei ad effettuare  quelle attività di “filtro”, bloccando  sul nascere  quelle procedura che non solo non hanno  prospettive di successo, ma che appaiono  strumentali solo ad evitare l’imminente fallimento.[5]

Con specifico riferimento al  controllo sull’attestazione  del professionista  ex art. 161 l.f. (da effettuarsi nell’ambito della  fattibilità giuridica di cui sopra si è detto) ciò  appare tanto più necessario e rilevante se si pensa che a tale documento   viene attribuita,  da parte della stessa giurisprudenza di legittimità,  la funzione di “…fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall’interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice. Ne consegue dunque che, pur non essendo un consulente del giudice - come si desume dal fatto che e` il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza (ulteriormente indirettamente rafforzate dalle sanzioni penali previste dalla l.fall., art. 236 bis, introdotto con il D.L. n. 83 del 2012) e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo. Deve dunque - ritenersi che egli svolga funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, come pure si desume dal significativo ruolo rivestito in tema di finanziamento e di continuità aziendale (l.fall., art. 182 quinquies, di cui al D.L. n. 83 del 2012), circostanza questa che esclude che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario”. Ciò appare coerente anche con il  fatto che   da  parte del Legislatore del 2012, in definitiva, si è proceduta ad una  valorizzazione dell’attestazione ex art. 161 l.f.  cui ha conseguito, come logico, un aumento della responsabilità del professionista anche in una prospettiva di rilevanza penale.

Da parte della Corte di Cassazione, pur prendendo atto  del  mutamento  del ruolo dell’attestatore  si è  chiarito come “…. ai fini della dichiarazione di ammissibilità della proposta al tribunale e` conferito al giudice il compito di esaminare criticamente la relazione del professionista che accompagna il piano indicato dall’imprenditore e la documentazione da questi prodotta, consentendogli anche di richiedere integrazioni di contenuto e documentali”.[6]

Ritenendo possibile estendere il controllo di regolarità formale anche al contenuto della relazione del professionista, si era già  affermato che in tale documento non dovranno sicuramente essere presenti  “errori logici”.[7]

Per determinare  le concrete modalità  di controllo  sull’attestazione – a  nostro avviso -  non si potrà prescindere dai criteri forniti dalla stessa giurisprudenza di merito  fin dai primi tempi di applicazione del “concordato riformato”:

In tale prospettiva[8] si era precisato che “…  ai fini  dell’ammissibilità  del  debitore  al  concordato  preventivo,  il  professionista incaricato di cui al comma 3 dell’art. 161 l. fall., pur non  essendo soggetto ad alcun sindacato di merito da parte del tribunale,  deve  rendere  manifesti,  nel  contesto  della  relazione,  i  criteri  e  le  metodologie  seguite  nel  procedimento  di  revisione  detta  contabilità  della debitrice, destinato a sfociare nell'attestazione della veridicità dei  dati aziendali”.

Anche il  Tribunale di Monza,[9]   dando atto che nel nuovo  concordato preventivo, che valorizza fortemente l'autonomia privata, il  controllo  affidato  al  tribunale  non  attiene  alla  valutazione  di  merito  circa la convenienza del piano proposto, bensì alla "possibilità" di una  sua  concreta  attuazione,  aveva evidenziato  come “… il  controllo  di  garanzia  del  tribunale  non  può  essere  ridotto  a  una  verifica  formale  dell'avvenuto  deposito  della  documentazione  indicata  dall'art.  161  l.  fall. Al contrario, il ruolo di garanzia del tribunale deve concretizzarsi:  da un lato, nella verifica della completezza e regolarità dei documenti  alla  luce  della  loro  idoneità  a  svolgere  la  funzione  informativa  e  dimostrativa    che    la    legge    loro    attribuisce    per    l'ammissione  dell'imprenditore   alla   procedura;   dall'altro,   nell'assicurare   che   la  relazione del commissario giudiziale fornisca a ciascun creditore tutte  le  informazioni  necessarie  per  compiere  la  valutazione  in  ordine  alla  convenienza    del    piano    proposto;    da    un    altro    lato    ancora,  nell'interrompere    in    qualsiasi    momento    la    procedura    qualora  emergano elementi che dimostrino la non fattibilità del piano proposto,  anche  se  nel  frattempo  il  concordato  sia  stato  già  approvato  dai  creditori e sia in corso il giudizio di omologa”.

La possibilità di un controllo fin dal momento dell'ammissione di concordato preventivo era stata affermata anche da parte del tribunale di Salerno,[10] sottolineando come l'organo giudiziario, in relazione all'istanza di ammissione alla procedura “… può esercitare sulla proposta concordataria un controllo di merito, oltre che di legittimità, diretto ad un proprio riscontro sulla completezza e correttezza dei dati contabili esposti e sulla prognosi di concreta realizzabilità del piano, con particolare riguardo alla salvaguardia delle ragioni dei creditori privilegiati non ipotecari non partecipanti al voto”.

Aderendo a tale corrente di pensiero si  era   sottolineato[11] come   “…  la  collocazione  sistematica della norma e la ratio ad essa sottesa non depongano per una  mera presa d’atto in ordine alla esistenza materiale della documentazione  stessa, qualificabile come mero controllo formale, tra cui fare rientrare la  relazione  del  professionista.  Pur  ritenendo  che  la  novella  legislativa  precluda    di    entrare    nel    merito    delle    valutazione    effettuate    dal  professionista, al tribunale è rimessa la verifica sulla  completa e puntuale  analisi   dei   dati   posti   a   sostegno   della   relazione in   base   alla  documentazione di cui all’art. 161, comma 1, l. fall., e sulla congruenza tra  i dati attestati esposti e la valutazione di fattibilità espressa. In tal senso il  tribunale ritiene pertanto che l’esame della relazione del professionista si  incentri in una verifica della  completezza argomentativa e della  coerenza  motivazionale della attestazione, e integri un controllo di legalità, coerente  con  le  funzioni  di  garanzia  assegnate  dal  Legislatore.  L’attestazione  dell’esperto,  pertanto,  deve,  in  primo  luogo,  prendere  in  considerazione  tutti  i  dati  esposti  in  sede  di  ricorso,  oggetto  di  documentazione  di  cui  all’art.  161,  comma  1,  l.  fall.,  e  confermarne  la  veridicità.  Espletata  tale  preliminare  operazione  la  valutazione  in  ordine  alla  fattibilità  del  piano  deve  essere  oggetto  di  una  esposizione  completa,  coerente,  motivata,  idonea   a   dare   conto   delle   conclusioni   espresse   sulla   scorta   delle  premesse. Trattasi di una relazione documentata e ragionata che sfocia,  sulla  scorta  di  premesse  metodologiche  di  carattere  tecnico,  in  una  prognosi  sulle  prospettive  poste  a  fondamento  del  piano  concordatario. Solo in tale ottica la relazione ex art. 161 l. fall. è in grado di assolvere alla  funzione  di  fornire  al  commissario  giudiziale  ed  al  ceto  creditorio  gli  elementi informativi necessari per il compimento pienamente consapevole  delle valutazioni in ordine alla convenienza della proposta nell’ambito di un  assetto negoziale della regolazione degli interessi in gioco”.

Tale soluzione era stata condivisa in altre[12] occasioni,  ribadendo che “… in  sede  di  ammissione  alla  procedura  di  concordato  preventivo,  il  controllo del  Tribunale    deve    vertere:    a)    sotto    il    profilo    della    regolarità,  sull'accertamento della rispondenza dei dati considerati ed attestati dal  professionista qualificato, ai sensi dell'art 161, terzo comma l. fall., alla  documentazione  di  supporto  o  degli elementi comunque acquisiti;  b)  sotto  il  profilo  della  completezza,  sull'accertamento  dell'offerta  di  un'informazione,  esauriente  ed  argomentata,  dell'effettiva  situazione  economica e finanziaria del debitore richiedente, in relazione al piano  proposto  ai  creditori,  in  modo  che  esso  sia  davvero  spiegato,  sulla  base di un'indicazione, critica e ragionata, dei mezzi offerti rispetto agli  obiettivi perseguiti”.

Si era ancora evidenziato[13] che “… il controllo del Tribunale non può ritenersi limitato ad una verifica meramente formale e della completezza  e regolarità della documentazione, dovendo, invece, procedere ad un sindacato – sia pure indiretto – anche sul merito della fondatezza (cioè sulla fattibilità) della proposta, esclusa ogni valutazione della sua convenienza, ora integralmente  rimessa – attraverso la votazione – al ceto creditorio, salvo il caso del giudizio in termini di cram down in presenza di classi dissenzienti; la riaffermata prospettiva pubblicistica dell’istituto  è dunque orientata all’espressione di un voto pianamente informato”.

Come si evince già dall’esame di tali pronunce, parte della giurisprudenza di merito era    da tempo orientata nel senso  di  prevedere  un’ampia  verifica dell’attestazione del professionista, qualificandola come  controllo sulla    sussistenza dei requisiti di ammissibilità.

Tale soluzione era stata ulteriormente  ribadita[14], evidenziando come  al momento della presentazione del concordato preventivo il  debitore sia “…  gravato di un onere probatorio particolarmente  stringente  quanto  alla  prova  della  fattibilità del piano e alla veridicità dei dati aziendali, prova che dev’essere data, oltre che con la produzione della documentazione di cui all’art. 161, secondo comma, anche e soprattutto  attraverso  la  relazione  di  un  professionista indipendente ed imparziale”, rilevando, al tempo stesso come l’organo giudiziario non sia “….  vincolato a tale prova proprio perche´, come tutte le prove dev’essere valutata e ogni valutazione non puo` che entrare nel merito della proposta e, quindi, anche della relazione del professionista ove il Tribunale dovesse ritenere che la medesima,   non fornisca sufficienti e tranquillizzanti elementi per ritenere che il piano sia fattibile e/o i dati aziendali non siano veridici (ciò risulta coerente con la possibilità di concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni (termine concesso nel caso concreto) per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, e cioe` porre in essere un’attività che non puo`  che essere conseguente, com’e`  del tutto evidente, a contestazioni sollevate proprio in ordine alla fattibilità e/o veridicità dei dati aziendali)”.

Favorevole ad una valutazione non meramente “notarile” della proposta di concordato in sede di ammissione,  si era pronunciato anche   il Tribunale di Roma[15]  il quale  aveva  affermato la propria  posizione  favorevole all’esercizio di un controllo   sulla veridicità dei dati esposti e sulla  fattibilità del piano, basandosi sulla struttura e natura dell’istituto,  che si caratterizza per il mantenimento, anche nella versione  vigente,  di  precisi connotati pubblicistici.

In giurisprudenza si era, pertanto, da tempo  consolidato  un orientamento che estendeva al    preventivo giudizio del Tribunale  la verifica della  sussistenza dei presupposti formali per la  presentazione del concordato,  analizzando, in particolare,  la relazione del professionista ex art. 161 avente ad oggetto la  veridicità dei dati aziendali e  la fattibilità del piano medesimo.

La dottrina che  aveva favorevolmente commentato tale orientamento aveva  sottolineato come “…. a fronte del venir meno del potere di sindacato giudiziario, tale è l’importanza del ruolo occupato dai creditori nel nuovo assetto normativo (improntato ad un regime, non più di “etero tutela”, ma di “autotutela”)”, che appare necessario riconoscere al Tribunale il compito di verificare se il piano del debitore con i suoi allegati (in particolare la relazione del professionista)  “….. siano adeguatamente motivati, in modo da consentire ai creditori di manifestare quel “consenso informato”: cioè appunto di poter partecipare alla fase decisionale, nella piena e completa conoscenza dei dati aziendali e della reale fattibilità della proposta”, e ciò in quanto “… è `proprio la funzione “contrattualistica”, che il legislatore ha chiaramente mostrato di affidare ai creditori, che reclama ……. una informazione intelligibile e concludente”.[16]

Si era poi  opportunamente ricordato  come  è  proprio sull’accertamento dell’idoneità di questa informazione che il controllo, da parte delTtribunale, deve necessariamente limitarsi nella fase di ammissione alla procedura, tenuto conto che il sistema normativo, secondo quanto emerge dai tratti appena delineati, induce a ritenere come destinatario della proposta concordataria non sia l’organo giudiziario, bensì in definitiva il ceto creditorio.

Altra dottrina aveva  poi sottolineato come  il tenore dell’art. 163 l.f. sembrava deporre nel senso  di non riconoscere  al  tribunale il potere di  verificare la fattibilità (economica) del piano proposto dall’imprenditore, giacché tale compito è  affidato dall’art. 161 l.f. al professionista incaricato di predisporre l’apposita relazione, il quale  deve fornire una valutazione di attendibilità dei dati aziendali, nonché, su tale base, una  prognosi motivata circa la possibilità di successo del piano.  La valutazione  del tribunale sarebbe, in tale prospettiva interpretativa,   limitata alla verifica di tali elementi, senza poter svolgere alcun  sindacato di merito sulla proposta di concordato.[17]

Aderendo a tale linea interpretativa,  che è stata (nella sostanza) adottata da parte della Corte di Cassazione a SS.UU., al  tribunale veniva riservato   un controllo di legittimità  con riferimento alla  sussistenza dei presupposti di ammissibilità del concordato,  esteso anche alla regolarità formale della proposta,   mediante la valutazione di adeguatezza dell’attestazione.

Del resto da parte dei giudici di legittimità[18] (in una pronuncia che aveva anticipato la sentenza delle Sezioni Unite citata),  si era giù  affermato che  il controllo del Tribunale, ai sensi dell’art. 163 l.fall.,  deve limitari alla completezza e alla regolarità della documentazione, senza che possa  essere oggetto di verifica  l’adeguatezza sotto il profilo del merito; ne consegue che, quanto all’attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori”.

Veniva delimitato in modo chiaro e netto il potere-dovere di controllo del Tribunale:  “…  nel vagliare la relazione del professionista, il giudice deve limitarsi a valutare se nella stessa siano presenti quegli elementi necessari a far sì che essa possa corrispondere alla funzione che le è propria di fornire elementi di valutazione sulla fattibilità del piano e di attestare la veridicità dei dati contabili che ne sono alla base”.

In altra pronuncia la  Corte  di Cassazione [19] aveva  censurato  l'orientamento secondo il quale il tribunale è tenuto ad accertare non solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda di concordato preventivo “….ma anche la fattibilità del piano, sia pure attraverso un controllo della regolarità e della completezza dei dati aziendali esposti ed attraverso una puntuale verifica dell'iter logico attraverso il quale il professionista attestatore giunge ad affermare la fattibilità del piano, e ciò al fine di verificare la serietà delle garanzie offerte dal debitore o la sufficienza dei beni ceduti per la realizzazione del piano stesso. Detto orientamento giurisprudenziale è infatti in contrasto con il dettato normativo dal quale si ricava che il legislatore ha inteso dare una netta prevalenza alla natura contrattuale e privatistica del concordato, nell'ambito del quale è attribuito decisivo rilievo al consenso dei creditori”.

Da parte dei  giudici di legittimità si era  giunti  a  delineare  anche il ruolo, la natura ed  il contenuto della relazione del professionista, affermando che quest'ultima "... non può essere equiparata ad una semplice consulenza di parte; la legge stabilisce, infatti, che il professionista deve "attestare", vale a dire certificare e garantire al tribunale chiamato a pronunciarsi sull'ammissibilità della proposta, che i dati aziendali sono veritieri e. che il piano presente il carattere della fattibilità".

In altre parole, se la Corte  di Cassazione  escludeva che il tribunale  potesse sia  in sede di ammissione del concordato sia  in sede di omologa     svolgere una valutazione in ordine alla convenienza del concordato e  sulla fattibilità (economica)  del piano (e nemmeno potesse estendere il suo  sindacato sull'accertamento della veridicità dei dati aziendali), da parte del giudice di legittimità si giungeva allo stesso tempo ad affermare che "... ciò non significa... che al tribunale la legge attribuisca il solo controllo formale della completezza della documentazione. Il tribunale è chiamato ad effettuare una valutazione più penetrante deve  garantire che i creditori siano messi in condizione di prestare il loro consenso con cognizione di causa, vale a dire che abbiano a manifestare un consenso informato e non viziato da una falsa rappresentazione della realtà se la veridicità dei dati da valutare al fine della manifestazione del consenso deve essere garantita soprattutto dal commissario giudiziale, come si ricava dalle disposizioni che lo riguardano, l'assolvimento del suo compito richiede, come anche la necessità che la proposta di concordato sia seria e non abbia finalità meramente dilatorie, che la documentazione, prodotta dal debitore, che costituisce la base di partenza delle sue indagini e valutazioni, sia completa e soprattutto che possa essere inquadrata effettivamente la tipo richiesto dal legislatore".

 

2. Le concrete modalità di controllo della relazione del professionista da parte del Tribunale 

Nel rispetto delle indicazioni della Corte di Cassazione a SS.UU. si dovrà  – pertanto – ritenere pienamente  consentito al Tribunale un controllo finalizzato a  verificare  se    l’attestazione del professionista  risponda: a)  ai criteri formali  previsti dalla legge;  b) se l’ attestazione  sia in grado di soddisfare le esigenze di informazione corretta dei  reditori  cui è destinata, e quindi  se la stessa sia  comprensibile,  coerente,  sufficientemente  dettagliata,  e  se  i  conteggi  effettuati  dal  professionista  siano corretti. [20]

 

a) La sussistenza dei presupposti formali: l’indipendenza dell’attestatore

Come già ricordato il  D.L. n. 83 del 22 giugno[21] ha delineato i profili di indipendenza e di responsabilità del professionista attestatore sia in tema di concordato preventivo, che di accordo di ristrutturazione, sia infine con riferimento al piano attestato.[22]

La prima verifica che dovrà essere effettuata  dal Tribunale  nell’ambito della “fattibilità giuridica”,  riguarderà la sussistenza    una “attestazione idonea” da parte del professionista,  la quale deve ritenersi tale solo   quando resa da un “professionista indipendente” rispetto al debitore;[23] tale requisito   deve ritenersi soddisfatto quando l’attestatore “non è legato all’impresa  e a coloro che  hanno interesse all’operazione di risanamento  da rapporti di natura personale o professionale tali da compromettere  l’indipendenza di giudizio” e quando  - nemmeno mediante  il tramite di soggetti  con i quali è unito da vincoli di associazione professionale -   non ha prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato  o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo”. [24]

Si è quindi precisato che il professionista attestatore, oltre a dichiarare il possesso dei requisiti e l'assenza delle incompatibilità di cui all'articolo 28 L.F., deve “…aggiungere espressamente di non aver prestato negli ultimi cinque anni, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo dello stesso, al fine di rendere più esplicita l'osservanza delle nuove disposizioni sulla sua indipendenza, previste dal novellato articolo 161, comma 3, L.F..  [25]. La specifica e necessaria indicazione del requisito formale dell’indipendenza del professionista è stata  richiesta  da parte  della giurisprudenza  di merito, affermando che “… nella relazione attestativa che accompagna la domanda di concordato preventivo, il professionista deve dichiarare espressamente la propria indipendenza ovvero la mancanza di interessi personali nell'operazione, di rapporti professionali o personali con soggetti che vi abbiano interesse, tali da compromettere l'indipendenza di giudizio, nonché la mancata prestazione, nei cinque anni antecedenti la presentazione della proposta, di consulenza al debitore, neppure attraverso associati”.[26]

Nello stesso senso si è  (implicitamente) già espressa  la Corte di Cassazione a SS.UU. nella sentenza citata,  precisando che “…   Il professionista attestatore, pur non essendo un consulente del giudice, deve, pertanto, avere caratteristiche di indipendenza (significativamente rafforzate dalla sanzioni penali di cui all'articolo 236 bis, legge fallimentare) e professionalità tali da garantire una corretta attuazione del dettato normativo”.[27]

In favore della necessaria  ed espressa dichiarazione  di indipendenza da parte dell’attestatore, va ricordato come  prima dell’intervento legislativo dell’estate del 2012, parte della dottrina e della giurisprudenza avevano sottolineato  ed evidenziato l’opportunità che il professionista che  redige la relazione  di attestazione prevista  in tema di  piano attestato,   accordo di ristrutturazione e concordato preventivo,  fosse  persona che si collocasse  in posizione di indipendenza e terzietà tanto dall’imprenditore, quanto dai creditori che partecipano al piano di risanamento, in maniera analoga e ancor più rigorosa di quanto richiede l’art. 28, comma 3°, per l’indipendenza del curatore;  tale necessità  costituiva, ad avviso di  molti interpreti,  un principio generale, che trovava molti punti di emersione nel sistema anche a livello di principi di deontologia professionale,  osservando anche come  la serenità e obiettività di giudizio potessero  essere condizionate, anche inconsapevolmente, dal coinvolgimento di interessi personali.

A tale proposito era stata proposta  anche una “best practice”, nell’individuazione del professionista ex art. 161 l.f. precisando che  “… il professionista non deve trovarsi in una delle situazioni di incompatibilità previste per le società di revisione che svolgono l’attività di revisione contabile delle società quotate, rispetto all’impresa e a coloro che beneficiano delle esenzioni da revocatoria in base al piano, e comunque rispetto ai principali creditori. E’ opportuno che il professionista, pur potendo intervenire già nella fase di redazione del piano al fine di acquisire le necessarie informazioni, sia soggetto diverso dal consulente”. In tale prospettiva si  era   precisato che  il professionista  non doveva  “…. essere legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di salvataggio da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio. La sua funzione di tutela dei terzi sarebbe infatti pregiudicata dall’esistenza di un interesse che vada al di là del semplice interesse a massimizzare le probabilità di successo dell’operazione di risanamento, con il connesso beneficio anche per i terzi e per i creditori che non vi siano direttamente coinvolti. Dato il tipo di prestazione svolto dal professionista attestatore e data l’utilità di poter contare su una disciplina e degli standard interpretativi frutto di ampia elaborazione e condivisione, il criterio di indipendenza che meglio si presta al professionista appare essere quello previsto per l’incarico di revisione contabile delle società quotate.

In tale prospettiva interpretativa si sottolineava come dovevano essere evitate „… situazioni di incompatibilità non soltanto con riguardo all’impresa cui si riferisca il piano di risanamento o l’accordo di ristrutturazione, ma anche con riguardo ai creditori e in genere a coloro che beneficiano delle esenzioni da revocatoria in base al piano (ad esempio, l’acquirente dell’azienda).

Appare  quindi logico – ora che il requisito di “indipendenza”  è espressamente previsto dalla legge, che tale dichiarazione costituisca l’aspetto preliminare dell’attestazione  e che la sua mancanza  conduca, necessariamente ed inevitabilmente, alla pronuncia di inammissibilità.

Passando ad esaminare il concetto di “indipendenza”, va subito  osservato come non possa rivestire il ruolo di attestatore  il consulente abituale, il sindaco, l’amministratore, il socio del ricorrente, ancorché egli sia in possesso dei requisiti di legge per rilasciare l’attestazione

Va inoltre osservato come dal punto di vista della definizione del concetto di “indipendenza”  rileveranno  non solo vincoli di natura contrattuale e lavorativa con l’imprenditore e con società controllate o controllanti, ma anche tutti i “rapporti di natura personale”.

Quest’ultimo, tuttavia, costituisce un riferimento   talmente ampio da consentire   all’Autorità giudiziaria un vaglio critico nei casi concreti molto penetrante e pervasivo sull’effettiva situazione di indipendenza, lasciandola, libera di valutare i “rapporti personali” esistenti fra  debitore ed attestatore.

Qualora  il requisito  dell’indipendenza, sebbene dichiarato nell’attestazione,  non debba essere concretamente  riscontrato,  la sanzione processuale sarà, ancora una volta, quella  dell’inammissibilità del concordato,  non potendosi  configurare – per evidenti motivi -  il rimedio dell’integrazione ex art. 162 l.f,  non essendo prospettabile  la redazione di una “nuova” attestazione  da parte di un professionista indipendente entro 15 giorni (a meno di non voler ritenere tale la precedente attestazione sottoscritta dal nuovo professionista)

 

b) La sussistenza dei presupposti sostanziali

B1) La sussistenza di un giudizio di fattibilità sorretto da una motivazione coerente

Si è ricordato che i  primi orientamenti giurisprudenziali sono ormai nel senso che in mancanza di una attestazione conforme alle indicazioni legislative, il Tribunale potrà dichiarare inammissibile il concordato in quanto mancante dei presupposti di “fattibilità giuridica”.[28]

Come sopra evidenziato,  dottrina e giurisprudenza   avevano  individuato alcuni elementi minimi ed imprescindibili, in presenza dei quali la proposta di concordato preventivo doveva  ritenersi inammissibile.[29]

Tali criteri sono stati – anche recentemente – richiamati e meglio  delineati  da parte  della  giurisprudenza[30], la quale,   verificando la sussistenza  dei presupposti di "fattibilità giuridica” cui  deve ora considerarsi  condizionata l’ammissione alla procedura.

In particolare  la giurisprudenza ha affermato che “… la motivazione del giudizio di fattibilità deve essere adeguata, completa e coerente con la motivazione. Il professionista attestatore dovrà specificare quali verifiche abbia svolto onde appurare la fondatezza e corrispondenza ai principi contabili dei dati messi a sua disposizione, quali verifiche abbia compiuto in ordine all’esistenza ed all’ammontare dei debiti e a fondamento della valutazione di esigibilità dei crediti, nonché quali concrete valutazioni di fattibilità del piano abbia compiuto. Con specifico riferimento ai crediti, dovrà indicare i criteri di valutazione degli stessi e le ragioni che inducano a non svalutarli, dovrà verificare se siano stati emessi dei protesti nei confronti delle società creditrici, quali siano le date di anzianità dei crediti, le condizioni finanziarie patrimoniali, se i creditori siano soggetti in difficoltà o in procedura concorsuale, se vi siano stati tentativi di recupero e se i crediti siano contestati. Con riferimento alle proposte pervenute, l’attestatore dovrà accertare la genuinità, veridicità e la serietà di un’eventuale proposta irrevocabile d’acquisto di un cespite aziendale contenuta nel piano di cui all’art. 160 l. f. Riferendo inoltre quali concrete valutazioni di fattibilità del piano abbia compiuto”.[31] In altra occasione[32] si è poi precisato che “….l’ 'attestazione del professionista di cui all'art. 161, comma 3, legge fallimentare, deve offrire garanzia ai creditori, come al giudice, sull'esito positivo delle analisi compiute dal debitore rispetto ai dati aziendali e sulla conseguente verosimile certezza che quanto previsto nel piano possa effettivamente realizzarsi nei modi e tempi proposti. Un'attestazione che esprima valutazioni sulla fattibilità di mera "possibilità" o anche "probabilità" è priva dei requisiti prescritti per legge e deve quindi condurre all'inammissibilità della proposta concordataria, ove il professionista incaricato non provveda a rivederla nel termine all'uopo assegnabile dal tribunale.  

Si è ancora affermato[33]   che “… In tema di ammissione del concordato preventivo, il tribunale deve verificare non solo che i documenti prodotti siano aggiornati, dettagliati e completi e che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati e la fattibilità del piano sia adeguatamente motivata, ma anche che non ricorrano -alla luce dei dati conoscitivi disponibili, eventualmente apportati dal P.M. legittimamente intervenuto- ipotesi di nullità ex art. 1421 c.c. attinenti alla violazione di norme imperative, alla illiceità o all'impossibilità dell'oggetto, che -anche mediante sopravvalutazione di cespiti patrimoniali o indebita pretermissione o svalutazione di voci del passivo- si traducano in un vizio genetico della causa, accertabile in via preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza del piano e non sanabile dal consenso dei creditori. (Nella specie, il tribunale ha escluso che la stima di partecipazioni societarie, prospettata come eccessiva dal P.M. ma adeguatamente motivata dal professionista attestatore in un supplemento di relazione, superasse i confini della normale alea connessa alla valutazione di fattibilità di qualsiasi iniziativa economica ed integrasse una ipotesi di nullità della proposta concordataria)”.

Nella prospettiva di una   valorizzazione del ruolo che la legge ha assegnato al professionista attestatore si è altresì precisato[34] che  qualora il medesimo“…. allo scopo di attestare fattibilità del piano concordatario si avvalga dell'operato e delle valutazioni di altri soggetti, deve far proprie le loro conclusioni e produrre una esplicita assunzione di responsabilità in ordine al loro operato”.

L’esigenza di un puntuale controllo motivazionale che sorregga  l’attestazione di fattibilità è stata recentemente ribadita anche da parte di quella giurisprudenza[35] che ha precisato come “… il professionista che attesta il piano di cui all'articolo 161, legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo invece desumere i dati in questione dalla realtà dell'azienda che egli deve indagare verificando la reale consistenza del patrimonio, esaminando e vagliando i dati che lo compongono. Nell'ambito di questa indagine rientra l'accertamento che i crediti vantati siano esistenti e concretamente esigibili in quanto relativi a debitori solvibili.

Con specifico riferimento  alla fattibilità del piano   proposto dal debitore, l'attestatore  dovrà  verificare che “… sia concretamente attuabile, in relazione agli obiettivi che si propone e alla specifica situazione concreta. È, infatti, noto che l'aspetto della fattibilità del piano è collegato al contenuto della proposta e alle modalità individuate dal debitore stesso di superamento della crisi di impresa. È evidente, allora, che diverse sono le condizioni di fattibilità a seconda che il piano sia liquidatorio o di ristrutturazione e contempli o meno la prosecuzione dell'attività d'impresa. In ogni caso l'attestatore dovrà dar conto dei criteri seguiti per l'espressione del giudizio ed esplicitare il percorso logico seguito nell'esame della fattibilità. È altresì evidente che detto percorso deve essere tanto più analitico quanto maggiore è la complessità del piano e numerose sono le variabili cui è collegato”.

In considerazione della funzione  che l’attestazione deve svolgere  (id est assicurare ai creditori la serietà della proposta e la sua praticabilità),il giudizio di fattibilità non  dovrà limitarsi ad una prognosi di "possibilità" o di "probabilità" - posto che nella realtà fenomenica quasi tutto il possibile e la probabilità non soddisfa alcun reale interesse dei creditori, ma dovrà esprimere  un giudizio di “….. concreta verosimiglianza, nel senso che la situazione (necessariamente futura) prospettata nel piano deve apparire il naturale sviluppo, secondo logiche di esperienza e in base ai dettami delle discipline economiche finanziarie, delle premesse del piano e delle condotte attuative finalizzate alla sua esecuzione. Anche in questo caso, l'attestatore dovrà attenersi a criteri di prudenza, tenendo conto del fatto che ai creditori non interessa la possibilità astratta, ma la concreta praticabilità della soluzione proposta”.[36]

Si era ancora affermato[37]   che   “… l’art. 162 l.fall., nel condizionare l’esito positivo del giudizio di ammissibilità alla accertata ricorrenza di  determinati  “presupposti”,  ricomprende  tra  questi l’attestazione dell’esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sulla c.d. “fattibilità” del piano, correttamente da intendersi come un “requisito attinente alla costituzione e allo svolgimento del rapporto processuale”, nello specifico della procedura di concordato preventivo. E’ allora logico e coerente ritenere che l’oggetto del giudizio di ammissibilità da parte del tribunale non possa essere la mera esistenza materiale del “documento”-relazione del professionista  incaricato  dall’imprenditore,  ma  il  suo contenuto,  cioe`  l’attestazione  sulla  veridicità  dei  dati aziendali e sulla prospettata fattibilità del piano. In altri termini,  lo  screening  da  parte  dell’autorità  giudiziaria non puo` e non deve limitarsi alla constatazione dell’allegazione tra i documenti di cui all’art. 161 l.fall. della relazione dell’esperto, ma deve avere come oggetto proprio il contenuto dell’attestazione di veridicità dei dati aziendali e contabili esposti e della prognosi di coerenza e concretezza del piano in essa contenuta”.


B2) La necessità da parte dell’attestatore di un controllo analitico della contabilità del proponente il concordato al fine di esprimere un effettivo giudizio di  veridicità dei dati aziendali

La  necessità di un controllo effettivo ed analitico  da parte del professionista sulla contabilità del proponente, era stata richiesto, oltre che dalla giurisprudenza, anche dalla dottrina,[38]  la quale, al fine di chiarire i limiti del sindacato del tribunale nella fase iniziale della procedura di concordato preventivo,  aveva affermato che “… a norma dell’art. 162 l.fall., così come modificato dal D.Lgs. n. 169/2007, il tribunale deve verificare la sussistenza dei “presupposti” di cui all’art. 161 l.fall., tra i quali vi è appunto la relazione dell’esperto, attestante la veridicità dei dati aziendali”.

Da parte della giurisprudenza si è pertanto affermato che “… nel concordato preventivo, con specifico riguardo all’attestazione di veridicità dei dati aziendali, il giudizio dell’attestatore non può limitarsi a una mera dichiarazione di conformità, ovvero di corrispondenza formale dei dati utilizzati per la predisposizione del piano a quelli risultanti dalla contabilità, ma, al contrario, tale giudizio comporta che il professionista accerti e attesti che i dati in questione siano “effettivamente reali”[39], specificando altresì come “… il concetto di “veridicità” dei dati aziendali di cui all'articolo 161, comma 3, L.F. deve essere ricondotto a quello di “rappresentazione veritiera e corretta” ex art. 2423 c.c., e deve, quindi, essere inteso in termini di “corrispondenza al vero”. In questa prospettiva, il professionista attestatore è tenuto ad esaminare e verificare i singoli elementi contabili ed extracontabili su cui il piano concordatario si fonda, vale a dire tutti i dati di natura contabile, aziendalistica e giuridica rilevanti ai fini dell’attuabilità del piano, con la precisazione che particolare attenzione l’attestatore deve prestare agli elementi di maggiore importanza in termini quantitativi (ad esempio, crediti rilevanti), alle componenti del capitale circolante che generano flussi di cassa (ad esempio, scorte, crediti, debiti, ecc.), ed agli elementi con profili di rischio elevato ai fini dell’attestazione (ad esempio, avviamenti di assets da dismettere, fondi di rischio ed oneri).  

Alla luce di tali premesse è stato considerato[40]  “… inadempiente il professionista che, incaricato di redigere la relazione di cui all'articolo 161, comma 3, legge fallimentare, con riferimento alla questione della veridicità dei dati aziendali, si sia limitato a richiamare la relazione redatta dalla società di revisione, senza dar atto di alcuna attività accertativa da lui specificamente svolta, che trascuri di valutare la fattibilità del piano, ometta ogni considerazione sulla omogeneità della posizione giuridica e sugli interessi economici dei creditori che compongono le varie classi, sulla congruità delle diverse percentuali di soddisfazione offerte ai creditori nonché sul raffronto comparativo tra la soddisfazione proposta in sede concordataria e quella realizzabile in sede fallimentare e che, infine, trascuri di riferire sul rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione”.

L’esigenza di una verifica autonoma ed indipendente da parte del professionista attestatore è stata  ribadita dal  Tribunale di Casalmonferrato[41] da parte del quale si è condivisibilmente precisato che “In sede di ammissione al concordato preventivo, il controllo giudiziale, benchè non diretto alla verifica della convenienza e della fattibilità della proposta, deve dar conto positivamente della regolarità e completezza della documentazione, tra cui il riscontro di una relazione di attestazione conforme al tipo legale e dunque adeguatamente motivata, con indicazione delle verifiche effettuate, nonché della metodologia e dei criteri seguiti per pervenire all’asseverazione sulla veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano. Tale "giudizio sul giudizio" non può dirsi raggiunto ove tale documento sia caratterizzato da molteplici criticità, in quanto - posto a confronto con l'esemplificazione di modello delle Linee Guida del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti del 2006 - i dati esposti non siano stati per lo più verificati dal professionista in modo autonomo, ma solo recepiti dalle informazioni fornite dal debitore, con valutazioni espresse in forma apodittica, con la conseguenza che difettano gli elementi per porre i creditori in condizione di esprimere un reale consenso informato, che costituisce il bene giuridico protetto dalla norma.”.

Si è  poi precisato  come “… al fine di effettuare l'attestazione della veridicità dei dati, il professionista che attesta la relazione di cui all'articolo 161, legge fallimentare deve verificare la reale consistenza del patrimonio dell'azienda, esaminando e vagliando gli elementi che lo compongono. Egli deve, quindi, accertare che i beni materiali ed immateriali esposti in domanda (diritti di esclusiva, brevetti, giacenze di magazzino, macchinario, beni immobili, eccetera) siano esistenti e correttamente valorizzati, anche prendendone visione diretta o, in caso di dubbio, richiedendo apposite stime (senza che ciò non lo esima da una valutazione critica della stima); deve accertare che i crediti vantati siano esistenti e concretamente esigibili, in quanto relativi a debitori solvibili, effettuando le opportune verifiche (circolarizzazione del credito, esame della situazione patrimoniale del debitore, ecc.); deve accertare il valore delle partecipazioni societarie calandosi nella realtà della società partecipate”.

Tali valutazioni dovranno  essere effettuate  utilizzando un “ … criterio di prudenza ovvero assumendo, nel dubbio, le attività esposte al valore più basso”,

Analoghe indicazioni dovranno  essere esposte  nella valutazione  delle passività, ove l’attestatore dovrà verificare   “…. che quelle esposte siano (quantomeno) quelle risultanti dalla contabilità e dagli altri documenti aziendali (non solo dal bilancio), nonché dalle informazioni che egli possa assumere presso clienti, banche e fornitori; che il debitore abbia tenuto conto, nella proposta, della natura dei crediti vantati nei suoi confronti (privilegiati o chirografari), indagando la condizione del creditore e la causa del credito; che il debitore abbia palesato l'esistenza di diritti reali di garanzia esistenti sui suoi beni; che abbia tenuto conto delle passività potenziali connesse agli obblighi contributivi o fiscali, ovvero la posizione di garanzia assunta rispetto ai lavoratori; che abbia adeguatamente considerato i rischi connessi ai contenziosi pendenti o prevedibili; che abbia risolto (o programmato di risolvere) secondo legge e contratto i rapporti giuridici pendenti. Anche in questo caso, dovrà seguire criteri di prudenza assumendo, nel dubbio, al valore più alto le passività accertate”.[42]

Il rigoroso  orientamento  giurisprudenziale – che riteniamo di condividere pienamente -  trova peraltro conferma  in solide argomentazioni  dottrinali.[43]

Si era, infatti, evidenziato  - ancora prima della pronuncia della Sezioni Unite,  come    il compito del professionista indicato dall'articolo 161 terzo comma legge fallimentare consista nella redazione di una relazione attestante la veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano che, per sua natura è sottoposta al sindacato del tribunale: a ciò consegue che l'attestazione di veridicità dei dati aziendali “… non possa limitarsi ad un'assicurazione di corrispondenza tra i dati indicati nel piano proposto dall'imprenditore e la sua contabilità, dovendone piuttosto garantire l'esattezza con illustrazione dei criteri e delle metodologie seguite nel procedimento di revisione e ciò sulla base di un attento e critico scrutinio del bilancio e delle scritture contabili che dia conto anche delle modalità della loro tenuta in funzione della finalità informativa e di tutela dei creditori della relazione, pure senza l’analiticità di una revisione contabile non esigibile né richiesta dal tenore letterale, oltre che dallo spirito della normativa”.[44]

 

4. Conclusioni

Alla luce di tali indicazioni[45]  appare evidente – a pena di inammissibilità della domanda - come le future attestazioni effettuate dal professionista che accompagnano la proposta di concordato preventivo, al fine di soddisfare da un lato il controllo di "fattibilità giuridica" (così come delineato da parte della Corte di Cassazione a Sezioni unite il tipo di controllo che il  Tribunale deve assolvere al momento di ammissibilità del concordato), e dall'altro evitare l'eventuale rischio penale ora sancito dall'articolo 236 bis  l.f.[46], dovranno essere redatte con congrua motivazione in ordine alla fattibilità, specificando altresì quali verifiche siano state effettuate ed i criteri e la metodologia seguiti per giungere alla attestazione di veridicità dei dati aziendali.

In tal senso si è peraltro pronunciato anche il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili in data 4 giugno 2014  ove a proposito della “fattibilità” si è precisato che  “.. per esprimere  il giudizio di fattibilità l’attestatore deve aver acquisito una visione globale di quanto studiato, mediante le analisi degli aspetti delineati nei paragrafi precedenti (ipotesi strategiche, strategia di risanamento, programma di azione, ipotesi economico finanziarie e stress test), nonché maturato un convincimento  circa la concreta realizzabilità del piano in funzione delle risorse e delle competenze della quali l’impresa dispone”.[47]



[1] Cfr. Per una rassegna delle opinioni dottrinali  ci permettiamo di rinviate a  Bersani, Il concordato preventivo, Milano, 2012; Ferro, commento all’art. 162 l.f. in  La legge fallimentare, decreto legislativo  12 settembre 2007 n. 169. Disposizioni integrative e correttive. Commentario teorico – pratico, Padova, 2008, pag. 309: Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale – Profili sostanziali,  in Trattato di diritto fallimentare,  diretto da Buonocore e Bassi,  vol. I, Padova, 2010, ove si osserva che il “.. il tribunale  e qui sta l’innovazione più significativa rispetto al passato, non peraltro più un ruolo di indagine, e quindi di decisione, sulla convenienza economica  e sulla meritevolezza del concordato, ,a è deputato  a vigilare sulla trasparenza dell’operazione e sulla corretta informazione  dei creditori ai fine di rendere  attendibili le informazioni sulla base delle quali gli stesso debbono esprimere   il loro voto sulla proposta di concordato”.

[2]  Cfr. Cass. SS.UU.   23 gennaio 2013, n. 1521 - Pres. Preden - Est. Piccininn

[3] Cfr.  tal senso cfr. Tribunale di Palermo, 18 maggio 2007, in Il Fallimento, 2008 pag. 75 ss., secondo cui “in sede di omologazione, il collegio deve compiere una nuova verifica dei requisiti di ammissibilita` previsti dalla legge e gia` sommariamente esaminati nel decreto emesso in epoca immediatamente successiva al deposito del ricorso,  nel contraddittorio con le parti dissenzienti”.

[4] Cfr. Arato, La domanda di concordato preventivo dopo il d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in Dir. Fall., 2008, I, 61.

[5] Con riferimento alle problematiche dell’abuso dello strumento del concordato preventivo; Giovetti, Il nuovo preconcordato: profili di inammissibilità ed abuso del diritto, in www.ilfallimentarista.it; in giurisprudenza cfr. Tribunale di Piacenza, 1 settembre 2011, in www.ilcaso.it; Tribunale di Milano, 19 luglio 2011, in Dir. fall., 2012, II, pag. 387 ss, con commento di Nocera, Abuso del diritto nella formazione delle classi nel concordato preventivo; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, con nota di Perrino, Abuso del diritto e concordato fallimentare: un tentativo di affermare il principio della giustizia contrattuale, in Foro it., 2011, 2118; Cass. 23 giugno 2011 n. 13817, in Dir. fall., 2011, II, pag. 615, con nota di Bertacchini, I creditori sono gli unici “giudici” della fattibilità della proposta … con il limite dell’abuso dello strumento concordatario in violazione del principio di buona fede; Cass. 29 luglio 2011 n. 16738; Cass. 18 settembre 2012 n. 18190. Da ultimo cfr. Corte di Appello di Milano, 21 febbraio 2013, in www.ilcaso.it

[6] Si evidenzia da parte della Corte di Cassazione come “…. , e` altrettanto certo che, proprio in ragione della diversita` del ruolo del giudice cui si e` sopra fatto cenno, questi non puo` esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilita` dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore, esulando detta prognosi dalla causa del concordato come precedentemente delineata ed essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti interessati, una volta assicurata la corretta trasmissione dei dati ed acquisite le indicazioni del commissario giudiziale, nell’esercizio delle funzioni di controllo e di consulenza da lui svolte nella veste di ausiliario del giudice.

[7] Cfr. Tribunale di Pescara,  20 ottobre 2005,  in il Diritto Fallimentare, 2006, pagg. 130; Tribunale di Monza, 16 ottobre 2005,  in Il Fallimento, 2005, pag. 1403; Tribunale di Ancona, 13 ottobre  2005,  in Il Fallimento, 2005, pag. 1405.

[8] Cfr.  Tribunale  di  Palermo,  17 febbraio 2006,    in  Il  Fallimento,   2006,  pag.  570.

[9] Cfr.    Tribunale  di Monza 17 ottobre 2005,  Dir. e prat. soc., 2005, n. 22, pag. 67.

[10] Cfr. Tribunale di Salerno 3 giugno 2005,  in Fallimento, 2005,  pag. 1297 ss. con commento di  Fauceglia, Il ruolo del tribunale nella fase di ammissione del nuovo concordato preventivo, ivi, pag. 1301 ss.

[11] Cfr.   Tribunale  di  Milano,  9 febbraio 2007,  in Il  Fallimento,  2007,  pag.  1218.

[12] Cfr. Corte  di Appello di  Torino,  19 giugno 2007,  in  Il Fallimento,  2007, pag.   1315.

[13] Cfr. Tribunale di Terni, 4 maggio 2009,  in Giur. di merito,  pag. 2785, con nota adesiva di Ferro.

[14] Cfr. Tribunale di Piacenza, 1 luglio 2008,  ,in www.ilcaso.it, sez. I, n. 1325/2008.

[15] Cfr. Tribunale di Roma, 24 aprile 2008.

[16] Cfr. Vacchiano, I poteri di controllo del tribunale in sede di ammissione del debitore al concordato preventivo, in Il Fallimento, 2007, pag.  1322.

[17] Cfr.  De  Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 35; Demarchi, sub art. 163, in  Ambrosini-Demarchi, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano,  2005, 69; Censoni, Il “nuovo” concordato preventivo, in Giur. comm., 2005, I, 723 ss.; Alessi, Il nuovo  concordato preventivo, in Dir. fall., 2005, I, 1147.

[18] Cfr. Cass. Civ. 29 ottobre 2009, n. 22927, in  Il Fallimento, 2010, pag. 822 ss, con commento di Celentano, I requisiti del professionista che attesta i piani concordatari, ivi, pag. 824, ss.

[19] Cfr.  Cass. Civ., sez. I , 25 ottobre 2010, n. 21860, cit. consultabile anche  in www.ilcaso.it, sez. I,  doc. n.  2796.

[20] Cfr. Arato, La domanda di concordato preventivo dopo il d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in Dir. Fall., 2008, I, 61.

[21] In G.U.  26 giugno 2012 n. 147 suppl. ord. N. 129.

[22] Per un commento generale alle disposizioni fallimentari, cfr. Lamanna, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in www.ilfallimentarista.it ; Cerato, Bana, in Il Fisco, 2012, pag. 4772 ss.; Negri, Concordato con continuità aziendale, in Il Sole 24 ore  16 giugno 2012, pag. 17; Fontana, Scattano le sanzioni penali  per il professionista che mente, ivi, pag. 17; Vitiello, La “nuova responsabilità penale del professionista attestatore, in www.ilfallimenarista.it. Tali fattispecie, soprattutto con riferimento al c.d. “concordato in bianco”  sono ora oggetto di rivisitazione critica  a meno di un anno dalla loro emanazione. In tal senso è la relazione del Presidente della Confindustria Squinzi  in data 23 maggio 2013, il quale evidenzia “… le conseguenze perverse della riforma di alcune parti della Legge Fallimentare. Partendo da un presupposto, certamente corretto, sono state riviste lo scorso anno le regole del concordato preventivo per sostenere le imprese con prospettive di rilancio. Questa possibilità, in un brevissimo tempo, è stata interpretata nel peggiore dei modi: una via per scaricare i debiti sulla  catena produttiva e continuare, indisturbati, l'attività. Questo comportamento immorale sta provocando crisi aziendali a catena, generando un effetto esattamente opposto a quanto desiderava il legislatore. Le cattive abitudini hanno purtroppo velocità di diffusione eccezionale. Bisogna intervenire subito prima che il danno diventi irreparabile per l'economia. Utilizzate lo strumento legislativo che ritenete più adeguato, ma fate presto. Prima dell'economia lo impone l'etica” (cfr. pag. 18, 19 rel. cit.).

[23] Si è parlato in dottrina di requisito “soggettivo” In tal senso cfr. Staunovo Polacco,   Concordato: inammissibilità per difetto di attestazione sulla veridicità dei dati e per pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, in www.Ilfallimentarista.it.Sul punto cfr. anche Stasi,  La terzietà dell’attestatore, ivi.

[24] Per  considerazioni più ampie in ordine a tale aspetto  ci permettiamo di rinviare a  Bersani, Il concordato preventivo, Milano, 2012,  pag. 208 ss.;  Jachia,   Appunti in tema di attestazione degli accordi di ristrutturazione e di responsabilità del professionista, relazione all’incontro di studi del CSM,  Roma, 14 – 16 maggio 2012; Galletti,  La responsabilità civile dell’attestatore nel fallimento, in www.ilfallimentarista.it; Valensise,  Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, in particolare pag. 239 ss.

[25] Cfr. Tribunale Terni 28 gennaio 2013.

[26] Cfr. Tribunale Novara 27 febbraio 2013. In senso contrario cfr. tuttavia Tribunale Bergamo 29 novembre 2012, secondo cui “l’eventuale mancanza di terzietà dei professionisti attestatori quanto al contenuto delle loro relazioni deve ritenersi irrilevante in quanto superata ed assorbita dalle rettifiche apportate dal commissario giudiziale nella sua relazione ex art. 172 l.f..”  

[28] Per una  ricostruzione del  significato del termine “fattibilità” cfr Fabiani, La questione “fattibilità” del concordato preventivo tra lemmi  isolati e novità legislative, relazione  tenuta   al convegno Controllo del giudice ed autonomia privata nel concordato preventivo  (gli indirizzi del merito a confronto e le novità della legge n. 134 del 2012), Roma, 11 ottobre 2012.

[29] Cfr.  Bersani, Fisiologia e patologia del giudizio di omologazione nel concordato preventivo , in www.ilcaso.it, II, 302/2012; cfr. altresì  Vella, Il controllo giudiziale sulla formazione della prededuzione e la  nullità o inefficacia degli atti prodromici o interni al concordato, relazione tenuta al convegno di Roma dell’11 ottobre 2012,  Controllo del giudice ed autonomia privata nel concordato preventivo  (gli indirizzi del merito a confronto e le novità della legge n. 134 del 2012); Giani, Contenuto e limiti del giudizio di omologazione nel concordato preventivo , in www.ilcaso.it, II, 268/2011; Paternò  Raddusa, Concordato preventivo: il controllo giudiziale sulla fattibilità del piano,  in www.ilcaso.it,  doc. 281/2012; Tarantino, I confini  del controllo giudiziale  in sede di ammissibilità  della proposta di concordato  preventivo, in Diritto fall., 2012, II, pag. 409 ss. 

[30] Cfr. Tribunale di Padova sez. I,   decr. 20 dicembre 2012.

[32] Cfr. Tribunale Firenze 7 gennaio 2013.

[33] Trib. di Siracusa, 2 maggio 2012  in www.oci.it. Mass. n. 712.

[36] Cfr. Tribunale Firenze 9 febbraio 2012.

[37] Cfr. Genoviva, I limiti del sindacato del tribunale nel concordato preventivo alla luce del “correttivo”, in Il Fallimento, 2008, pag. 688 ss.

[38] Cfr. Genoviva, op. cit. passim.

[39] Cfr. Tribunale Benevento 23 aprile 2013 -  Pres., est. Monteleone, in www.ilcaso.it. Da parte del Tribunale di Benevento si è inoltre affermato che “Al fine di effettuare l'attestazione della veridicità dei dati di cui all'articolo 161, comma 3, L.F., il professionista deve verificare la reale consistenza del patrimonio dell'azienda, esaminando e vagliando gli elementi che lo compongono. Egli deve, quindi, accertare che i beni materiali ed immateriali esposti in domanda (diritti di esclusiva, brevetti, giacenze di magazzino, macchinario, beni immobili, ecc.) siano esistenti e correttamente valorizzati, anche prendendone visione diretta o, in caso di dubbio, richiedendo apposite stime (senza che ciò lo esima da una valutazione critica della stima); deve accertare che i crediti vantati siano esistenti e “concretamente esigibili”, in quanto relativi a debitori solvibili, effettuando le opportune verifiche (circolarizzazione del credito, esame della situazione patrimoniale del debitore, ecc.); deve accertare il valore delle partecipazioni societarie calandosi nella realtà della società partecipata. Il tutto con “criterio di prudenza” ovvero assumendo, nel dubbio, le attività esposte al valore più basso. Quanto alle passività, egli deve verificare che quelle esposte siano (quantomeno) quelle risultanti dalla contabilità e dagli altri documenti aziendali (non solo dal bilancio), nonché dalle informazioni che egli possa assumere presso clienti, banche e fornitori; che il debitore abbia tenuto conto, nella proposta, della natura dei crediti vantati nei suoi confronti (privilegiati o chirografari), indagando la condizione del creditore e la causa del credito; che il debitore abbia palesato l'esistenza di diritti reali di garanzia esistenti sui suoi beni; che abbia tenuto conto delle passività potenziali connesse agli obblighi contributivi o fiscali, ovvero la posizione di garanzia assunta rispetto ai lavoratori; che abbia adeguatamente considerato i rischi connessi ai contenziosi pendenti o prevedibili; che abbia risolto (o programmato di risolvere) secondo legge e contratto i rapporti giuridici pendenti. Anche in questo caso, dovrà seguire criteri di prudenza assumendo, nel dubbio, al valore più alto le passività accertate”.”. Cfr. in tal senso Tribunale Firenze, 9 febbraio 2012, in Redazione Giuffrè, 2012; nonché Tribunale Mantova, 28 maggio 2012, in www.ilcaso.it, doc. 7257/2012, secondo cui “Il giudizio dell'attestatore di cui all'articolo 161, legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo, invece, desumere i dati in questione dalla realtà dell'azienda, che egli deve indagare verificando la reale consistenza del patrimoni, esaminando e vagliando i dati che lo compongono”.

[41] Cfr. Tribunale di Casalmonferrato del 25 marzo 2011 in  OCI.it, mass. n. 488.

[42] Cfr. Tribunale di Mantova, 28 maggio 2012, cit.

[43] Cfr. Patti,  Quale professionista per le nuove  soluzioni della crisi di impresa:  alternative al fallimento, in Fallimento, 2008,  in particolare pag. 1071 ss.

[44] In tal senso cfr. anche Tribunale di Novara, 29 giugno 2012, con commento di Rovati, in www.ilfallimentarista.it.

[45] Cfr. Tribunale Benevento 16 novembre 2011, secondo cui “… deve essere dichiarata inammissibile la proposta di concordato qualora il giudizio di fattibilità espresso dal professionista attestatore non sia sorretto da adeguata e convincente motivazione in ordine ad un aspetto essenziale del piano e tale giudizio contrasti in modo evidente con le risultanze della documentazione allegata e la normativa applicabile al caso di specie”; cfr. altresì Corte di Appello di Napoli, 3 agosto 2009  in www.oci.it, mass. n. 253,  secondo cui “… il giudice di merito chiamato a valutare l'ammissibilità di una proposta di concordato preventivo può e deve sindacare l'idoneità dell'apparato documentale presentato dal proponente, in esso compresa la relazione attestativa della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano concordatario, a fornire informazioni attendibili e complete sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del medesimo proponente ed a rendere plausibile la prognosi in ordine alle prospettive di realizzazione del piano concordatario formulata dal cd. professionista-attestatore. Va pertanto confermata in sede di reclamo la sentenza di fallimento conseguente alla dichiarazione dell'inammissibilità della domanda di concordato preventivo proposta dal debitore corredata da una relazione attestativa della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano concordatario che ometta del tutto di prendere in considerazione il rischio della revoca di un finanziamento pubblico in precedenza concesso al medesimo debitore ed i contratti con cui quest'ultimo abbia locato immobili aziendali a terzi, peraltro nemmeno indicati nell'elenco di cui all'art. 161, co. 2, lett. c), l.f.”; cfr. altresì Tribunale di Velletri, 9 marzo 2010,  ivi, mass. m- 275; “… In sede di ammissione della proposta di concordato preventivo, il tribunale deve verificare non soltanto che sia stata depositata la documentazione richiesta dalla legge ma che, ancora ai sensi dell'art.161 l. f., la stessa sia anche idonea allo scopo per cui è prevista, cioè che abbia un contenuto minimo tale da garantire la corretta informazione del ceto creditorio e l’attendibilità delle conclusioni esposte; ne consegue la doverosità del decreto di inammissibilità ex art. 162 l. f., in difetto di una riconoscibile coerenza complessiva del piano intesa come chiarezza e sufficiente articolazione della proposta e compatibilità delle previsioni con l’illustrazione critica del giudizio di fattibilità rimesso al professionista attestatore”.

[46] Su tale aspetto particolare ci permettiamo di rinviare a Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell’art. 236 bis l.f., in Indice penale, 2014, pag. 107 ss.

[47] Cfr. Principi di attestazione dei piani di risanamento,  cit. pag. 40.



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