Lavoro


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/05/2020 Scarica PDF

Obblighi di prevenzione, responsabilità "231" e delega di funzioni del datore di lavoro

Lorenzo Crocini, Avvocato in Arezzo


Sommario: 1. L’art. 25-septies Dlgs. n. 231/2001 e le nozioni di interesse e vantaggio - 2. Una fattispecie concreta - 3. Una recente Cassazione sulla delega di funzioni - 4. La delega di funzioni come strumento di organizzazione.  

     

1. Tra le norme che hanno posto il perimetro della responsabilità penale degli enti all’interno del Dlgs. n. 231/2001, l’art. 25-septies possiede un’indubbia rilevanza, sia sotto il profilo delle questioni giuridiche, da subito emerse e attinenti la compatibilità strutturale del reato colposo con le nozioni di “interesse o vantaggio” dell’ente che caratterizzano la “responsabilità 231”, sia per l’estensione statistica delle pronunce che ne hanno fatto applicazione.

La norma in discorso ha introdotto, a far data dal 15.05.2008, nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti, le fattispecie di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro[1], che sono alla base di una parte importante di tutte le pronunce di penale responsabilità delle imprese e costituiscono a tutt’oggi uno dei principali stimoli all’adozione di efficaci modelli di organizzazione e gestione, ai sensi dell’art. 6 Dlgs. n. 231/2001.

Sin dal suo apparire, dicevamo, la norma in questione è apparsa distonica all’interno del nuovo sistema, diretta com’era a richiamare fattispecie di tipo meramente colposo che sembravano prima facie persino incompatibili con l’accertamento di un interesse o di un vantaggio riferibili all’ente[2], che necessariamente avrebbero dovuto accompagnare, nell’ottica originaria del legislatore, le pronunce di condanna della persona giuridica.

La Suprema Corte è intervenuta a più riprese a sciogliere questa larvata antinomia.

Con sentenza S.U. n. 38343/2014, la Corte ha statuito che, nei delitti colposi, l’interesse o il vantaggio dell’ente, contemplati nell’art. 5 del decreto citato, non debbano considerarsi riferiti alla verificazione dell’evento dedotto in fattispecie, quanto piuttosto ed unicamente alla condotta.

D’altro canto, i due parametri normativi non possono essere interpretati come un’endiadi, costituendo, tra loro, concetti fortemente diversi.

E’ infatti possibile distinguere, da un lato, un interesse prefigurato e poi non realizzato (da valutarsi ex ante) e, dall’altro lato, un obiettivo vantaggio conseguito con la commissione dell’illecito e magari inizialmente non prospettato, da valutarsi ex post[3]. 

Stando a Cass. n. 38363/2018, in definitiva, l’interesse dell’ente nel manifestarsi del reato colposo sussiste quando la persona fisica penalmente responsabile abbia violato la normativa antinfortunistica con il consapevole intento di ottenere un risparmio di spesa per l’ente stesso, indipendentemente dal suo raggiungimento, mentre il vantaggio sussiste quando la persona fisica abbia violato la normativa antinfortunistica determinando un obiettivo risparmio di costi per l’impresa, o la massimizzazione della produzione, anche indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio medesimo.

 

2. Con la recente sentenza n. 13575/2020, il Giudice di legittimità confermava la sanzione pecuniaria a carico di una Spa per le lesioni colpose gravi riportate da un dipendente a causa di un getto di plastica liquida incandescente che aveva attinto la mano sinistra dell’uomo, non protetta (come invece avrebbe dovuto) da guanti ad alta protezione termica, dichiarando, al contempo, la prescrizione del reato commesso dall’amministratore unico dell’ente[4].

Nella pronuncia di merito giunta al vaglio della Corte era stata, infatti, correttamente vagliata, a giudizio dei supremi giudici, la sussistenza di un obiettivo vantaggio scaturente dall’illecito e tale da fondare la responsabilità.

In particolare, molteplici indici fattuali deponevano per la colpa del soggetto agente e per il manifestarsi di un vantaggio oggettivo dell’impresa riprovato dall’ordinamento:

- il lavoratore era stato munito di guanti in gomma, utili a proteggere dal rischio di taglio, ma non dal rischio di ustioni: anzi, la probabilità dell’evento lesivo, nella fattispecie, risultava aumentata dal concreto pericolo che il materiale plastico dei guanti si incollasse alle mani a causa del calore;

- il rischio era stato correttamente censito nel DVR, ma la società non aveva approntato i necessari dispositivi per la conseguente mitigazione, che anzi erano stati posti in essere solo successivamente alle disposizioni impartite, al riguardo, dalla ASL territorialmente competente;

- l’infortunio era peraltro da porre in relazione alla carente formazione e informazione dei lavoratori circa le modalità di intervento manuale nel ciclo del processo produttivo e all’assenza di un libretto di istruzioni del macchinario utilizzato;

- la prassi non corretta seguita dalle maestranze al fine di accelerare o non interrompere il normale ciclo produttivo che già in passato, nella stessa azienda, aveva dato luogo ad infortuni, non era stata efficacemente sorvegliata dal datore di lavoro, né, tanto meno, impedita.

In buona sostanza, la società aveva tratto vantaggio dalla velocizzazione degli interventi manutentivi e quindi da un risparmio diretto sui tempi di lavorazione, dal mancato acquisto di dispositivi di protezione idonei, dal mancato svolgimento di corsi di formazione, dall’imposizione di ritmi di lavoro che prescindevano del tutto dalla messa in sicurezza della macchina tramite il necessario raffreddamento.

 

3. Il tema della responsabilità dell’ente per i reati colposi commessi con violazione delle norme antinfortunistiche si lega alla necessità, per l’azienda, di approntare un modello di gestione della sicurezza rispondente ai parametri normativi previsti e disciplinati dal Dlgs. n. 81/2008 e dall’art. 6 Dlgs. n. 231/2001.

Nella costruzione del sistema di gestione, un ruolo strutturale è giocato dal disegno dell’organigramma della prevenzione, e in particolare dalla previsione di adeguate deleghe di poteri.

Recentemente, la Suprema Corte, con sentenza n. 6564/2020 è tornata sul tema della giuridica validità della delega di funzioni (ex art. 16 Dlgs. n. 81/2008) per ribadire come, affinché si determini il subentro del delegato nella posizione di garanzia ricoperta dal delegante, occorre che l’atto di delega sia espresso, inequivoco, certo, e investa persona tecnicamente capace, dotata non solo delle necessarie cognizioni tecniche, ma anche di poteri decisionali e di intervento, fermo e impregiudicato l’obbligo del datore di lavoro di controllare che il delegato faccia uso corretto dei suoi poteri, secondo le prescrizioni di legge.

Del resto, afferma la Corte, gli stringenti requisiti di validità ed efficacia della delega sono proporzionati e coerenti al ruolo di garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, che l’ordinamento attribuisce al datore di lavoro (arg. art. 2087 c.c.), con la conseguenza che, laddove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo potrà essergli imputato a titolo di responsabilità omissiva ex art. 40 comma 2 c.p..    

Nel caso oggetto della sentenza citata, la delega è stata quindi ritenuta invalida poiché non accompagnata da adeguata autonomia di spesa del delegato, per approvvigionamenti e manutenzioni, essendo, per quest’ultimo, prevista la sola possibilità di porre in essere atti esecutivi rispetto a contratti quadro già perfezionati da altri organi sovraordinati della società[5].


4. La presenza della delega di funzioni, nel contesto del sistema di gestione aziendale della sicurezza, rappresenta un sicuro indice di adeguatezza di quello specifico assetto organizzativo.

Essa costituisce un atto tipico di autonomia privata che determina il trasferimento di poteri e obblighi in favore di un delegato professionalmente qualificato al ruolo, che acquista a titolo derivativo una posizione di garanzia giuridicamente rilevante, con effetto liberatorio.

I requisiti di forma-contenuto della delega sono tuttavia prescritti dalla legge, e sulla loro concreta ricorrenza, come abbiamo visto, la giurisprudenza di legittimità si è rivelata sovente molto rigorosa.

In primo luogo, il negozio deve risultare da atto scritto avente data certa, e l’incarico deve essere oggetto di accettazione espressa da parte del delegato, soggetto, per definizione, in possesso di adeguate professionalità ed esperienza in rapporto alle funzioni attribuite.

In secondo luogo, l’incarico dovrà prevedere la necessaria autonomia di spesa unitamente a specifici poteri di cura dell’assetto organizzativo e amministrativo afferente il settore della sicurezza, in modo da dare adeguata sostanza giuridica al trasferimento di poteri.

Elemento non trascurabile è, infine, rappresentato dalla adeguata pubblicità della delega all’interno dell’organizzazione aziendale così come nei confronti dei terzi.

La conoscenza degli elementi organizzativi interni e della struttura dell’organigramma, capillarmente diffusa tra dipendenti collaboratori e terzi interessati, è, infatti, il primo elemento di effettività suscettibile di scriminare la figura del delegante in ipotesi di inchiesta finalizzata all’accertamento di responsabilità, in sede civile come in sede penale; in riferimento alla persona fisica così come in riferimento alla persona giuridica.

L’accertamento giudiziale è, infatti, sempre accertamento di concrete condotte di fatto, del tutto a prescindere dai caratteri delle strutture formali, le quali possono manifestare la loro tenuta solo se calate nella quotidiana e minuta realtà del ciclo lavorativo.       

Nel modello organizzativo disegnato dal Dlgs. n. 81/2008, non tutte le funzioni proprie del datore di lavoro possono, però, essere delegate: l’art. 17 esclude espressamente questa possibilità in ordine (i) alla valutazione dei rischi e conseguente redazione del documento di valutazione (DVR) e (ii) alla designazione del responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP).

Peraltro, la perdurante responsabilizzazione del vertice aziendale emerge dall’obbligo di vigilanza sull’esercizio dei poteri delegati.

Sul punto, occorrerà precisare che tale obbligo di vigilanza si presume adempiuto nel caso di adozione di un sistema di gestione della sicurezza che soddisfi i requisiti di cui all’art. 30 Dlgs. n. 81/2008, rappresentando, dunque, un assetto organizzativo adeguato alla natura e alle dimensioni della singola impresa, e che, comunque, l’obbligo di controllo non potrà risolversi nell’esigibilità di una presenza continuativa o quotidiana, soprattutto qualora l’impresa consti di più stabilimenti o unità locali.

Resta la necessità, a tutela della posizione del delegante, di tracciare il compimento di riunioni periodiche con il delegato, l’assunzione di informazioni o l’instaurazione di flussi informativi che possano essere, a posteriori, adeguatamente provati.   



[1] L’articolo, prima aggiunto dall'art. 9 L. 03.08.2007, n. 123 (G.U. 10.08.2007, n. 185) è stato, poi, così sostituito dall'art. 300, Dlgs. 09.04.2008, n. 81 (G.U. 30.04.2008, n. 101, n. 108) con decorrenza dal 15.05.2008. 

[2] Dlgs. n. 231/2001 - Art. 5 “1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.”

[3] L’elemento dell’”interesse” consiste in una proiezione finalistica che caratterizza l’agire del soggetto agente, mentre il vantaggio consiste nell’obiettivo quid pluris derivato all’ente dall’azione illecita e come conseguenza del reato.   

[4] Come noto, in presenza della declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. b) Dlgs. n. 231/2001, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità “amministrativa” della persona giuridica nel cui interesse o a cui vantaggio il fatto fu commesso.

[5] In altri casi, è stata ritenuta invalida la delega non accettata per iscritto dal delegato, oppure generica, o poiché ambigua o equivoca (tra le altre, si veda Cass. 05.05.2011).


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