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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 22/09/2014 Scarica PDF

Limiti al sindacato del tribunale sulla probabilità di successo del concordato in sede di omologa

Dario Finardi, Avvocato in Verona


Una recente sentenza della Cassazione[1], intervenuta in maniera specifica sul tema dei limiti del sindacato del tribunale nella fase di omologa del concordato, costituisce l’occasione per le seguenti riflessioni sul punto.

Nella fattispecie decisa trova applicazione l’art. 180 comma V l.f. nella formulazione dettata dal d.l. n. 35/05 che estende il sindacato del giudice alla convenienza della proposta, indipendentemente dalla proposizione di opposizioni, soltanto nell’ipotesi di concordato con classi e di dissenso di una o più classi.

Una breve sintesi dell’iter processuale appare necessaria per inquadrare correttamente l’argomento.

Una società in nome collettivo depositava ricorso per concordato preventivo, con previsione di pagamento integrale dei creditori privilegiati e pagamento del 40% per i chirografari, dilazionato in 12 rate semestrali. Il concordato veniva omologato con decreto del 23.3.06, avverso il quale svolgevano reclamo due creditori. La Corte d’appello accoglieva il gravame e rigettava quindi la domanda di omologa, rilevando che in presenza di creditori dissenzienti che contestavano la fattibilità e convenienza del concordato perdeva rilievo la questione sull’estensione a tali profili del controllo d’ufficio del tribunale e della stessa Corte; in ogni caso, quando la non fattibilità della proposta emerga dopo la votazione favorevole dei creditori (per fatti non rappresentati in sede di adunanza) l’omologa deve essere negata per mancanza del consenso informato dei creditori; dall’istruttoria era emerso che la società non aveva la liquidità necessaria al pagamento dei crediti privilegiati, con conseguente impossibilità del loro pagamento immediato in caso di definitiva approvazione del concordato e con conseguente non omologabilità, secondo la Corte, di un concordato destinato alla risoluzione per inadempimento.

La società in concordato svolgeva ricorso in Cassazione avverso la decisione della corte d’appello, all’esito del quale la sentenza impugnata veniva cassata. Secondo la Suprema Corte l’informazione ai creditori sull’entità e natura del passivo è affidata alla documentazione allegata alla proposta di concordato nonchè alla relazione del commissario giudiziale sulla scorta della verifica dei crediti ed è completata, senza necessità di ulteriori comunicazione, dai risultati dell’ammissione provvisoria dei crediti ai fini del voto.

Inoltre, in sede di omologazione, il sindacato del tribunale e della corte d’appello nel caso di reclamo, non può estendersi attraverso una verifica istruttoria alla probabilità di successo del concordato approvato dai creditori e l’omologazione non può essere negata neppure quando, a giudizio del tribunale o della corte d’appello, sia prevedibile l’inadempimento del concordato.

Nella pronuncia emerge, quindi, una significativa riduzione del giudizio di merito attribuito al tribunale, mettendo in risalto gli aspetti negoziali dell’accordo stipulato tra il debitore e i suoi creditori con l’approvazione, all’esito delle votazioni, della proposta avanzata.

La sentenza è conforme al dettato delle Sezioni Unite[2] e si colloca nel solco delle recenti decisioni della Cassazione sul punto che negli ultimi anni hanno affrontato il tema del sindacato del giudice sulla fattibilità, intesa come prognosi di concreta realizzabilità del piano concordatario, e quale presupposto di ammissibilità, consistente nella verifica diretta del presupposto stesso, sia sotto il profilo della fattibilità giuridica, intesa come controllo di legalità), sia sotto il profilo della fattibilità economica (convenienza della proposta), intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo (giudizio che spetta ai creditori), dovendosi in tal caso, verificare unicamente la sussistenza o meno di un'assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato.[3]

Secondo la Suprema Corte, quindi, il sindacato del tribunale potrebbe estendersi alla convenienza, intesa come soddisfazione del credito nel concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, solo ed esclusivamente nelle ipotesi descritte dalla norma: quando si tratti di un concordato costruito in classi e una o più classi, non costituenti la maggioranza, siano dissenzienti (nel testo del d.l. n. 35/05 anche in assenza di opposizioni, richieste invece dall’1.1.08 ex d.lgs. 169/07). Con il d.l. 83/12 si aggiunge, dall’11.9.2012, un’ulteriore ipotesi ovvero quando il concordato non contempli le classi e vi siano creditori dissenzienti che rappresentino il venti per cento dei crediti ammessi al voto e contestino la convenienza della proposta.

La novità normativa del 2012 costituisce una forma di riequilibrio tra la necessità di tutelare l’interesse del debitore al buon esito della procedura concordataria e quella di preservare l’interesse dei creditori ad ottenere il miglior soddisfacimento possibile[4].

In tutte gli altri casi e fasi, quindi, il controllo del tribunale deve avere ad oggetto:

- l’idoneità della documentazione prodotta e dell’attestazione (completezza – regolarità) a fornire elementi di giudizio ai creditori;

- la fattibilità giuridica della proposta (che non deve essere in contrasto con norme imperative);

- l’effettiva idoneità della proposta ad assicurare la sussistenza in concreto della causa della procedura (superamento della crisi dell’impresa da una parte e, dall’altra, riconoscimento in favore dei creditori di un sia pur minimale soddisfacimento del credito in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti).

Ai creditori, viceversa, viene lasciata la valutazione in ordine al merito della fattibilità economica, della convenienza economica, della probabilità di successo e dei rischi inerenti.

Dopo l’approvazione della proposta da parte dei creditori, quindi, non risulterebbe percorribile da parte del tribunale la verifica della probabilità di successo del concordato o la non omologa quando si ipotizzi un probabile inadempimento del debitore, neppure ove la verifica del giudice facesse emergere l’inidoneità della proposta a soddisfare i diversi crediti nella misura e nei tempi promessi. L’unica ipotesi in cui sarebbe legittimo un decreto che rigetti l’omologa, una volta intervenuta l’approvazione dei creditori, ricorrerebbe quando emerga prima facie la carenza della possibilità di un qualunque soddisfacimento dei creditori[5].

I principi come sopra esposti costituiscono l’approdo della giurisprudenza successivamente al contrasto manifestatosi all’interno della Cassazione in ordine ai poteri del tribunale in fase di omologa del concordato ed in assenza di opposizioni.

Una prima tesi affermava che in sede di omologa il tribunale potesse solo verificare la regolarità della procedura e l’esito delle votazioni, nonché la completezza informativa della domanda mediante il controllo dell’idoneità della relazione del professionista, senza poter ingerire nella fattibilità del piano: “In tema di giudizio di omologazione del concordato preventivo, nel perimetro di controllo (di legittimità anche sostanziale) demandato al tribunale non rientra il potere-dovere di accertare la fattibilità dell'accordo intervenuto tra il debitore proponente ed i creditori, in quanto essi, se informati, sin dall'inizio e durante le fasi successive, in modo veritiero e trasparente sulla situazione aziendale e sulle ragioni di sostegno del piano concordatario, ben possono accordare a quest'ultimo preferenza, rispetto alla liquidazione concorsuale; ne consegue che di tale scelta consapevole il tribunale, verificando la persistenza delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura e l'assenza di fatti di revoca ex art. 173 legge fall., deve limitarsi a prendere atto”[6].

Un diverso orientamento affermava viceversa che il tribunale avesse il potere – dovere di verificare l’effettiva fattibilità del piano, a tutela dell’interesse di tutti i creditori, dovendosi ritenere privo di validità un accordo in concreto inattuabile[7]. L’impossibilità dell’oggetto, quale manifesta impossibilità della proposta di essere adempiuta e non mera prognosi di inadempimento, costituirebbe una condizione di ammissibilità della domanda: “In tema di omologazione del concordato preventivo, sebbene, nel regime conseguente all'entrata in vigore del d.lg. 12 settembre 2007 n. 169, al giudice sia precluso il giudizio sulla convenienza economica della proposta, non per questo gli è affidata una mera funzione di controllo della regolarità formale della procedura, dovendo, invece, egli intervenire, anche d'ufficio ed in difetto di opposizione ex art. 180 l. fall., sollevando le eccezioni di merito, quale quella di nullità, ex art. 1421 c.c.; in particolare, se è vero che l'apprezzamento della realizzabilità della proposta, come mera prognosi di adempimento, compete ai soli creditori, ove sussista, invece, un vero e proprio vizio genetico della causa, accertabile in via preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza del piano, non rilevata nella relazione del professionista attestatore, il giudice deve procedere ad un controllo di legittimità sostanziale, trattandosi di vizio non sanabile dal consenso dei creditori e così svolgendo il predetto giudice una funzione di tutela dell'interesse pubblico, evitando forme di abuso del diritto nella utilizzazione impropria della procedura. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che l'omessa considerazione, nella proposta di concordato, di un ingente credito privilegiato, di radice causale anteriore alla detta proposta, operasse come causa di impossibilità dell'oggetto, così alterando l'ipotesi prospettata di soddisfacimento delle obbligazioni sociali, su cui confidava il consenso del ceto creditorio, dovendosi perciò rigettare la domanda di omologazione”[8].

Sul tema sono quindi intervenute, come noto, le Sezioni Unite nel 2013[9]; la fattibilità si traduce in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati, con un’ulteriore distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica. Come affermato da autorevole Autore [10] il ruolo del giudice nella crisi d’impresa non è divenuto marginale o meno penetrante ma è diverso dal passato.

Rimane, infatti, nella sfera del tribunale il potere dovere di individuare l’idoneità della proposta del debitore a superare la crisi, atteso che la causa del concordato preventivo è proprio la regolazione della crisi attraverso il soddisfacimento dei creditori e un concordato che non regolasse la crisi sarebbe privo di causa. Solo nel caso in cui, quindi, il tribunale accertasse che i creditori non possano percepire un soddisfacimento minimale, potrebbe rifiutare l’omologa della proposta[11].

Sull’individuazione del concetto di causa in concreto del concordato si veda recente pronuncia del tribunale di Modena [12], per il vero intervenuto in merito alla risoluzione di un concordato: “La componente temporale dell'adempimento concorre, unitamente al dato quantitativo (il quantum ragionevolmente ricavabile dalla liquidazione in rapporto alle passività da soddisfare), a formare la causa concreta del concordato, posto che la soddisfazione dei creditori deve avvenire in tempi ragionevolmente contenuti anche nell'ipotesi in cui la proposta qualifichi come non essenziali i tempi di adempimento”.

I principi esposti dalle Sezioni Unite sono stati quindi recepiti, forse in maniera ancora più rigida, dalla citata Cass. 4 luglio 2014, n. 15345, la quale esclude categoricamente che il tribunale, anche laddove verifichi che sia prevedibile un inadempimento del debitore che legittimerebbe i creditori a chiedere la risoluzione del concordato, possa rigettare l’omologa. A sostegno di ciò viene richiamato anche l’art. 186 l.f., il quale, nella rinnovata formulazione successivamente alle modifiche introdotte dall’art. 17 comma I d.lgs 169/07, prevede esclusivamente in capo ai creditori, con esclusione dello stesso p.m., la legittimazione a chiedere la risoluzione.

Viene affrontato, infine, il quesito relativo all’esclusione dal voto, in sede di adunanza, rispetto agli elenchi predisposti dalla società proponente, di un maggior importo di crediti privilegiati e se ciò possa determinare un consenso non informato dei votanti.

Anche su tale motivo Cass. 4 luglio 2014, n. 15345 respinge la doglianza; poiché la questione viene affrontata e decisa in sede di adunanza, cui tutti i creditori vengono convocati con pieno rispetto del contraddittorio per cui in detta sede tutti i creditori possono avere conoscenza dei relativi risultati, non necessitando di alcuna ulteriore comunicazione. Inoltre, la statuizione del G.D. sui crediti privilegiati ha valore esclusivamente ai fini dell’ammissione al voto e del calcolo delle maggioranze e non incide quindi in alcun modo sull’accertamento della natura chirografaria o privilegiata del crediti, accertamento che è rimesso ad un eventuale ed apposito giudizio di merito. La circostanza inoltre non consente al tribunale di negare l’omologazione assumendo che la proposta del debitore sarebbe stata approvata dai creditori in difetto di una completa informazione o che il rischio di un incremento del passivo privilegiato, come nella fattispecie, per una riqualificazione limitata ai soli fini del voto, possa comportare anche un inadempimento della proposta anche per le considerazioni sopra svolte.

Sarebbe stato interessante conoscere l’orientamento della Suprema Corte nel caso in cui la fattispecie decisa fosse stata oggetto della disciplina tuttora vigente. L’art. 179 comma II l.f., come introdotto dal d.l. 82/12, stabilisce che nel caso in cui il commissario verifichi la presenza di mutate condizioni di fattibilità del piano successivamente all’adunanza, ne debba riferire ai creditori ai quali è lasciata la scelta di opporsi e di costituirsi nel giudizio di omologa.

A parere dello scrivente neppure in ipotesi di dette specifiche opposizioni (oltre a quelle eventuali dei creditori ex art. 177 l.f.) il sindacato del tribunale avrebbe potuto portare al rigetto dell’omologa per difetto informativo. Le modifiche concernenti la qualifica in termini di crediti privilegiati di alcune posizioni che erano state classificate tra le passività chirografarie dalla ricorrente, sono state portate a conoscenza dei creditori in sede di adunanza e pertanto, atteso che astrattamente tutti i creditori avrebbero potuto partecipare all’adunanza, deve considerarsi regolarmente instaurato il contraddittorio.

La modifica riguarderebbe inoltre la fattibilità economica del concordato e non quella giuridica, collocandosi al di fuori dei limiti di sindacato del tribunale. Questo potrebbe al più sindacare la convenienza del concordato laddove i creditori, divenuti dissenzienti opponenti, che possono costituirsi sino all’udienza per l’omologa ai sensi dell’art. 179 comma II l.f., anche sommati ai creditori originariamente dissenzienti opponenti ex art. 180 comma IV l.f., rappresentino più del 20% dei crediti ammessi al voto. In detta ipotesi quindi il giudizio del tribunale vedrebbe una propria riespansione, in ordine alla convenienza ma sempre con i limiti già esposti riguardo la fattibilità economica, la cui valutazione, approvazione e rischi sono rimessi esclusivamente ai creditori.  

Laddove, viceversa, il commissario avesse rilevato mutate condizioni di fattibilità giuridica, avrebbe dovuto attivare il procedimento di cui all’art. 173 l.f., rivolto in questo caso al tribunale.

In ogni caso l’organo giurisdizionale conserva, anche in assenza di opposizioni, il potere di negare l’omologa “se in grado di rilevare l’esistenza di atti in frode ai creditori che avrebbero portato la revoca dell’ammissione”, in tale senso come espressione del doveroso controllo da parte del tribunale sulla regolarità della procedura di concordato nelle tre fasi (ammissione, revoca, omologa)[13].



[1] Cass. 4 luglio 2014, n. 15345 in www.ilcaso.it

[2] Cass. S.U. 23/01/2013, n. 1521, in Fall., 2013, 279.

[3] Cass. 6 novembre 2013, n. 24970, in Fall., 2013, 1452; Cass. 25 settembre 2013 n. 21901, ivi, 2013, 1339; Cass. 27 maggio 2013 n. 13083, in www.ilcaso.it; Cass. 9 maggio 2013 n. 11014, in Giust. civ. mass., 2013; Cass. sez. un., 23 gennaio 2013 n. 1521, cit..

[4] Così G. LO CASCIO, Commentario alla Legge Fallimentare, sub art. 180, 2103.

[5] v. P. BOSTICCO, Sull’utilizzo dello strumento del vincolo di destinazione al fine di supportare una proposta concordataria, in Fall., 2014, 912.

[6] Cass. 16 settembre 2011, n. 18987 in Foro it., 2012, 1, 135, con nota M. FABIANI. Nello stesso senso Cass. 26 giugno 2011, n. 13817, in Foro it. 2011, 9, 2308; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586, in Giust. civ. Mass, 2011, 2, 240; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in Foro it. 2011, 7-8, 2095 (nota M. PERRINO); Trib. Modena 21 novembre 2008; Trib. Milano 27 marzo 2008, in Riv. dottori comm. 2008, 5, 941; Trib. Milano 29 dicembre 2005 in Fall., 2006, 5, 575 (nota G. LO CASCIO); Trib. Mantova 15 dicembre 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Milano 8 novembre 2005, in questa Fall., 2006, 6, 730 (s.m.); Trib. Como 22 luglio 2005, in Fall., 2006, 3, 287 (nota G. RAGO).

[7] (Trib. Pescara 16 ottobre 2008, in Giur. Merito, 2009, 1, 125 (nota L. D'ORAZIO); Trib. Piacenza 1 luglio 2008, in Giur. Merito, 2009, 1, 149 (nota P.G. TRAVERSA).

[8] Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, in Riv. dottori comm., 2012, 1, 182.

[9] Cass. S.U. 23 gennaio 2013 n. 1521, cit..

[10] M. FABIANI, Concordato preventivo e giudizio di fattibilità: le sezioni unite un po’ oltre la metà del guado, in Foro it., 2013, 1573.

[11] Di recente si veda Trib. Reggio Emilia, 27 gennaio 2014, in Fall., 2014, 907, nota di P. BOSTICCO, per il quale il sindacato del Giudice in ordine alla fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa di detto procedimento.

[12] Trib. Modena 11 giugno 2014, in www.ilcaso.it.

[13] v. Cass. 24 giugno 2014, n. 14552, in www.ilcaso.it, anche in un caso di già intervenuta approvazione da parte dei creditori e già resa informativa specifica degli atti dolosi in frode agli stessi creditori; Cass. 4 giugno 2014, n. 12533 in www.ilcaso.it; si veda altresì M. Fabiani, Per un superamento delle reciproche diffidenze fra giudice e parti del concordato preventivo, in www.ilcaso.it.


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