Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/06/2020 Scarica PDF

Anatocismo ed usura nei mutui. Profili civilistici: alla ricerca di un linguaggio comune tra matematica e diritto

Graziano Aretusi, Carmine Mario Germinara, Laura Germinara, Carlo Mari, Matteo Nerbi, Domenico Provenzano, Michele Sirgiovanni, Bruno Spagna Musso, Graziano Aretusi (PhD in Statistica Applicata, Università degli Studi “G. D’Annunzio”, CH-PE, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale). Carmine Mario Germinara (Presidente ASSUBA, Commercialista, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale). Laura Germinara (Dottore Commercialista in Prato, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale). Carlo Mari (Professore Ordinario di Matematica Finanziaria Università degli Studi “G. D’Annunzio” CH-PE). Matteo Nerbi (Avvocato in Massa Carrara). Domenico Provenzano (Magistrato Civile Tribunale di Massa). Michele Sirgiovanni (Magistrato Civile Tribunale di Prato). Bruno Spagna Musso (Avvocato, già Magistrato e componente Sezioni Unite della Corte di Cassazione)


Sommario: 1. Introduzione - 2. Sul regime composto e sul regime semplice e sul concetto di anatocismo - 3. Sul principio di equità (o equivalenza) nelle operazioni di scambio - 4. Sulle condizioni che devono essere indicate in contratto: sulle attività condotte dal bancario nella fase di progettazione e dal tecnico nella fase di verifica dell’operazione di scambio - 5. Sui piani di ammortamento in regime composto degli interessi - 6. Sul TAN e sul TAE in regime composto e in regime semplice - 7. Sugli effetti dell’anatocismo sul TAEG e sul TEG - 8. Sul riconoscimento dell’anatocismo giuridico attraverso la conoscenza del regime finanziario - 9. Sulle implicazioni notevoli e sui principi generali e costituzionali

 

1. Introduzione.

La questione dell’anatocismo bancario nei prestiti a rimborso graduale è un tema di grande attualità ed è materia di un vivo dibattito. Una serie di questioni che riguardano gli aspetti concettuali e terminologici e gli effetti che i differenti regimi di interessi comportano sull’operazione, sono state oggetto di diversi giudizi di merito. La materia, cioè, non può prescindere da uno studio approfondito delle questioni matematiche e tecniche, che devono necessariamente ritrovare una loro dimensione nel fatto giuridico.

La matematica finanziaria si occupa di tutti i problemi relativi al denaro e al suo impiego. Il denaro è lo strumento con cui si possono effettuare scambi commerciali tra soggetti; infatti con il denaro si comprano e vendono beni e servizi. Lo scambio di denaro può avvenire in un’unica soluzione oppure in istanti temporali diversi. Nel primo caso si parlerà di prestito elementare, nel secondo caso si parlerà di prestito graduale (o rateale). Ad esempio, una somma di denaro presa in prestito oggi, può essere restituita completamente in un’unica soluzione alla fine di quattro anni, oppure può essere restituita in quattro soluzioni, parte alla volta, alla fine di ogni anno.

In questo senso, le operazioni finanziarie (cioè quelle operazioni di cui si occupa la matematica finanziaria) consistono nello scambio di una somma di denaro ad una certa data, con un’altra somma di denaro a un’altra data. Chi presta il denaro è il creditore, mentre chi riceve il denaro è il debitore.

Affinché l’operazione finanziaria possa avere corso, si dovrà rispettare il principio di equità finanziaria, cioè dovrà essere garantito il rispetto di un equilibrio finanziario tra il creditore e il debitore: se in questo istante prestassi una somma di denaro, il soggetto che la riceve sarebbe disposto a restituirmi, in questo stesso istante, non di più della somma di denaro prestata e, sempre nello stesso istante, io non sarei disposto a riavere meno della somma prestata. Quindi, l’unico equilibrio possibile consiste nel prestare una somma di denaro e ricevere in cambio, nello stesso istante, la stessa somma di denaro, né più e né meno. Infatti, se fosse violato questo principio di equità finanziaria, una delle due parti (creditore o debitore) si procurerebbe un vantaggio a scapito dell’altra parte; di conseguenza, se la parte svantaggiata rilevasse il vantaggio altrui, non sarebbe più propensa a concludere o effettuare l’operazione.

Ovviamente, affinché il creditore abbia interesse a privarsi di una somma di denaro e a impiegarla, cioè a metterla a disposizione del debitore per un periodo di tempo, dovrà essere incentivato a farlo attraverso la promessa di ricevere, alla scadenza dello scambio, oltre alla somma di denaro prestata, detta capitale, anche un’ulteriore somma di denaro come compenso, chiamato, per l’appunto, interesse. A scadenza, l’importo complessivo di capitale e interesse è detto montante dell’operazione. Per cui, il montante è una miscela di capitale e interessi nella proporzione stabilità dal tasso di interesse. È del tutto evidente che l’interesse dipende sia dal denaro prestato (capitale), sia dal tempo dell’impiego del denaro. Più grande è la somma di denaro prestata, più grande sarà l’interesse da corrispondere al creditore; più lontano sarà il momento della restituzione della somma di denaro, più grande sarà l’interesse da corrispondere da parte del debitore.

In matematica finanziaria, l’interesse viene calcolato, in funzione al tempo dell’impiego, come una proporzione del denaro prestato, attraverso, quindi, un valore percentuale, detto tasso d’interesse, applicato alla somma di denaro prestata (capitale). Non bisogna confondere l’interesse con il tasso di interesse, poiché mentre il primo è una somma di denaro, il secondo è un numero espresso in forma percentuale e non è una somma di denaro. Il tasso di interesse esprime quindi la misura percentuale finalizzata a remunerare il creditore per aver prestato quella somma di denaro per un certo periodo. Dal momento che tale misura percentuale viene applicata al denaro prestato (capitale), è importante definire la modalità di applicazione di questa percentuale. Il modo con il quale viene applicato il tasso di interesse ad una somma di denaro, è detto regime di interessi (o degli interessi).

In matematica finanziaria esistono due principali regimi di interessi: il regime semplice e il regime composto degli interessi. Nel regime semplice, gli interessi non contribuiscono a formare l’interesse nei periodi successivi, perché gli interessi sono calcolati solo sul capitale. Mentre, nel regime composto, gli interessi contribuiscono a formare gli interessi per il periodo successivo, poiché gli interessi sono calcolati sia sul capitale che sugli interessi dei periodi precedenti. Nel caso del regime composto si parla, quindi, di interessi sugli interessi o anatocismo, motivo per cui, a parità di somma prestata, tasso di interesse e di durata dell’operazione, il regime composto è più oneroso per il debitore (e più remunerativo per il creditore) rispetto al regime semplice, in quanto comporta un maggiore esborso in termini di interessi.

Ad esempio, un soggetto a cui sono stati prestati 1.000 euro oggi al tasso del 10% annuo, dopo 4 anni dovrà restituire 400,00 euro di interessi in regime semplice e, invece, euro 464,10 di interessi in regime composto, con un significativo maggiore costo dell’operazione in termini di interessi per il debitore. A parità di condizioni, cioè, un’operazione progettata in regime composto condurrà ad un risultato diverso e più oneroso per il debitore, rispetto a quello che si otterrebbe in regime semplice degli interessi.

In questo senso, non si può non segnalare che la normativa civilistica italiana prevede il divieto di anatocismo (art.1283 Cod.Civ.) e, allo stesso tempo, indica di calcolare gli interessi dei frutti civili in ragione del regime semplice degli interessi (art.8213 del Cod.Civ.).

Altresì, è bene evidenziare che la materia dell’anatocismo e della scelta delle modalità di calcolo di interessi semplici o composti, è di esclusiva competenza degli Stati membri e non è oggetto di una specifica regolamentazione nella normativa dell’Unione Europea, circostanza sottolineata dalla sentenza della Corte di Giustizia del 19/07/2012 nel caso C591/10 che ha stabilito che “In assenza di disciplina dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti in presenza dei quali gli interessi devono essere corrisposti, segnatamente per quanto riguarda l’aliquota degli interessi medesimi e le loro modalità di calcolo (interessi semplici o interessi composti)”.

Inoltre, anche il quadro normativo internazionale, mostra una generale tendenza a non ritenere ammissibile la composizione dell’interesse: in questo senso, diverse discussioni e controversie internazionali hanno mostrato una generale tendenza a non accettare la composizione dell’interesse.[1] Ciò è motivato dal fatto che la natura esponenziale della legge dell’interesse composto, ha un effetto esplosivo nel medio-lungo periodo, fattore che incide notevolmente sul rischio di insolvenza e, quindi, sulla capacità di programmare in maniera efficiente gli investimenti.

Nondimeno, il maggiore impatto che il regime composto comporta rispetto al regime semplice in termini di interessi, ha delle conseguenze significative e rilevanti anche ai fini patrimoniali per il debitore. A tal proposito, l’art.1374 del C.C. recita che “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità. Così, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea (Sentenza caso C-125/18) ha evidenziato che un comune debitore, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve essere messo nelle condizioni di valutare “sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie e che “un giudice di uno Stato membro è tenuto a controllare il carattere chiaro e comprensibile di una clausola contrattuale vertente sull’oggetto principale del contratto”.

E dire che, in realtà, vi è la possibilità di progettare dei piani di indebitamento/investimento in grado di evitare la composizione degli interessi,[2] e ciò permette di operare un più efficace controllo delle componenti di debito e di formalizzare degli schemi di indebitamento più efficienti, in cui la generazione del sovraindebitamento da interessi è precluso.  

Va considerato che tali elementi hanno una serie di implicazioni notevoli in diritto e va rilevata l’importanza e la necessità del lavoro del consulente tecnico d’ufficio che, si evidenzia, è un ausiliario del giudice a garanzia della verifica scientifica dell’elemento tecnico. In questo senso, la consulenza tecnica d’ufficio è indispensabile per il giudice, per la complessità tecnica della materia. Ma, allo stesso modo, la consulenza tecnica ha l’obbligo di richiamare la letteratura scientifica di settore e di conformare i propri metodi alle tecniche dimostrate e riconosciute in tale letteratura, circostanza che garantisce al giudice un corretto sviluppo in diritto di quanto rilevabile sulla questione scientifica. Di nessun pregio sarebbe una consulenza che non si richiami e non si sviluppi sulla base di metodologie riconosciute nella letteratura scientifica di settore, poiché non ci sarebbe la garanzia che la decisione del giudice si possa formare sulla base dell’ausilio di una consulenza basata su un corretto sviluppo scientifico.

Le questioni matematiche, cioè, trovano una loro dimensione all’interno delle implicazioni e delle valutazioni, sia sotto i profili dei principi generali che in senso conformativo ai precetti generali e Costituzionali di equità, buona fede, ragionevolezza, proporzionalità, solidarietà e correttezza, meritevolezza e affidamento, rispetto ai quali è riconosciuta la potestà di controllo ed intervento del Giudice (Cassazione Civile Sezioni Unitedel 13/09/2005 n. 1812).

In questo complesso quadro, l’obiettivo di queste note di approfondimento e studio sarà, quindi, quello di descrivere come operano i due differenti regimi di interessi, illustrandone le diverse caratteristiche, con particolare attenzione alle operazioni finanziarie con rimborso graduale (rateale). In particolare:

- Mostreremo che l’importo degli interessi può essere calcolato secondo due principali modalità. In regime composto, in cui l’importo degli interessi si calcola sia sul capitale che sugli interessi dei periodi precedenti, oppure in regime semplice, in cui l’importo degli interessi viene calcolato solo sul capitale. Ricorrendo alla letteratura di settore, dimostreremo che in matematica finanziaria esiste il concetto di anatocismo o regime composto. I due termini, cioè, hanno lo stesso significato. Vedremo che il concetto di anatocismo presente in matematica finanziaria si assimila perfettamente al concetto di anatocismo presente in diritto, sia da un punto di vista della definizione che degli effetti che produce (2. Sul regime composto e sul regime semplice e sul concetto di anatocismo);

- Spiegheremo che ogni operazione di scambio è governata da un principio naturale, noto come principio di equità. Vedremo che tale principio garantisce che l’operazione possa avere corso e che, in violazione di tale principio, una delle due parti ottiene un vantaggio a danno dell’altra parte. In tal caso, l’operazione potrà avere corso solo se uno dei due contraenti non si accorge del vantaggio altrui. Essendo il bancario un operatore qualificato, è fondamentale che sia garantito, ad un comune debitore, quale contraente debole, che le condizioni contrattuali siano intelligibili (3. Sul principio di equità (o equivalenza) nelle operazioni di scambio);

- Evidenzieremo che in fase di progettazione di un’operazione di scambio, il bancario non può decidere arbitrariamente se applicare il regime composto o il regime semplice degli interessi, perché si otterrebbero due risultati diversi dello scambio. Vedremo che, a parità di condizioni, il regime composto è più oneroso per il debitore rispetto al regime semplice, per via del maggiore costo dovuto agli interessi sugli interessi. Infine, mostreremo che la letteratura scientifica indica la procedura per la verifica di un problema di scambio. Tale procedura consiste nell’applicazione del principio di equità finanziaria: ciò permette di verificare quale regime di interessi sia stato effettivamente applicato e di determinare quale sia l’effettivo tasso di interesse applicato all’operazione in regime semplice (4. Sulle condizioni che devono essere indicate in contratto: sulle attività condotte dal bancario nella fase di progettazione e dal tecnico nella fase di verifica dell’operazione di scambio);

- Vedremo che non è possibile evitare il fenomeno della generazione degli interessi sugli interessi nell’ammortamento in regime composto. Mostreremo come verificare se un piano di rimborso è stato progettato in regime composto, poiché, qualunque sia il piano di rimborso del prestito, sia esso in unica soluzione alla scadenza oppure graduale nel tempo, a rate costanti o meno, è l’utilizzo del regime composto a indurre la generazione di interessi sugli interessi. Esiste, alternativamente, la possibilità di progettare piani di ammortamento in regime semplice, per evitare il fenomeno della generazione degli interessi sugli interessi (5. Sui piani di ammortamento in regime composto degli interessi);

- Illustreremo come i tassi di interesse regolano l’operazione sia nel regime composto che nel regime semplice. Poiché i due regimi di interesse, a parità di condizioni, producono due montanti diversi dell’operazione, allora, a parità di montante, corrisponderanno tassi diversi se calcolati in regime composto o in regime semplice. In via generale, a parità di montante dell’operazione, il tasso corrispondente in regime composto è più basso del tasso corrispondente in regime semplice, per effetto dei maggiori costi in termini di interessi che comporta il regime composto rispetto al semplice. Introdurremo i concetti di Tasso periodale, di TAN e di TAE, spiegando che tali tassi possono essere calcolati, a parità di piano di rimborso, sia in regime composto che in semplice, comportando due risultati diversi del tasso. Mostreremo che, in regime composto, gli interessi sugli interessi non sono misurati come un costo ai fini del calcolo di tali tassi. In regime semplice, invece, gli interessi sugli interessi sono misurati come un costo ai fini del calcolo di tali tassi (6. Sul TAN e sul TAE in regime composto e in regime semplice);

- Discuteremo sul fatto che se la componente di costo relativa all’anatocismo (infrannuale e extrannuale) esiste, allora dovrà necessariamente essere considerata nella valutazione del TAEG e del TEG. Diversamente il TAEG e il TEG non costituiranno delle misure globali del prestito e non esprimeranno il costo totale del finanziamento (7. Sugli effetti dell’anatocismo sul TAEG e sul TEG);

- Descriveremo l’esigenza di coordinamento tra Matematica e Diritto quale indefettibile presupposto di un approccio analitico corretto sia dal punto di vista giuridico che sul piano scientifico. Illustreremo le congetture della giurisprudenza di merito ed il contrasto con i principi della Matematica Finanziaria. Ragioneremo sulla nullità (parziale) per indeterminatezza della clausola relativa al tasso di interesse, sui più recenti sviluppi del dibattito giurisprudenziale circa il rapporto tra il piano di ammortamento in capitalizzazione composta ed il divieto di anatocismo e sulla rilevanza dell’anatocismo ai fini del controllo antiusura (8. Sul riconoscimento dell’anatocismo giuridico attraverso la conoscenza del regime finanziario);

- Introdurremo quali sono le implicazioni che tali rilievi comportano sui principi generali e costituzionali (9. Sulle implicazioni notevoli e sui principi generali e costituzionali).

 

2. Sul regime composto e sul regime semplice e sul concetto di anatocismo.

In tutti i manuali di matematica finanziaria viene spiegato che l’Interesse è calcolato su un capitale e si produce con il passare del tempo. Se al tempo 0 (all’origine dell’operazione di scambio) Caio chiedesse a Tizio un prestito di 1.000 euro per 4 anni, affinché Tizio abbia interesse a privarsi di 1.000 euro e a metterli a disposizione di Caio per 4 anni, dovrà essere incentivato a farlo attraverso la promessa di ricevere, alla scadenza dei 4 anni, oltre ai 1.000 euro di capitale prestato, anche un’ulteriore somma di denaro come compenso, chiamato, per l’appunto, interesse. A scadenza dei 4 anni, l’importo complessivo rimborsato di capitale e interesse è detto montante dell’operazione. Per cui, il montante è una miscela di capitale e interessi nella proporzione stabilità dal tasso di interesse. Ma come viene stabilita questa proporzione? Cioè, come viene calcolato l’interesse sul capitale? Qual è la modalità con la quale il tasso di interesse viene applicato al capitale per ottenere l’importo degli interessi? E, quindi, a parità di capitale e di tasso di interesse e di durata dell’operazione, la diversa modalità di calcolo degli interessi (semplice e composta) comporta un diverso ammontare degli interessi? La risposta è sì, a parità di capitale, durata e tasso di interesse, il regime composto comporta un maggiore importo di interessi rispetto al regime semplice. Questo perché le due modalità di calcolo (semplice e composta) conducono, per costruzione, a due diversi risultati dell’operazione.  In letteratura, la differenza tra i due regimi è ampiamente descritta (Cfr. Tabella 1).


Autore

Regime Semplice

Regime Composto

Polidori C. Matematica Finanziaria. Le Monnier, Firenze, 1954.

“gli interessi non sono convertibili, cioè non producono interessi: essi sono direttamente proporzionali al capitale impiegato C, alla durata dell’impiego t, e al tasso i”

“In ogni istante gli interessi prodotti si aggiungono al capitale per fruttare nell’istante successivo”

Levi E. Corso di Matematica Finanziaria. La Goliardica, Milano, 1959.

“Si ha interesse semplice quando l’interesse si paga una sola volta alla scadenza ed è proporzionale, oltre che al capitale, anche alla durata del prestito”

“L’interesse si aggiunge al capitale e dal quel momento l’interesse si calcola sul montante. Nel montante composto non si ha più la proporzionalità al tempo”

Ottaviani G. Lezioni di Matematica Finanziaria. Veschi, Roma, 1988.

“l’interesse si calcola sul capitale impiegato, proporzionalmente al tempo”

“L’interesse che matura in ciascun periodo, al termine del periodo viene sommato al capitale per concorrere alla produzione dell’interesse nel periodo successivo”

Moriconi F. Matematica Finanziaria. Il Mulino, Bologna, 1994.

 

“La maggiorazione per interesse relativa al differimento dell’operazione non contribuisce a formare gli interessi per gli anni successivi che vengono sempre calcolati in proporzione al valore iniziale”

“La maggiorazione per interesse relativa al differimento dell’operazione viene sommata al valore all’inizio dell’anno e contribuisce alla formazione dell’interesse qualora l’operazione venga prolungata per l’anno successivo”

Tabella 1. Definizione di regime composto e regime semplice in letteratura

 
 

E la letteratura di settore spiega che la differenza tra regime composto e semplice si sostanzia nel fatto che:

· nel regime semplice, gli interessi non contribuiscono a formare l’interesse nei periodi successivi e, quindi, gli interessi semplici SONO DIRETTAMENTE PROPORZIONALI al capitale impiegato e al tempo.

· nel regime composto, gli interessi contribuiscono a formare gli interessi per il periodo successivo e, quindi, gli interessi composti NON SONO DIRETTAMENTE PROPORZIONALI al capitale impiegato e al tempo.

Ne consegue che è il criterio di proporzionalità che distingue i due regimi. Ed è talmente vero che è la proprietà di proporzionalità a distinguere il regime dell’interesse semplice, che il Levi la assume come definizione stessa del regime semplice: “l’interesse risulta proporzionale (oltre che al capitale) al tempo, anzi questa proprietà può assumersi come definizione dell’interesse semplice”.[3]

Tale criterio di proporzionalità, si trova specificato nell’art.8213 del codice civile: I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto ed è stato più volte richiamato nelle sentenze di Cassazione Civile del 27/01/1964 n.191, di Cassazione Civile del 25/10/1972 n.3224, di Cassazione Civile del 23/11/1974 n. 3797 e di Cassazione Civile Sez. Tributaria del 07/10/2011 n.20600, che presentano, tutte, stessa massima: “trova applicazione il principio generale in base al quale, ove occorra determinare, sulla base di un saggio di interesse stabilito in ragione di anno, l'importo degli interessi per un periodo inferiore, bisogna dividere l'ammontare degli interessi annuali per il numero di giorni che compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare (art 821 terzo comma cod civ).In questo senso, il fatto che l’ammontare degli interessi per un periodo infrannuale sia direttamente proporzionale al numero di giorni da considerare rispetto ai giorni dell’anno, dà la certezza che il regime a cui si riferiscono le sentenze è quello semplice e non può essere quello composto. Infatti, solo nel regime semplice questo criterio di diretta proporzionalità è garantito, mentre nel regime composto ciò non avviene. Questi rilievi mostrano che l’essenza della differente caratterizzazione dei due regimi (semplice e composto) risiede nella caratteristica di proporzionalità al tempo: il regime semplice garantisce la diretta proporzionalità al tempo, mentre il regime composto no.

Bisogna evidenziare, inoltre, che il concetto di anatocismo è di dominio della matematica finanziaria ed è descritto e definito in diversi testi almeno dal 1845, accomunandolo al regime composto e alla produzione di interessi sugli interessi. Ad esempio il Casano (1845) e il Levi (1953) definiscono il concetto di anatocismo come sinonimo del concetto di regime composto.[4] Pertanto, nel caso del regime composto si parla di interessi sugli interessi o anatocismo.

Ma allora, come si calcola l’interesse nei due regimi a parità di capitale, tasso e durata dell’operazione?

Se Tizio presta a Caio 1.000 euro per 4 anni al tasso del 10% annuale, allora significa che per ogni 1.000 € di capitale ricevuto in prestito per il primo anno, Caio versa a Tizio 100 euro al termine del primo anno. Ma dal secondo anno in poi come si calcola l’interesse?

Se l'interesse è SEMPLICE, allora l'interesse relativo al secondo anno si calcola sempre e solo sul capitale iniziale di 1.000 euro, così anche per il secondo anno frutteranno 100 euro di interessi. Così pure per il terzo anno frutteranno 100 euro di interessi e per il quarto anno sempre 100 euro di interessi. Quindi a scadenza, alla fine del quarto anno, Caio pagherà a Tizio un totale montante di 1.400 euro, come miscela di 1.000 euro di capitale e 400 euro di interessi nella proporzione determinata, per costruzione, dal regime SEMPLICE, in maniera tale che gli interessi fruttati siano direttamente proporzionali al tempo e al capitale.

Se l'interesse è COMPOSTO, invece, per il secondo anno l’interesse viene calcolato sia sul capitale (1.000 euro) che sugli interessi già maturati (100 euro), ovvero su 1.100 euro. L’interesse per il secondo anno sarà quindi pari al 10% di 1.100 euro, vale a dire 110 euro di interessi per il secondo anno. La stessa cosa accadrà per il terzo anno quando l'interesse sarà calcolato sul capitale iniziale (1.000 euro) aumentato degli interessi del primo anno (100 euro) e del secondo anno (110 euro). Per cui, l’interesse per il terzo anno sarà calcolato al tasso del 10% su 1.210 euro, vale a dire 121 euro di interessi per il terzo anno. Per il quarto anno, l'interesse sarà calcolato sul capitale iniziale (1.000 euro) aumentato degli interessi del primo anno (100 euro), del secondo anno (110 euro) e del terzo anno (121 euro). Per cui, l’interesse per il quarto anno sarà calcolato al tasso del 10% su 1.331 euro, vale a dire 133,10 euro di interessi per il quarto anno. Così, alla fine del quarto anno Caio pagherà a Tizio un totale montante di 1.464,10 euro, come miscela di 1.000 euro di capitale e 464,10 euro di interessi nella proporzione determinata, per costruzione, dal regime COMPOSTO in maniera tale che gli interessi fruttati non sono direttamente proporzionali al capitale e al tempo.

Quindi, a parità di capitale, durata e tasso di interesse, il regime composto comporta un maggiore importo di interessi rispetto al regime semplice. Poiché l’interesse è contenuto nel montante, il fatto che il regime composto comporta un maggiore importo di interessi, si riversa direttamente nel fatto che, a parità di condizioni (capitale, tasso e durata), l’importo del montante rimborsato a scadenza è più elevato in composto che in semplice. Questo vale anche nel caso dei prestiti graduali (rateali): a parità di condizioni il rimborso effettuato in regime composto sarà più elevato di quello corrispondente nel regime semplice.  

A questo punto ci chiediamo: ma il concetto di anatocismo presente in matematica finanziaria corrisponde al concetto di anatocismo presente in diritto?

Come evidenziato univocamente da significativa e recente giurisprudenza,[5] appare chiaro che i due concetti siano perfettamente assimilabili, sia sotto il piano giuridico che matematico-finanziario. Infatti, il meccanismo anatocistico è tale che il “complessivo monte interessi previsto nella totalità delle rate include, quindi, già ab origine e, cioè, fin dal momento della conclusione dell’accordo negoziale, la maggiorazione anatocistica. Per l’appunto, in ragione del regime finanziario adottato per la predisposizione del piano di ammortamento, l’anatocismo sussiste nella stessa pattuizione, ovvero nel valore della rata concordata al momento della stipulazione del contratto in base al piano di ammortamento utilizzato, in virtù dell’applicazione del tasso contrattuale in regime di capitalizzazione composta” (Cfr. Tribunale di Massa, sentenza nr.90 del 04 febbraio 2020, Giudice D. PROVENZANO).

Tra l’altro, anche Banca d’Italia conferma tali rilievi, poiché offre una definizione di anatocismo e spiega qual è la disciplina generale di riferimento. Tanto si può trovare sui canali di informazione finanziaria ufficiale di Banca d’Italia, ai seguenti indirizzi:

-          https://www.bancaditalia.it/servizi-cittadino/cultura-finanziaria/informazioni-base/anatocismo/index.html

-          https://www.bancaditalia.it/servizi-cittadino/cultura-finanziaria/informazioni-base/anatocismo/infografica-stampa.pdf

-          https://www.bancaditalia.it/servizi-cittadino/cultura-finanziaria/informazioni-base/anatocismo/anatocismo-sintesi.pdf

In particolare, Banca d’Italia scrive:

Anatocismo e interesse composto. L’anatocismo è il calcolo degli interessi sugli interessi che sono già maturati su una somma dovuta. Gli interessi maturati si trasformano in capitale (in linguaggio tecnico si dice che si capitalizzano) ossia sono sommati all’importo dovuto e producono al loro volta interessi: è in questo caso che si parla di interesse composto.”

Il termine anatocismo. Il termine anatocismo fa riferimento al calcolo degli interessi sugli interessi scaduti: gli interessi scaduti vengono sommati al capitale e producono a loro volta interessi, determinando una crescita della somma inizialmente dovuta (e, in caso di somme oggetto di prestito, una maggiore crescita del debito connesso alla restituzione). La disciplina generale. Il codice civile (art.1283) per gli obblighi riguardanti somme di denaro prevede un generale divieto di anatocismo, salvo specifiche eccezioni. Infatti dispone che, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti non producono interessi se non dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di accordo successivo alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.”

Pertanto, è la stessa Banca d’Italia che chiarisce che il termine anatocismo si assimila al calcolo degli interessi sugli interessi, al regime composto dell’interesse e alla disciplina generale di cui all’art.1283. Banca d’Italia dichiara che l’art.1283 definisce un generale divieto di anatocismo, che vale in caso di somme oggetto di prestito, laddove gli interessi vengono calcolati in regime di interessi composti.

Nondimeno, la diretta proporzionalità al tempo degli interessi che è richiesta letteralmente dall’art.8213 cod.civ., è garantita dal regime semplice, mentre il regime composto viola tale requisito, proprio per effetto dell’anatocismo, cioè dei maggiori interessi che si producono, con il passare del tempo, sugli interessi dei periodi precedenti, in maniera non direttamente proporzionale al tempo.

In altre parole:

- il regime semplice garantisce, per costruzione, la diretta proporzionalità al tempo degli interessi, proprio perché tale caratteristica è nella definizione stessa di regime semplice, dal momento che gli interessi non sono mai calcolati sugli interessi dei periodi precedenti;

- il regime composto comporta, per costruzione, l’applicazione di interessi sugli interessi, proprio perché la caratteristica dell’anatocismo è nella definizione stessa di regime composto, dal momento che gli interessi sono calcolati anche sugli interessi dei periodi precedenti e, quindi, non sono direttamente proporzionali al tempo.

Infine, il maggiore costo che il regime composto comporta rispetto al regime semplice in termini di interessi, ha delle conseguenze significative e rilevanti anche ai fini patrimoniali per il debitore. Poiché “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità (art.1374 del C.C.), allora un comune debitore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve essere messo nelle condizioni di valutare “sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie (Corte di giustizia dell’Unione europea, Sentenza caso C-125/18). In questo senso, dal momento che i due regimi comportano conseguenze diverse e più onerose per il debitore nel caso del regime composto degli interessi, “un giudice di uno Stato membro è tenuto a controllare il carattere chiaro e comprensibile di una clausola contrattuale vertente sull’oggetto principale del contratto” (Corte di giustizia dell’Unione europea, Sentenza caso C-125/18).

L’esigenza, allora, è quella di valutare, a parità di condizioni, il maggiore impatto che il regime composto comporta sul debitore, rispetto al regime semplice degli interessi. Vedremo, nelle seguenti note, che esiste un principio naturale di equità, che consente di valutare l’effetto che la componente di anatocismo ha sull’operazione di scambio.

 

3. Sul principio di equità (o equivalenza) nelle operazioni di scambio.

Qualsiasi scambio di denaro tra due soggetti è regolato dal principio di equità (o equivalenza) finanziaria. Questa condizione è assolutamente naturale, ha bisogno di alcune avvertenze per essere tradotta correttamente in formule; essa può venire applicata, poi, in senso larghissimo, includendo fra le uscite - ove la natura della questione lo esiga - anche le rimunerazioni ed i profitti” (Cfr. Bonferroni C.E. Fondamenti di Matematica attuariale. Litografia Felice Gili, Torino, 1938). In letteratura, il principio di equità è ampiamente illustrato e definito (Cfr. Tabella 2).

Autore

Principio di equità (o di equivalenza) finanziaria

Bonferroni C.E. Fondamenti di Matematica attuariale. Litografia Felice Gili, Torino, 1938.

“Una caratteristica della matematica finanziaria e attuariale, al quale si riducono, in fondo, tutti gli altri che di tale disciplina si considerano pertinenti, è quello di determinare un sistema di incassi e di pagamenti, o, se si vuole, di entrate ed uscite, che si equivalgono finanziariamente, nel senso che gli incassi, tenendo conto degli interessi che fruttano cioè dell'impiego che ne viene fatto servono a fronteggiare esattamente i pagamenti.”

“Perché un’operazione ad un conto sia in equilibrio, occorre e basta che l’incasso eguagli la somma dei valori iniziali dei pagamenti, calcolati con sconto coniugato alle leggi cui è collocato l’incasso.”

Polidori C. Matematica Finanziaria. Le Monnier, Firenze, 1954.

“Definita nel suo aspetto formale un'operazione finanziaria, per poter procedere nello studio di essa e risolvere i problemi ad essa inerenti, abbiamo a nostra disposizione la conoscenza delle leggi che regolano il computo degli interessi sulle somme scambiate fra i contraenti. Ma questa conoscenza non basterebbe ancora da sola a stabilire relazioni matematiche fra i dati di un'operazione finanziaria, se questi non fossero ulteriormente vincolati da un altro principio, fondamentale per ogni problema di matematica finanziaria, e seguito nelle attuali consuetudini sociali-finanziarie. Questo principio, che prende il nome di principio dell'equivalenza finanziaria,si annuncia nel modo seguente. Data un'operazione finanziaria definita dallo schema esposto nel paragrafo precedente” – cioè lo scambio tra due soggetti A e B – “e svolgentesi nell'intervallo di tempo (0,t): il valore ad un tempo qualsiasi dell'intervallo (0,t) di tutte le prestazioni di A è uguale al valore allo stesso tempo di tutte le controprestazione di B.”

Levi E. Corso di Matematica Finanziaria. La Goliardica, Milano, 1959.

“Essendo molteplici le scadenze sia delle prestazioni che delle controprestazioni, bisognerà fissare anche un'epoca di riferimento e intendere che tra le prestazioni e le controprestazioni debba sussistere il vincolo che, riportandole, con la legge di interesse o sconto prescelta, all'epoca di riferimento pure prefissata, il valore delle prime eguagli il valore delle seconde”

Levi E. Corso di Matematica Finanziaria ed attuariale. Ghisetti e Corvi Editori, Milano, 1979.

“Due somme, disponibili in tempi diversi, si dicono equivalenti, se i loro valori attuali calcolati al tempo 0 (oggi), con una data legge di sconto, sono uguali

Levi E. Corso di Matematica Finanziaria ed attuariale. Ghisetti e Corvi Editori, Milano, 1979.

“L’ammortamento è equo dal punto di vista finanziario, se la somma dei valori attuali delle single rate al tempo 0 eguaglia la somma prestata; o analogamente se la somma dei montanti delle single rate, al tempo n, eguaglia il montante, al tempo n, della somma prestata”

Moriconi F. Matematica Finanziaria. Il Mulino, Bologna, 1994.

“L’equità caratterizza quindi un’operazione di scambio in equilibrio, nella quale il valore delle somme incassate è uguale al valore delle somme pagate”

Tabella 2. Principio di equità: definizioni in letteratura

Tale principio fondamentale, in matematica applicata all’economia, indica il criterio per valutare se due somme di denaro, nominalmente diverse, poiché riferite a istanti di tempo diversi, possano invece tra loro essere considerate equivalenti se riferite ad uno stesso istante temporale.

Una qualsiasi operazione di scambio di denaro tra due soggetti, cioè, sarà equa allorché in un dato istante iniziale, Tizio dà € 1.000,00 a Caio che contestualmente (istantaneamente) gli restituisce € 1.000,00. Questa condizione fondamentale garantisce che l’operazione possa avere corso. Infatti, se Tizio volesse dare a Caio 1.000,00 euro e Caio volesse restituire contestualmente 900,00 euro a Tizio, l’operazione non avrebbe corso perché Tizio rileverebbe il vantaggio di Caio. Allo stesso modo, se Tizio volesse dare a Caio 1.000 euro, chiedendo contestualmente in cambio 1.100 euro da Caio, l’operazione ugualmente non avrebbe corso perché Caio rileverebbe il vantaggio di Tizio.

Quindi, l’unica condizione naturale che possa garantire che lo scambio avvenga, è che Tizio dà € 1.000,00 a Caio che contestualmente (istantaneamente) gli restituisce la stessa somma di € 1.000,00.[6]

In violazione del principio di equità, pertanto, l’operazione potrebbe avere corso solo se uno dei due operatori non si accorgesse del vantaggio altrui.

Anche nel caso in cui lo scambio non avviene contestualmente (istantaneamente), ma il momento del rimborso è differito nel tempo rispetto al momento del prestito iniziale, il principio di equità dovrà essere garantito affinché l’operazione possa avere corso.

Per verificare se il principio di equità è garantito serve, allora, attualizzare tutti i rimborsi futuri al momento del prestito iniziale e controllare che il valore di tutti questi rimborsi attualizzati al momento iniziale sia proprio uguale alla somma prestata. In altre parole, il valore dei rimborsi futuri effettuati da Caio riportati (attraverso l’operazione di attualizzazione) al tempo iniziale, dovranno uguagliare i 1.000 euro prestati da Tizio nello stesso momento iniziale; in questo modo Tizio dà € 1.000,00 a Caio che contestualmente gli restituisce € 1.000,00 e l’operazione di scambio potrà avere corso.

In matematica finanziaria, è noto che l’operazione di attualizzazione può essere effettuata in regime composto o in regime semplice degli interessi. Pertanto, anche il principio di equità potrà essere applicato in regime composto degli interessi, oppure, in regime semplice degli interessi comportando, a parità di tasso, di durata e di somma prestata (cioè a parità di condizioni), due risultati differenti dello scambio. A parità di condizioni, cioè, si otterrà un diverso rapporto dare-avere tra le parti. Il regime composto, in particolare, comporta un risultato dello scambio più favorevole a chi presta la somma di denaro e meno favorevole a chi rimborsa, rispetto al caso in cui sia applicato il regime semplice degli interessi. Il motivo è che il regime composto conduce ad un importo maggiore di interessi che incidono sul risultato dello scambio. Laddove si dovesse verificare che lo scambio è stato progettato secondo il regime composto, si può procedere alla disapplicazione del regime composto e all’applicazione del regime semplice, ottenendo, a parità di tasso, durata e somma prestata, un valore della rata in semplice più bassa di quella che si ottiene in regime composto. Equivalentemente, a parità di rata, somma prestata e durata, si ottiene un valore del tasso effettivamente applicato all’operazione in semplice, più alto di quello che si ottiene in regime composto degli interessi. Tale divergenza di tasso, misura il maggior costo dovuto all’applicazione del regime composto. In questo senso, poiché il bancario è un operatore qualificato, dovrà mettere nelle condizioni un comune debitore (non qualificato), di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo e di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di tale maggiore costo. Illustreremo, questi aspetti, nelle seguenti note.

 

4. Sulle condizioni che devono essere indicate in contratto: sulle attività condotte dal bancario nella fase di progettazione e dal tecnico nella fase di verifica dell’operazione di scambio.

Nel caso in cui il bancario debba progettare un’operazione di scambio, dovrà individuare il valore della somma da rimborsare nel futuro, affinché l’operazione di scambio rispetti il principio di equità. Ci chiediamo, ad esempio: se Tizio, presta € 1.000 a Caio nel momento iniziale, quanto dovrà restituire Caio tra 4 anni al tasso del 10% annuale? In altre parole, si deve determinare quel valore del rimborso futuro (dopo 4 anni) che, attualizzato al tempo iniziale al tasso annuale del 10%, sia proprio uguale ai € 1.000 prestati da Tizio nel momento iniziale.

Pertanto, il bancario che deve determinare il valore del rimborso futuro, dovrà, necessariamente, determinare, nel momento iniziale della stipula del contratto, quale regime degli interessi utilizzare per progettare lo scambio. In assenza di tale indicazione, il bancario non può decidere arbitrariamente se applicare il regime composto o il regime semplice degli interessi, proprio perché si otterrebbero due risultati diversi dello scambio. In fase di progettazione dell’operazione, cioè, il bancario deve sapere in quale regime (composto o semplice) procedere alla determinazione del rimborso futuro. E, infatti, se il bancario utilizza il regime composto, egli determinerà che il valore del rimborso futuro che Caio dovrà effettuare dopo 4 anni è di 1.464,10 euro, proprio perché il valore attualizzato di tale somma al tempo iniziale, in regime composto al tasso annuale del 10%, è pari ai 1.000 euro prestati da Tizio, come 1.000=1.464,10/(1+10%)^4. Se, invece, il bancario utilizza il regime semplice, egli determinerà che il valore del rimborso futuro che Caio dovrà effettuare dopo 4 anni è di 1.400,00 euro, proprio perché il valore attualizzato di tale somma al tempo iniziale, in regime semplice al tasso annuale del 10%, è pari ai 1.000 euro prestati da Tizio, come 1.000=1.400,00/(1+10%x4).

Come si può osservare, a parità di tasso, tempo e somma prestata, i due regimi di interesse comportano risultati diversi dello scambio: Tizio presta € 1.000 a Caio nel momento iniziale e Caio dovrà rimborsare a Tizio, dopo 4 anni al tasso annuale del 10%, € 1.464,10 se in regime composto, oppure € 1.400 se in regime semplice. L’operazione di scambio è, a parità delle altre condizioni, più favorevole per Tizio (ma più sfavorevole per Caio) se progettata in regime composto. La fase di progettazione dell’operazione, cioè, non consente arbitrarietà da parte del bancario, proprio perché si otterrebbero due risultati diversi applicando l’uno o l’atro regime. Quindi, per determinare il piano di rimborso del contratto, il bancario non ha alcun elemento probabilistico da valutare, ma solo elementi deterministici: la somma prestata, il tempo, il tasso di interesse e il regime di interessi.

È evidente che, nell’era dell’informatica, il bancario effettua l’elaborazione tramite il sistema informatico dell’istituto che integra, al suo interno, i codici di calcolo che generano il risultato dell’operazione. Nel codice di calcolo, cioè, si può rilevare se l’operazione è stata progettata applicando il principio di equità in regime composto o in regime semplice. Tali codici di calcolo non sono resi pubblici dagli istituti e potrebbero anche essere diversi da istituto a istituto.[7]

Pertanto, laddove si volesse verificare se il risultato dell’operazione sia stato generato dall’applicazione del regime composto o dal regime semplice degli interessi, ci sono due possibili modi:

a) uno consiste nell’ottenere dalla banca il codice di calcolo del proprio sistema informatico, per osservare, con l’ausilio di un tecnico qualificato, se il codice è stato programmato con il regime composto o con il regime semplice degli interessi. In particolare, essendo l’operazione determinata alla data di stipula, è sufficiente avere solo la parte di codice che riguarda, strettamente, il calcolo della rata, del tasso infrannuale e del piano di ammortamento;[8]

b) l’altra modalità consiste nell’affidare a un tecnico qualificato l’incarico di replicare il procedimento di calcolo e i risultati dell’operazione (in particolare per la rata e il piano di ammortamento) riportati nel contratto, per verificare se è stato applicato il regime composto o il regime semplice degli interessi.

Le due modalità di verifica, ovviamente, non sono alternative e possono essere effettuate entrambe, poiché conducono entrambe (se il codice di calcolo disponibile è quello effettivamente utilizzato dall’istituto) alla medesima soluzione del problema oggetto di verifica. Anche non disponendo del codice di calcolo della banca, cioè, si potrà procedere alla verifica tecnica della formula effettivamente utilizzata dall’istituto per il calcolo della rata e del piano di ammortamento e sarà determinabile se è stato applicato il regime composto o il regime semplice degli interessi.

Allora, nella fase di verifica dell’operazione già progettata, il tecnico incaricato procede nel seguente modo. Egli osserva la somma inizialmente prestata, i rimborsi futuri e il tasso di interesse. Il tecnico, cioè, osserva che Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e che Caio rimborsa a Tizio dopo 4 anni € 1.464,10 ad un tasso convenuto del 10%, nulla sapendo quale sia il regime di interessi utilizzato per progettare l’operazione.

Il piano di rimborso, quindi, può essere descritto sull’asse dei tempi nel seguente modo.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

       

1.464,10

A questo punto, per effettuare la verifica su quale sia il regime di interessi effettivamente utilizzato, il tecnico procederà ad applicare il principio di equità, attualizzando il rimborso futuro di € 1.464,10 al tasso annuale del 10%, sia nel regime composto che nel regime semplice degli interessi.

Calcolando il valore di attualizzazione in regime composto, il tecnico otterrà come valore attualizzato 1.000=1.464,10/(1+10%)^4 e il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

       

1.464,10

 

     

1.000

attualizzazione in composto al 10% annuale

Calcolando il valore di attualizzazione in regime semplice, il tecnico otterrà come valore attualizzato 1.045,79=1.464,10/(1+10%x4) e il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

       

1.464,10

 

     

1.045,79

attualizzazione in semplice al 10% annuale

Così, il tecnico avrà verificato che l’operazione di scambio in cui Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e Caio rimborsa a Tizio dopo 4 anni € 1.464,10 ad un tasso convenuto del 10%, è stata progettata in regime composto degli interessi, poiché solo in questo caso è verificato il principio di equità. In regime semplice, invece, il principio di equità viene violato poiché Tizio presta € 1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce € 1.045,79 cioè una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale, circostanza che influisce negativamente sul rapporto dare-avere tra le parti in senso sfavorevole al debitore.

Allora, per concludere la verifica, il tecnico dovrà determinare il tasso effettivamente applicato all’operazione in regime semplice. Cioè, dovrà determinare quel tasso annuale tale che, attualizzando in regime semplice al momento iniziale il rimborso di € 1.464,10 effettuato da Caio dopo 4 anni, si uguagli la somma di € 1.000 prestata da Tizio nel momento iniziale. Tale tasso si determina, in questo caso, nel 11,60% poiché si ottiene che 1.000=1.464,10/(1+11,60%x4). Cioè, questo è il tasso effettivamente applicato all’operazione in regime semplice, corrispondente alla durata dell’operazione (4 anni), all’importo del rimborso (1.464,10 euro) e alla somma prestata (1.000 euro) nel momento iniziale della stipula del contratto.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

       

1.464,10

 

     

1.000

attualizzazione in semplice al 11,60% annuale

Il procedimento appena descritto, che riguarda le attività che il tecnico deve seguire nella fase di verifica di un’operazione già progettata, è quello indicato in letteratura scientifica dal Polidori (Cfr. Polidori C., Matematica Finanziaria. Le Monnier, Firenze, 1954) nei seguenti 3 passi:

“Per risolvere un problema di matematica finanziaria, quando la risoluzione non consiste in una piana applicazione di una o più formule già note, noi consigliamo il seguente procedimento che in generale conduce alla soluzione del problema:

- si descrive l'operazione finanziaria sull'asse dei tempi (questo schema, che può essere omesso, è tuttavia molto utile a chi si inizia nello studio della nostra disciplina);

- si applica il principio dell'equivalenza finanziaria riferito al tempo zero (alle volte potrà essere consigliabile un altro tempo della durata dell'operazione)[9]

- si ottiene così una equazione che risolta ci dà l'elemento incognito richiesto dal problema.”

Pertanto, in letteratura viene specificato che la verifica tecnica per individuare il valore incognito di un problema di scambio, va effettuata attraverso l’applicazione del principio di equità, in regime composto e in regime semplice, sul piano di rimborso. Il piano di rimborso, cioè, è sufficiente a determinare se l’operazione di scambio sia stata progetta in regime composto o in regime semplice.[10]

A riguardo, anche il Levi (Levi E. Corso di Matematica Finanziaria. La Goliardica, Milano, 1953) spiega che quando si definisce un’operazione di scambio, tutti questi elementi devono essere definiti affinché l’obbligazione finanziaria sia determinabile: “essendo molteplici le scadenze sia delle prestazioni che delle controprestazioni, bisognerà fissare anche un'epoca di riferimento e intendere che tra le prestazioni e le controprestazioni debba sussistere il vincolo che, riportandole, con la legge di interesse o sconto prescelta, all'epoca di riferimento pure prefissata, il valore delle prime eguagli il valore delle seconde”.

Sempre il Levi (Levi E. Corso di Matematica Finanziaria ed attuariale. Ghisetti e Corvi Editori, Milano, 1993), specifica che “Quando si stipula un contratto di mutuo le parti, oltre che il capitale C da mutuare e la durata t del mutuo, possono stabilire direttamente il montante M che il debitore deve pagare alla scadenza. Generalmente, però, si preferisce seguire una via diversa che consiste nel fissare l’interesse che il debitore deve corrispondere per ogni unità di capitale mutuato e per ogni unità di tempo. L’interesse per ogni unità di capitale mutuato e per ogni unità di tempo prende il nome di tasso di interesse.” … “È evidente che la semplice indicazione del tasso non basta per calcolare l’interesse complessivo, o il montante. Occorre anche dire come il tasso debba essere utilizzato, cioè indicare il procedimento in base al quale eseguire il calcolo. Esistono diversi procedimenti per il calcolo del montante e si dice che ciascun procedimento di calcolo del montante costituisce un regime d’interesse. Nella pratica finanziaria sono particolarmente importanti a) il regime dell’interesse semplice, b) il regime dell’interesse composto.”

È chiaro, a questo punto, che tra le condizioni che devono essere indicate in contratto affinché le modalità di calcolo degli interessi siano intelligibili per un comune debitore, vi sono: il capitale inizialmente finanziato, la durata dell’operazione (il tempo), la tipologia di piano di rimborso sull’asse temporale (ad esempio l’indicazione della rata mensile posticipata oppure la descrizione specifica del metodo di ammortamento), il tasso di interesse (specificandone il riferimento temporale ad es. tasso annuale), l’istante temporale rispetto al quale imporre il principio di equità (ad es. la data di stipula) e il regime di interessi.

Diversamente, in difetto di indicazioni su tali elementi, un comune debitore, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, non sarà in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie.”(Corte di giustizia dell’Unione europea, Sentenza caso C-125/18).

Questa impossibilità di comprendere il funzionamento concreto delle modalità di calcolo degli interessi, non consente al debitore di valutare correttamente la dinamica futura dell’operazione, ciò comportando un aumento del rischio di insolvenza, non essendo (il debitore) nelle condizioni di poter programmare correttamente l’operazione in relazione all’esatto rapporto dare-avere tra le parti. In questo senso, l’art.1374 del C.C. dispone che “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità.

Quindi, le modalità di calcolo dell’operazione, hanno rilevanza ai fini della determinazione dell’esatto rapporto dare-avere tra le parti, dal momento che, a parità di condizioni, l’operazione è più onerosa per il debitore se calcolata in regime composto piuttosto che in regime semplice degli interessi.

Quindi, se il piano di ammortamento è stato progettato in regime composto, comporterà, comunque, un maggiore costo per il debitore, rispetto al regime semplice. Il regime composto, cioè, è più costoso per il debitore e questo è un fatto che è rilevabile anche senza invocare la questione degli interessi sugli interessi. Se poi ci si chiede quale sia la causa di tale maggiore costo, allora, come mostreremo nelle seguenti note, è il regime composto a indurre la generazione di interessi sugli interessi. Non è possibile, cioè, evitare il fenomeno della generazione degli interessi sugli interessi nei piani di ammortamento in regime composto, qualunque sia il piano di rimborso del prestito.

 

5. Sui piani di ammortamento in regime composto degli interessi.

Le operazioni di prestito presenti sul mercato, per la quasi totalità, sono progettate con piani di ammortamento a rata costante posticipata, c.d. “francese”. Questi sono piani di ammortamento con rata costante rimborsata alla scadenza di ogni periodo e progettati applicando il principio di equità in regime composto degli interessi.

Se Tizio presta a Caio € 1.000 nel momento iniziale (tempo 0) per 4 anni ad un tasso convenuto del 10%, il piano “francese” prevede che Caio rimborsi a Tizio 4 rate costanti posticipate (alla fine di ogni anno), ognuna di euro 315,47 secondo il seguente piano di rimborso sull’asse temporale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

315,47

315,47

315,47

315,47

Si può facilmente verificare che tale piano è in regime composto applicando il principio di equità al tasso del 10% annuale in composto.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

315,47

315,47

315,47

315,47

 

     

286,79

       

260,72

       

237,02

       

215,47

attualizzazione in composto al 10% annuale

 

Tot. 1.000

 

Diversamente, il principio di equità applicato in regime semplice al tasso del 10%, restituirà un diverso risultato.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

 

Tizio

1.000

       

 

Caio

 

315,47

315,47

315,47

315,47

 

 

     

 

286,79

       

 

262,89

       

 

242,67

       

 

225,34

attualizzazione in semplice al 10% annuale

 

 

Tot. 1.017,69

 

Così, si è verificato che l’operazione di scambio in cui Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e Caio rimborsa a Tizio rate posticipate ad un tasso convenuto del 10% secondo un piano “francese”, è stata progettata in regime composto degli interessi, poiché solo in questo caso è verificato il principio di equità. In regime semplice, invece, il principio di equità viene violato, poiché Tizio presta €1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce €1.017,69 cioè, una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale. Tale circostanza influisce negativamente sul rapporto dare-avere tra le parti in senso sfavorevole al debitore e, in tal caso, il tasso effettivamente applicato in regime semplice è pari al 10,95%.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

315,47

315,47

315,47

315,47

 

     

284,34

       

258,80

       

237,47

       

219,39

attualizzazione in semplice al 10,95% annuale

 

Tot. 1.000

 

Oltre all’ammortamento a rata costante posticipata, esistono altri tipi di ammortamento, meno utilizzati sul mercato. Tra questi, vi è l’ammortamento c.d. “italiano”, progettato applicando il principio di equità in regime composto degli interessi a rate variabili (con quote capitale costanti), rimborsate alla scadenza di ogni periodo.

Se Tizio presta a Caio € 1.000 nel momento iniziale (tempo 0) per 4 anni ad un tasso convenuto del 10%, il piano “italiano” prevede che Caio rimborsi a Tizio 4 rate posticipate (alla fine di ogni anno), secondo il seguente piano di rimborso sull’asse temporale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

350

325

300

275

Si può facilmente verificare che tale piano è in regime composto applicando il principio di equità al tasso del 10% annuale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

350

325

300

275

 

     

318,18

       

268,60

       

225,39

       

187,83

attualizzazione in composto al 10% annuale

 

Tot. 1.000

 

Diversamente, il principio di equità applicato in regime semplice al tasso del 10% restituirà un diverso risultato.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

350

325

300

275

 

     

318,18

       

270,83

       

230,77

       

196,43

attualizzazione in semplice al 10% annuale

 

Tot. 1.016,21

 

Così, si è verificato che l’operazione di scambio in cui Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e Caio rimborsa a Tizio rate di rimborso posticipate ad un tasso convenuto del 10% secondo un ammortamento “italiano”, è stata progettata in regime composto degli interessi, poiché solo in questo caso è verificato il principio di equità. In regime semplice, invece, il principio di equità viene violato, poiché Tizio presta €1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce €1.016,21 cioè, una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale. Tale circostanza influisce negativamente sul rapporto dare-avere tra le parti in senso sfavorevole al debitore e, in tal caso, il tasso effettivamente applicato in regime semplice è pari al 10,90%.

   

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

350

325

300

275

 

     

315,60

       

266,83

       

226,07

       

191,50

attualizzazione in semplice al 10,90% annuale

 

Tot. 1.000

 

Un altro tipo di ammortamento è quello denominato “bullet”, progettato applicando il principio di equità in regime composto con rate posticipate (alla scadenza di ogni periodo). Le rate sono pari al valore ottenuto moltiplicando il tasso per il capitale prestato, tranne l’ultima rata, che viene maggiorata, rispetto alle altre, di un importo pari al capitale prestato. Ad esempio Tizio presta a Caio 1.000 euro per 4 anni al tasso del 10% annuale e Caio rimborserà a Tizio un importo di euro 100 (calcolato come 10%*1.000) alla fine di ogni anno, tranne che all’ultimo anno rimborserà 1.100 euro (come 100+1.000). Il piano di rimborso sull’asse dei tempi si descrive nel seguente modo.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

100

100

100

1.100

Si può facilmente verificare che tale piano è in regime composto applicando il principio di equità al tasso del 10% annuale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

100

100

100

1.100

 

     

90,91

       

82,64

       

75,13

       

751,31

attualizzazione in composto al 10% annuale

 

Tot. 1.000

 

Diversamente, il principio di equità applicato in regime semplice al tasso del 10% restituirà un diverso risultato.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

100

100

100

1.100

 

     

90,91

       

83,33

       

76,92

     

785,71

attualizzazione in semplice al 10% annuale

 

Tot. 1.036,88

 

Così, si è verificato che l’operazione di scambio in cui Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e Caio rimborsa a Tizio rate di rimborso posticipate ad un tasso convenuto del 10% secondo un ammortamento “bullet”, è stata progettata in regime composto degli interessi, poiché solo in questo caso è verificato il principio di equità. In regime semplice, invece, il principio di equità viene violato poiché Tizio presta €1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce €1.036,88 cioè, una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale. Tale circostanza influisce negativamente sul rapporto dare-avere tra le parti in senso sfavorevole al debitore e, in tal caso, il tasso effettivamente applicato in regime semplice è pari al 11,45%.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

100

100

100

1.100

 

     

89,73

       

81,37

       

74,43

       

754,47

attualizzazione in semplice al 11,45% annuale

 

Tot. 1.000,00

 

L’esempio del prestito c.d. bullet è particolarmente interessante per dimostrare che non è possibile evitare il fenomeno della generazione degli interessi sugli interessi nell’ammortamento in regime composto, qualunque esso sia.

Nel prestito bullet, senza operare un’attenta analisi, si potrebbe essere indotti a commettere l’errore di affermare che tale tipo di prestito, seppur in regime composto, non comporti l’applicazione di interessi sugli interessi. Si potrebbe, superficialmente, argomentare che il capitale rimane invariato fino alla fine, momento nel quale viene restituito completamente e, quindi, vi sarebbe solo un anticipo del pagamento degli interessi. Il monte interessi rimarrebbe invariato rispetto al caso del regime semplice, poiché si pagherebbero sempre e solo 400 euro di interessi come nel caso di un prestito in regime semplice con unico rimborso di 1.400 euro a scadenza dei 4 anni.

Si rivela subito la fallacia di tale ragionamento, se si dimostra, come si farà subito qui appresso, che non corrisponde al vero che le rate siano costituite solo da interessi e che non corrisponde al vero che il monte interessi generato dall’operazione bullet rimane sempre invariato rispetto a quanto accade con un prestito a rimborso unico, a scadenza dell’operazione, in regime semplice.

E in verità, si dimostra facilmente che le rate del bullet non possono essere costituite da solo interesse. Infatti, se i 100 euro della rata fossero solo interessi, valutate al tempo 0 dovrebbero valere zero. Infatti, gli interessi si generano con il tempo e quindi, al tempo zero non ci sono interessi. Allora, la rata di 100 euro al tempo 1, se attualizzata al tempo 0 dovrebbe valere zero, cioè si dovrebbe ottenere che 0=100/(1+i)^1 dove i è il tasso. Ci chiediamo, cioè, a quale tasso bisogna attualizzare i 100 euro affinché valgano zero al tempo 0? La risposta è immediata: il tasso dovrà essere infinito. Poiché questo è impossibile (visto che l’operazione è regolata al tasso del 10%), questo dimostra che i 100 euro del rimborso non sono solo interessi, ma saranno una miscela di capitale e interessi (Cfr. C. Mari, G. Aretusi, 'Sull'ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice: alcune considerazioni concettuali e metodologiche' Rivista IL RISPARMIO, 2019 - I, pagg.115-151, 2019).

Ancora, si dimostra agevolmente che non è vero che nel caso del bullet il monte interessi rimanga sempre invariato rispetto a quanto accade con un prestito elementare a rimborso unico, a scadenza dell’operazione, in regime semplice. Consideriamo, quindi, un bullet con prestito di 1.000 euro a 4 anni al tasso del 10% annuale, ma questa volta con rimborso biennale (ogni due anni). Questo, non dovrebbe comportare una differenza rispetto al regime semplice e si dovrebbe pagare sempre un monte interessi di 400 euro come in regime semplice, essendo l’operazione regolata sempre al tasso del 10% annuale per lo stesso importo di 1.000 euro e sullo stesso orizzonte temporale di 4 anni.

Anche in questo caso, cioè, ci dovrebbe essere solo un differimento nel pagamento degli interessi e il monte interessi dovrebbe rimanere invariato. Si dimostra facilmente che non è così. Infatti, poiché il bullet è regolato dal regime composto, dovendo calcolare la rata biennale, essa sarà data dal tasso equivalente a 2 anni in regime composto calcolato sui 1.000 euro. Il tasso a 2 anni, equivalente al 10% annuale in regime composto è dato da (1+10%)^2-1=21%.

Pertanto, l’operazione bullet qui descritta prevede che Tizio presta a Caio 1.000 euro per 4 anni al tasso del 10% annuale e Caio rimborserà a Tizio un importo di 210 euro (come 21%x1.000) alla prima scadenza dopo due anni e 1.210 euro (come 210+1.000) a scadenza dei 4 anni. Alla fine dei 4 anni cioè, con l’operazione bullet si pagheranno i 1.000 euro di capitale oltre a un monte interessi di 420 euro, importo diverso e più alto di quello che si otterrebbe in regime semplice (400 euro). Peraltro, non vi è chi non veda che l’anticipo degli interessi, anche a parità di monte interessi, costituisce un vantaggio per la Banca (Tizio), rispetto al regime semplice degli interessi, proprio per il fatto di ricevere anticipatamente le somme.[11]

Quindi, detti piani di ammortamento (francese, italiano, bullet) poiché progettati in regime composto, comportano, per costruzione, la generazione di interessi sugli interessi. E questo maggiore costo è misurabile sia in termini di rapporto dare-avere tra le parti alla data iniziale, che di prezzo dell’operazione.

Allora, di seguito, per un prestito di 1.000 euro al tempo 0, per 4 anni, si riepilogano i risultati comparati tra i piani francese, italiano e bullet, dopo aver disapplicato il regime composto al tasso del 10% e applicato, in luogo di esso, il regime semplice degli interessi al tasso del 10% (Cfr. Tabella 3).

Tipo di piano

Rimborsi attualizzati al tempo 0 al 10% in

REGIME COMPOSTO

Rimborsi attualizzati al tempo 0 al 10% in

REGIME SEMPLICE

italiano

1.000,00

1.016,21

francese

1.000,00

1.017,69

bullet

1.000,00

1.036,88

Tabella 3. Prestito di euro 1.000,00 con diverse tipologie di ammortamento in regime composto. Risultati di attualizzazione in regime composto e in regime semplice.

Anzitutto, si osserva che, senza disapplicare il regime composto, i tre piani sono finanziariamente equivalenti. Cioè, fatto salvo il regime composto, cambiando solo il tipo di piano di ammortamento, il risultato finanziario è il medesimo per la Banca. Il motivo risiede nel fatto che, non disapplicando il regime composto, il costo dell’anatocismo rimane salvo nell’operazione di scambio. Invece, disapplicando il regime composto e applicando, in luogo di esso, il regime semplice, i tre piani non sono più finanziariamente equivalenti. Infatti, tutti e tre i piani violano il principio di equità in regime semplice e comportano un risultato diverso dello scambio nei due regimi. Questo ha delle conseguenze economiche per il debitore che si trova a rimborsare, nel momento iniziale (cioè contestualmente al momento del prestito), una somma più alta di quella avuta in prestito per effetto del maggiore costo dovuto all’anatocismo generato dal regime composto.

Tale effetto è ben visibile anche in termini di Tasso Annuale Effettivamente applicato all’operazione (TAE). Il prezzo applicato all’operazione, cioè, non è lo stesso se calcolato in regime composto o in regime semplice (Cfr. Tabella 4).

La divergenza che si registra tra il TAE in regime composto e il TAE in regime semplice, quindi, misura il maggiore costo dell’anatocismo generato dalla produzione di interessi sugli interessi per l’applicazione del regime composto. Il prezzo, cioè, misurato dal TAE in regime composto non misura il costo dell’anatocismo, mentre il TAE calcolato in regime semplice, misura anche il costo dell’anatocismo. In particolare, il prezzo del francese è più alto del prezzo del piano italiano e il prezzo del bullet è più alto del prezzo del francese.[12]

Tipo di piano

TAE

con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME COMPOSTO

TAE

con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME SEMPLICE

italiano

10%

10,90%

francese

10%

10,95%

bullet

10%

11,45%

Tabella 4. Prestito di euro 1.000,00 con diverse tipologie di ammortamento in regime composto. TAE calcolato con l’attualizzazione dei rimborsi (principio di equità) in regime composto e in regime semplice.

Allora, in generale, "non sarà possibile evitare il fenomeno della generazione degli ‘interessi sugli interessi’ nell’ammortamento in regime composto. Qualunque sia il piano di rimborso del prestito, sia esso in unica soluzione alla scadenza oppure graduale nel tempo, a rate costanti o meno, gli interessi che maturano in un determinato periodo di tempo generano ulteriori interessi nei periodi di tempo successivi. Abbandonare l’utilizzo del regime composto appare, dunque, l’unico modo per evitare il fenomeno della generazione degli ‘interessi sugli interessi’" (Cfr. C. Mari, G. Aretusi, “Sull'ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice: alcune considerazioni concettuali e metodologiche” Rivista IL RISPARMIO, 2019 - I, pagg.115-151, 2019).[13]

Esiste, alternativamente, la possibilità di progettare piani di ammortamento in regime semplice, per evitare il fenomeno della generazione degli interessi sugli interessi. In verità, già il Bonferroni (Cfr. Bonferroni C.E. Fondamenti di Matematica attuariale. Pag.317. Litografia Felice Gili, Torino, 1938) aveva dimostrato come costruire un piano di ammortamento in regime semplice così da evitare la generazione di interessi sugli interessi. Ma anche nella recente letteratura scientifica è stato evidenziato che il regime composto induce nel piano di ammortamento la generazione di interessi sugli interessi (Cfr. Fersini P., Olivieri G. Sull’“anatocismo” nell’ammortamento francese. Rivista Banche & Banchieri, Anno XXXXII – N.2/2015, pagg.134-171, 2015)[14] ed è stato dimostrato che “esiste la possibilità, non ambigua, di costruire uno schema d’ammortamento che sia compatibile con l’assenza di anatocismo.” Esiste, cioè, “un modello di valutazione dei prestiti coerente con il principio, normato dal codice civile, che gli interessi maturati in un periodo non possano produrre ulteriori interessi nei periodi successivi” (Cfr. C. Mari, G. Aretusi, ‘Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare’, Rivista IL RISPARMIO, 2018 – I, pagg.25-45, 2018).[15]

 

6. Sul TAN e sul TAE in regime composto e in regime semplice.

In generale, l’orizzonte annuale è preso come base di riferimento per i tassi più comuni. L’Euribor, ad esempio, è espresso su base annuale. Ma anche il TAN e il TAE così come il TAEG e il TEG sono espressi su base annuale.

Allora, ci chiediamo, nel caso in cui un’operazione sia progettata con rimborsi su base diversa da quella annuale, come andrà calcolato il tasso periodale? Ad esempio, se l’operazione di scambio è progettata con rimborsi semestrali, qual è il tasso semestrale (c.d. periodale) che corrisponde al tasso annuale pattuito in contratto? La regola è che il tasso semestrale dovrà essere equivalente al tasso annuale pattuito, nel senso che l’operazione, svolta su base semestrale, dovrà restituire lo stesso risultato dell’operazione su base annuale. Le due operazioni, cioè, dovranno produrre lo stesso montante.

Per capire bene, facciamo un esempio. Tizio presta a Caio 1.000 euro con scadenza 4 anni al tasso annuale del 10%. Dalle precedenti Note, sappiamo che l’operazione, produce un montante di 1.464,10 euro se progettata in regime composto, mentre, se progetta in regime semplice, produce un montante di 1.400 euro. Lo stesso tasso annuale del 10%, cioè, nei due regimi comporta due diversi montanti (risultati dello scambio).

Allora, volendo progettare l’operazione su base semestrale, dovrà essere determinato quel tasso semestrale (periodale), che corrisponde al tasso annuale del 10%, nel senso che il tasso semestrale, alla fine dei 4 anni, dovrà produrre un montante di euro 1.464,10 in regime composto, mentre dovrà produrre un montante di euro 1.400 in regime semplice.

Nella quasi totalità delle operazioni, il tasso di interesse periodale viene calcolato dividendo il tasso annuale per il numero di periodi dell’anno considerati. Nel nostro esempio, il tasso semestrale viene calcolato come 10%/2=5% perché i semestri dell’anno sono 2. Ci chiediamo: questo tasso semestrale del 5% produce lo stesso risultato dell’operazione, cioè lo stesso montante, di quello che si ottiene al tasso annuale del 10%? Vediamo, allora, di dare risposta a questa domanda, sia in regime semplice che in regime composto.

In regime semplice, sappiamo che l’interesse viene calcolato solo sulla quota capitale per cui, al tasso del 5% semestrale, si otterranno 50 euro di interessi per il primo semestre, così per il secondo semestre e tutti gli altri semestri (Cfr. Seguente tabella).

Semestre

Interessi

Modalità calcolo regime semplice tasso 5% semestrale

1

50,00

5% su 1.000

2

50,00

5% su 1.000

3

50,00

5% su 1.000

4

50,00

5% su 1.000

5

50,00

5% su 1.000

6

50,00

5% su 1.000

7

50,00

5% su 1.000

8

50,00

5% su 1.000

Tot. Int.

400,00

 

Così alla fine dei 4 anni, al 5% semestrale in regime semplice, Caio rimborserà a Tizio i 1.000 euro ricevuti in prestito, più 400 euro di interessi (calcolati come nella precedente tabella), per un totale di euro 1.400. Nel caso del regime semplice, cioè, il tasso semestrale del 5% (ottenuto dividendo il tasso annuale del 10% per 2) garantisce che l’operazione restituisca lo stesso risultato se calcolata su base semestrale o annuale (1.400 euro). Quindi, in regime semplice, il tasso periodale equivalente si ottiene dividendo il tasso annuale per il numero di periodi dell’anno. Nel nostro esempio, in regime semplice, il tasso semestrale del 5% è equivalente al tasso annuale del 10% poiché restituisce lo stesso montante sia su base annuale che semestrale, cioè

su base annuale

1.000,00x(1+10%x4)=1.400

su base semestrale

1.000,00x(1+5%x8)=1.400

Invece, cosa accade per la stessa operazione in regime composto? In regime composto, sappiamo che l’interesse viene calcolato sia sul capitale che sugli interessi dei periodi precedenti. Allora, al tasso del 5% semestrale (come 10%/2), si otterranno (Cfr. seguente tabella) euro 50 di interessi per il primo semestre (come 5% calcolato su 1.000), euro 52,50 di interessi per il secondo semestre (come 5% calcolato su 1.000+50), euro 55,13 di interessi per il terzo semestre, (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50), euro 57,88 di interessi per il quarto semestre (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50+55,13), euro 60,78 di interessi per il quinto semestre (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50+55,13+57,88), euro 63,81 di interessi per il sesto semestre (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78), euro 67,00 di interessi per il settimo semestre (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78+63,81), euro 70,36 di interessi per l’ottavo semestre (come 5% calcolato su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78+63,81+67).

Semestre

Interessi

Modalità calcolo regime compost tasso 5% semestrale

1

50,00

5% su 1.000

2

52,50

5% su 1.000+50

3

55,13

5% su 1.000+50+52,50

4

57,88

5% su 1.000+50+52,50+55,13

5

60,78

5% su 1.000+50+52,50+55,13+57,88

6

63,81

5% su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78

7

67,00

5% su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78+63,81

8

70,36

5% su 1.000+50+52,50+55,13+57,88+60,78+63,81+67,00

Tot. Int.

477,46

 

Così alla fine dei 4 anni, al 5% semestrale in regime composto, Caio rimborserà a Tizio i 1.000 euro ricevuti in prestito, più 477,46 euro di interessi (calcolati come nella precedente tabella), per un totale di euro 1.477,46. Nel caso del regime composto, cioè, il tasso semestrale del 5% (ottenuto dividendo il tasso annuale del 10% per 2) non garantisce che l’operazione restituisca lo stesso risultato se calcolata su base semestrale o annuale. Infatti, in regime composto al 10% su base annuale, alla fine dei 4 anni, Caio restituisce un montante di euro 1.464,10 mentre, al 5% su base semestrale, Caio restituisce un montante di euro 1.477,46 con un diverso risultato dell’operazione, più onerosa per il debitore con il 5% semestrale. In questo senso, in regime composto, il tasso semestrale del 5% non è equivalente al tasso annuale del 10%.

Allora, per calcolare il tasso semestrale (periodale) equivalente al tasso annuale del 10% previsto in contratto, l’operazione calcolata in regime composto su base semestrale, dovrà essere uguale a quella su base annuale. Cioè, dovrà risultare che, su base semestrale, Caio avrà rimborsato, dopo 4 anni, sempre lo stesso montante di euro 1.464,10 che si ottiene su base annuale, cioè

 

su base annuale

1.000,00x(1+10%)^4=1.464,10

su base semestrale

1.000,00x(1+tasso semestrale)^8=1.464,10

È facile verificare che il tasso semestrale che garantisce lo stesso risultato di quello del 10% su base annuale, è pari al 4,88% ed è più basso di quello del 5% ottenuto semplicemente dividendo il tasso annuale per 2. Cioè, in regime composto, il tasso semestrale del 4,88% è equivalente al 10% annuale, mentre, utilizzando un tasso semestrale del 5% si applicherà, in effetti, un tasso non equivalente al 10% annuale.

Allora, qual è il tasso annuale equivalente al 5% semestrale? Rispondiamo subito. Sappiamo che per la nostra operazione, il 5% su base semestrale, produce un montante finale di 1.477,46 euro (Cfr. precedente tabella). Per cui, il tasso annuale equivalente che noi cerchiamo, è quel tasso che restituisce lo stesso risultato del 5% semestrale, cioè un montante alla fine dei 4 anni di euro 1.477,46. In entrambi i casi, dovrà risultare che, alla fine dei 4 anni, Caio avrà rimborsato sempre lo stesso montante di euro 1.477,46 cioè

su base annuale

1.000,00x(1+tasso annuale)^4=1.477,46

su base semestrale

1.000,00x(1+5%)^8=1.477,46

È facile verificare che il tasso annuale che garantisce lo stesso risultato del 5% semestrale, è il 10,25% annuale. Quindi, in regime composto, il 5% semestrale è equivalente al 10,25% annuale e non è equivalente al 10% annuale.[16]

In altre parole, se nel contratto tra Tizio e Caio è previsto un tasso del 10% annuale e Tizio calcola l’operazione in regime composto su base semestrale ad un tasso del 5% (semplicemente dividendo il tasso annuale per 2), in realtà egli sta effettivamente applicando un tasso annuale del 10,25% in regime composto.

Nella pratica, il 10% dell’esempio viene indicato come TAN (Tasso Annuo Nominale) e il 10,25% è noto come TAE (Tasso Annuo Effettivo). La differenza tra questi tassi a cosa è dovuta? Tale differenza è dovuta all’applicazione del regime composto a tassi non equivalenti. Infatti, nel primo semestre, viene applicato un tasso del 5% in regime composto, anziché il tasso equivalente del 4,88% producendo un maggiore importo di interessi nel primo semestre di euro 1,20 (50,00-48,80). Su questo maggiore importo di interessi di 1,20 euro nel primo semestre, vengono calcolati ulteriori interessi (al 5%) nel secondo semestre, producendo, quindi, un meccanismo di applicazione di interessi sugli interessi, già su base infrannuale, per effetto dell’utilizzo di tassi semestrali non equivalenti nel regime di interessi utilizzato.[17]

Pertanto, già in regime composto, se si osserva una divergenza tra il TAN e il TAE, significa che sono stati utilizzati tassi periodali non equivalenti al tasso annuale convenuto e tale divergenza è dovuta al costo della capitalizzazione infrannuale (o anatocismo infrannuale).[18]

A questo punto, se il tecnico incaricato della verifica, si trova di fronte un’operazione già progettata in regime composto a tassi periodali non equivalenti, come dovrà procedere? Ricorriamo, ancora una volta, alla tecnica di verifica indicata dal Polidori (Cfr. Polidori C., Matematica Finanziaria. Le Monnier, Firenze, 1954).

Consideriamo, allora, il nostro esempio. Tizio presta 1.000 euro a Caio per 4 anni (8 semestri) e Caio restituirà 1.477,46 euro a scadenza, calcolati al 5% semestrale in composto.

Allora, facendo riferimento al paragrafo 4. Sulle condizioni che devono essere indicate in contratto: sulle attività condotte dal bancario nella fase di progettazione e dal tecnico nella fase di verifica dell’operazione di scambio, il tecnico incaricato della verifica di questa operazione, osserva la somma inizialmente prestata e i rimborsi futuri su base semestrale e rileva, dal contratto, che il tasso di interesse annuale pattuito è del 10%. Il tecnico, cioè, osserva che Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e che Caio rimborsa a Tizio su base semestrale € 1.477,46 dopo 8 semestri (4 anni) ad un tasso convenuto del 10% annuale, nulla sapendo quale sia il tasso semestrale effettivamente applicato all’operazione e nulla sapendo quale sia il regime di interessi utilizzato per progettare l’operazione.

Il piano di rimborso, quindi, può essere descritto sull’asse dei tempi nel seguente modo.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

               

1.477,46

A questo punto, per effettuare la verifica su quale sia il regime di interessi effettivamente utilizzato, il tecnico procederà ad applicare il principio di equità, attualizzando il rimborso futuro di € 1.477,46 per 8 semestri (4 anni) sia nel regime composto che nel regime semplice degli interessi. Il tasso semestrale che il tecnico utilizzerà per l’attualizzazione, dovrà essere quello equivalente al tasso annuale contrattuale del 10%. Per cui, il tecnico applicherà il tasso semestrale del 4,88% se in regime composto, mentre, applicherà il tasso semestrale del 5% se in regime semplice.

Allora, per calcolare il valore di attualizzazione in regime composto, il tecnico utilizzerà il tasso semestrale del 4,88% e otterrà come valore attualizzato 1.009,19=1.477,46/(1+4,88%)^8. Il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti, al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.477,46

                 

1.009,19

Attualiz. in composto al 4,88% semestr. equivalente al 10% annuale

Pertanto, effettuata tale verifica, il tecnico si accorgerà che, già in regime composto, utilizzando il tasso semestrale del 4,88%, equivalente al tasso annuale pattuito del 10%, il principio di equità è violato. Infatti, Tizio presta 1.000 euro al tempo 0 a Caio, che contestualmente gli restituisce €1.009,19 cioè, una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale. Tale circostanza, influisce negativamente sul rapporto dare-avere tra le parti, in senso sfavorevole al debitore, già senza procedere alla disapplicazione del regime composto.

Allora, calcolando il valore di attualizzazione, ancora in regime composto, ma con un tasso semestrale del 5%, non equivalente al tasso annuale pattuito del 10% (bensì equivalente al tasso annuale del 10,25%), il tecnico otterrà come valore attualizzato 1.000=1.477,46/(1+5%)^8 e il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti, al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.477,46

                 

1.000

Attualiz. in composto al 5% semestr. equivalente al 10,25% annuale

Così, il tecnico avrà verificato che l’operazione di scambio su base semestrale, in cui Tizio ha prestato a Caio nel momento iniziale € 1.000 e Caio rimborsa a Tizio, dopo 8 semestri (4 anni), 1.477,46 euro, rispetta il principio di equità solo con un tasso semestrale del 5% in regime composto. Pertanto, così il tecnico ha verificato che l’operazione è stata progettata in regime composto degli interessi con un tasso semestrale del 5%, non equivalente al 10% annuale, ma al 10,25% in regime composto.

A questo punto, già senza disapplicare il regime composto, è evidente che se Tizio pattuisce con Caio un tasso annuale nominale (TAN) del 10% ma applica, senza specificarlo in contratto, un tasso annuale effettivo (TAE) del 10,25% in regime composto, allora Caio non è nelle condizioni “di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie.” Ma se Tizio pattuisce con Caio un tasso annuale nominale (TAN) del 10% e indica in contratto che il tasso annuale effettivo (TAE) è del 10,25%, ma non specifica che tale tasso è in regime composto, allora, si può dire che Caio ha tutti gli elementi per “comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo del tasso”? Evidentemente, no!

Infatti, il 10,25% di TAE che Caio legge sul contratto, è il TAE in regime composto e, quindi, misura solo il costo degli interessi sugli interessi su base infrannuale (anatocismo infrannuale), ma non misura il costo degli interessi sugli interessi su base extrannuale (anatocismo extrannuale), dovuto all’applicazione del regime composto, in luogo del semplice, per tutta la durata dell’operazione.

Allora, vediamo come è possibile misurare, attraverso il TAE in regime semplice, anche il costo dell’anatocismo extrannuale.

Pertanto, calcolando il valore di attualizzazione in regime semplice, il tecnico otterrà come valore 1.055,33=1.477,46/(1+5%x8) e il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.477,46

                 

1.055,33

Attualiz. in semplice al 5% semestrale equivalente al 10% annuale

In regime semplice, quindi, il principio di equità viene (vieppiù) violato, poiché Tizio presta €1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce 1.055,33 euro, cioè una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale.

Allora, per concludere la verifica, il tecnico dovrà determinare il TAE effettivamente applicato all’operazione in regime semplice. Cioè, dovrà determinare quel tasso semestrale e il corrispondente tasso annuale equivalente, tale che, attualizzando in regime semplice al momento iniziale il rimborso di € 1.477,46 effettuato da Caio dopo 8 semestri (4 anni), si uguagli la somma di € 1.000 prestata da Tizio nel momento iniziale. Tale tasso si determina, in questo caso, nel 11,94% annuale poiché si ottiene, applicando il tasso semestrale del 5,94% in regime semplice, che 1.000=1.477,46/(1+5,97%x8).

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.477,46

                 

1.000

Attualiz. in semplice al 5,97% semestr. equivalente al 11,94% annuale

Cioè, nel momento iniziale del contratto (ab origine), il TAE effettivamente applicato all’operazione in regime semplice è pari al 11,94%. Si deve evidenziare che in regime semplice TAN e TAE si equivalgono, vista l’assenza di composizione dell’interesse. Quindi, in regime semplice risulterà che TAN=TAE=11,94%. Questo tasso, infatti, è l’unico tasso annuale che corrisponde, in regime semplice, alla durata dell’operazione (8 semestri o 4 anni), all’importo del rimborso (1.477,46 euro) e alla somma prestata (1.000 euro). A differenza del TAE in regime composto (10,25%), il TAE in regime semplice (11,94%) è in grado di misurare sia il costo dell’anatocismo infrannuale che dell’anatocismo extrannuale. Appunto, la divergenza tra il TAE calcolato in regime semplice (11,94%) e il TAE calcolato in regime composto (10,25%), misura il costo dell’anatocismo extrannuale. Quindi, solo il TAE in regime semplice (11,94%) permette a Caio di valutare le effettive conseguenze economiche derivanti dall’operazione, ivi compreso l’effetto del costo dell’anatocismo extrannuale, oltre che del costo dell’anatocismo infrannuale.

La divergenza tra il TAE in regime composto e il TAE in regime semplice, come evidente, è dovuta alle diverse componenti di costo che i tassi misurano e che riguardano, il costo puro dell’operazione, il costo dell’anatocismo infrannuale e il costo dell’anatocismo extrannuale.

Pertanto:

- il TAN in regime composto misura solo il costo puro[19] dell’operazione, ma non misura né il costo dell’anatocismo infrannuale, né il costo dell’anatocismo extrannuale.

- Il TAE in regime composto, invece, include il costo del TAN applicato in regime composto, con l’aggiunta del costo dell’anatocismo infrannuale, ma non misura il costo dell’anatocismo extrannuale

- il TAE (=TAN) in regime semplice include il TAE in regime composto, con l’aggiunta del costo dell’anatocismo extrannuale.

Allora, per l’operazione qui descritta, in cui Tizio presta 1.000 euro a Caio che rimborsa euro 1.477,46 dopo 4 anni, si ottengono i seguenti risultati:

 

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME COMPOSTO

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME SEMPLICE

TAN

10%

11,94%

TAE

10,25%

11,94%

Tabella 5. Prestito di euro 1.000,00 con rimborso di euro 1.477,46 dopo 4 anni. TAN e TAE calcolati con il principio di equità in regime composto e in regime semplice.

È evidente che vi è una componente di costo relativo all’anatocismo extrannuale che non viene misurata dal TAE in regime composto, mentre viene misurata dal TAE in regime semplice.

A questo punto ci chiediamo: ma se la componente di costo relativa all’anatocismo extrannuale esiste, allora deve essere considerata nella valutazione del TAEG e del TEG? Nelle prossime note cercheremo di rispondere a tale quesito.

 

7. Sugli effetti dell’anatocismo sul TAEG e sul TEG.

Nel caso in cui si voglia valutare il costo globale del prestito, si potrà ricorre alla determinazione del TAEG(Cfr. Provvedimento della Banca d’Italia del 15.07.2015 - TRASPARENZA DELLE OPERAZIONI E DEI SERVIZI BANCARI E FINANZIARI) e a quella del TEG (Cfr. ISTRUZIONI PER LA RILEVAZIONE DEL TASSO EFFETTIVO GLOBALE MEDIO AI SENSI DELLA LEGGE SULL'USURA- luglio 2016). I due indicatori hanno due funzioni diverse. In particolare, il TAEG è utilizzato ai fini della trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, mentre il TEG è un indice calcolato ai fini anti-usura.

Facendo riferimento ai menzionati provvedimenti, Banca d’Italia definisce il TAEG (tasso annuo effettivo globale), come il tasso che rende uguali, su base annua, i valori attualizzati di tutti gli impegni (prelievi, rimborsi e spese), esistenti o futuri, oggetto di accordo tra il finanziatore e il consumatore (pag.62). Per quanto riguarda il TEG, Banca d’Italia, seppur indichi (a pag.11) che l’oggetto della rilevazione è il tasso effettivo globale medio (TEGM), non offre una definizione letterale, ma introduce solo la formula di calcolo in analogia a quanto previsto dal Provvedimento della Banca d’Italia del 15.7.2015 per il calcolo del TAEG (pag.14).

Banca d’Italia indica, inoltre, che i due tassi globali sono calcolati con la stessa formula, ma possono condurre a risultati diversi per effetto delle componenti da inserire nel calcolo. Infatti, a pag. 14 del Provvedimento del 2015, Banca d’Italia scrive che “Il calcolo del TAEG ai fini di trasparenza e del TEG a fini anti-usura può differire, sulla stessa operazione di finanziamento, per diverse motivazioni; tra le altre, per un diverso trattamento degli oneri e delle spese (a titolo di esempio le imposte e tasse sono incluse nel TAEG ai fini di trasparenza, mentre sono escluse dal TEG ai fini anti-usura ai sensi della Legge 108/96)”.

Quindi, da qui in avanti, avendo spiegato la differenza tra il TAEG e il TEG e la loro diversa funzione, in relazione alla definizione di Banca d’Italia di TAEG e (per analogia) di TEG, parleremo di tasso reale. In verità, infatti, in letteratura si trova la definizione e la spiegazione del principio matematico sotteso al calcolo di tale tasso reale. Infatti, su tale aspetto, il Bonferroni (1938), parlando del principio di equità, scrive che “Questa condizione è assolutamente naturale, ha bisogno di alcune avvertenze per essere tradotta correttamente in formule; essa può venire applicata, poi, in senso larghissimo, includendo fra le uscite - ove la natura della questione lo esiga - anche le rimunerazioni ed i profitti.” Ed ancora, sempre il Bonferroni (1938) spiega che “quando non vengono concessi premi di rimborso o d’emissione, il capitale versato dal prestatore è uguale alla somma dei valori attuali dei termini al tasso [nominale] i dell’ammortamento. Diversamente, in presenza di premi di rimborso o d’emissione e, in generale, in presenza di ulteriori costi associati all’operazione, “la uguaglianza ora detta più non sussiste, almeno in generale, giacché in tal caso il valore attuale complessivo dei termini effettivi supera il capitale versato. Per ristabilire l’uguaglianza, occorre valutare i termini ad un tasso j diverso dal tasso [nominale] i; nel caso ora detto, ad un tasso j maggiore del tasso [nominale] i, in modo da diminuire la somma dei valori attuali dei termini effettivi. Il tasso j dicesi tasso effettivo o reale del prestito. Esso ha notevole importanza, perché è il tasso al quale il prestatore investe effettivamente il suo capitale (trascurando eventuali tasse, imposte, ecc).”

Il Bonferroni, cioè, spiega che per calcolare il tasso reale (come reale indicatore del costo globale dell’operazione), si ricorre sempre al principio di equità e che il tasso reale è sempre maggiore del tasso nominale. Un ulteriore aspetto, particolarmente importante, che si rileva dallo scritto del Bonferroni, riguarda il fatto che il tasso reale, oltre a costituire una misura del costo globale per il mutuatario, è quel tasso al quale il prestatore investe il suo capitale (escluse imposte e tasse).[20]

A questo punto, sulla base di quanto spiegato nelle precedenti note, ci chiediamo: se il tasso reale è calcolato con il principio di equità, l’attualizzazione dei termini del rimborso deve essere effettuata in regime composto o in regime semplice? Ovviamente, poiché il principio di equità può essere applicato in regime composto o in regime semplice degli interessi, allora anche il tasso reale dell’operazione potrà essere calcolato nei due regimi. Ed è altrettanto ovvio che, poiché a parità di condizioni il regime composto è più oneroso del regime semplice, allora il tasso reale calcolato in composto sarà inferiore a quello calcolato in semplice, per effetto della componente di costo di interessi sugli interessi non misurati in regime composto.

Va rilevato che Banca d’Italia[21] spiega che “il TAEG include il TAN, oltre alle commissioni, le imposte e altri costi e spese legati ai servizi accessori o comunque necessari per ottenere o continuare a fruire del credito alle condizioni offerte, a meno che non siano quantificabili in alcun modo al momento del calcolo del TAEG (in questo caso i servizi accessori vanno indicati a parte)”. Inoltre, Banca d’Italia rileva che “il TAEG può essere anche molto più alto del TAN”.

Pertanto, sulla base di tali rilievi, il tasso reale (inclusi il TAEG e il TEG) presenta le seguenti caratteristiche:

· il tasso reale è calcolato applicando il principio di equità, attualizzando al tempo iniziale, con la legge di interesse prescelta (regime composto o semplice), i valori dei termini di rimborso del prestito;

· il tasso reale è sempre maggiore del TAN, nella legge di interessi prescelta;

· il tasso reale è uguale al TAE solo nel caso in cui non ci sono spese o commissioni collegate all’operazione;

· non è possibile, quindi, che il TAN sia inferiore al tasso reale nella legge di interessi prescelta;

· a parità di condizioni, il tasso reale calcolato attualizzando i rimborsi in regime composto, è sempre minore del tasso reale calcolato attualizzando i rimborsi in regime semplice.

Detto ciò, laddove sia verificato che il prestito è stato progettato in regime composto, nel caso in cui si voglia valutare l’effettivo costo globale del prestito, sarà doveroso considerare anche i costi dell’anatocismo. Diversamente facendo, il tasso reale calcolato senza il costo dell’anatocismo, non sarebbe più una misura globale del costo del prestito, poiché non considererebbe tutti i costi collegati all’operazione. La natura di costo dei maggiori interessi pagati per effetto dell’anatocismo, cioè, non può non essere considerata per il calcolo del tasso reale, proprio perché tale tasso è una misura del costo globale dell’operazione.[22]

Tra l’altro, le indicazioni di Banca d’Italia, in tal senso, risultano univoche. Infatti, nei Bollettini di vigilanza (ad es. nel provvedimento relativo alla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, di cui al Bollettino di vigilanza del 6 giugno 2012, sezione II, pag.12),[23] si scrive che “qualora un contratto relativo a un’operazione ... di finanziamento preveda la capitalizzazione infrannuale degli interessi, il valore del tasso, rapportato su base annua, viene indicato tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Per cui si deve ritenere che, se la capitalizzazione infrannuale deve essere considerata ai fini del tasso reale, allora anche la capitalizzazione extrannuale dovrà essere considerata per gli stessi fini. E ancora, il “Prototipo di foglio informativo del conto corrente offerto ai consumatori” (Cfr, Banca d’Italia, All.4A del PROVVEDIMENTO Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, del 9 febbraio 2011),[24] prevede nella serie delle “principali condizioni economiche – voci di costo” anche la voce capitalizzazione: “spese fisse – spese variabili – interessi somme depositate – fidi e sconfinamenti – capitalizzazione (periodicità) – disponibilità somme versate”. Pertanto, appare evidente che i costi della capitalizzazione extrannuale, dovuti all’applicazione del regime composto, vanno considerati ai fini del calcolo del tasso reale (TAEG e/o TEG).

Bisogna rilevare che per il calcolo del TAEG (e in analogia del TEG), Banca d’Italia indica una formula in cui il principio di equità è applicato in regime composto. In tale formula, proprio perché calcolata in composto, non viene misurato il costo dell’anatocismo. Pertanto, calcolando il TAEG (e/o il TEG) in regime composto, si potrebbe verificare il paradosso che il tasso reale risulti, addirittura, inferiore al TAN in regime semplice. Questo perché, così facendo, nel calcolo del TAEG e/o del TEG (in composto) non sarebbe misurato il costo dell’anatocismo, mentre nel calcolo del TAN (in semplice) il costo dell’anatocismo viene misurato. In altre parole, se si ritiene che il tasso reale (TAEG e/o TEG) debba misurare anche il costo dell’anatocismo, in quanto misura globale del costo dell’operazione, allora il confronto fra il TAN e il tasso reale (TAEG e/o TEG), dovrà necessariamente avvenire in regime semplice.[25]

Ed infatti, non di rado, disapplicando il regime composto degli interessi e applicando, invece, il regime semplice degli interessi, il tasso annuo nominale (TAN) calcolato al momento della pattuizione del contratto in regime semplice, risulta superiore a quello convenuto, per effetto dei maggiori costi di interessi generati dal meccanismo anatocistico. Potrebbe verificarsi, ancora, che tale TAN calcolato in regime semplice alla data di stipula del contratto, sia superiore al tasso soglia vigente alla stessa data di stipula. In questi casi, il tasso reale (TAEG e/o TEG), calcolato in regime semplice, sarà sicuramente maggiore del TAN ricalcolato in regime semplice (Bonferroni, 1938). Per cui, avendo verificato il superamento del TAN in regime semplice, sarà superfluo verificare anche il superamento del tasso reale (TAEG e/o TEG) in regime semplice.

Per capire meglio, riprendiamo l’esempio del precedente paragrafo “Sul TAN e sul TAE in regime composto e in regime semplice”: Tizio presta a Caio nel momento iniziale € 1.000 che rimborsa a Tizio € 1.477,46 dopo 8 semestri (4 anni) ad un tasso convenuto del 10% annuale e con un tasso semestrale, non equivalente in regime composto, pari al 5% (ottenuto come 10%/2).

Abbiamo mostrato che il tecnico incaricato della verifica dell’operazione, nulla sapendo quale sia il regime di interessi utilizzato per progettare l’operazione, dovrà imporre il principio di equità sia in regime composto che in regime semplice ricalcolando TAN e TAE sia in regime composto che in regime semplice degli interessi, ottenendo i risultati riassunti nella Tabella 5.

Ora, ipotizziamo che ci siano ulteriori costi collegati all’operazione e, in particolare, un costo iniziale per l’erogazione del prestito di euro 50,00 ed euro 5,00 per spese di incasso rata. Per cui, Caio rimborserà a Tizio 50,00 euro al tempo 0 come costo iniziale di erogazione del prestito e euro 1.482,46 (come 1.477,46+5,00 di spese di incasso rata) dopo 4 anni (8 semestri).

Allora il tecnico, per calcolare il tasso reale, dovrà tener conto di tali rimborsi collocati sulla linea temporale dell’operazione su base semestrale, e su tali rimborsi dovrà applicare il principio di equità sia in regime composto che in regime semplice degli interessi (Bonferroni, 1938; Polidori, 1954).

In regime composto, il problema avrà il seguente risultato in termini di rapporto dare-avere tra le parti, al tempo 0.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.482,46

                 

50

 

1.003,39

Attualiz. in composto al 5% semestrale come 1.482,46/(1+5%)^8

Così, il tecnico avrà verificato che l’operazione di scambio, in regime composto al tasso annuale del 10% (con un tasso semestrale del 5% ottenuto come 10%/2, non equivalente in regime composto) è tale che, nel momento iniziale, Tizio presta €1.000 a Caio che contestualmente gli restituisce €1.053,39 (come somma dei valori attuali dei rimborsi 1.003,39+50,00 al tempo 0) cioè una somma più alta di quella avuta in prestito nel momento iniziale. Allora, per calcolare il tasso reale in regime composto, il tecnico dovrà trovare quel tasso che garantisce l’equivalenza tra la somma prestata e rimborsata nel momento iniziale. Così, si determina che il tasso reale in regime composto, è pari al 11,767%=(1+5,720%)^2-1, con la seguente rappresentazione sull’asse temporale su base semestrale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.482,46

                 

50

 

950

Attualiz. in composto al 5,72% semestr. come 1.482,46/(1+5,72%)^8

In relazione ai rimborsi oggetto dello scambio, cioè, il tasso reale del 11,767% in regime composto, è quel tasso che garantisce che Tizio presta 1.000 euro a Caio che contestualmente gli restituisce la stessa somma (Bonferroni, 1938; Polidori, 1954) in regime composto.

Ma cosa accade se, invece, applichiamo il principio di equità in regime semplice?

In tal senso, per concludere la verifica, il tecnico dovrà determinare il tasso reale applicato all’operazione in regime semplice, affinché tale tasso misuri anche il costo degli interessi sugli interessi. Il tecnico, allora, applicherà il principio di equità in regime semplice degli interessi, considerando che Caio rimborsa a Tizio 50,00 euro al tempo 0 (come costo iniziale di erogazione del prestito) e euro 1.482,46 (come 1.477,46+5,00 di spese di incasso rata) dopo 4 anni (8 semestri). In questo modo, il tecnico determinerà che il tasso reale in regime semplice è pari al 14,012%=7,006%x2 con la seguente rappresentazione sull’asse temporale su base semestrale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.482,46

                 

50

 

950

Attualiz. in semplice al 7,006% semestr. come 1.482,46/(1+7,006%x8)

In relazione ai rimborsi oggetto dello scambio, cioè, il tasso globale del 14,012% in regime semplice, è quel tasso che garantisce che Tizio presta 1.000 euro a Caio che contestualmente gli restituisce la stessa somma (Bonferroni, 1938; Polidori, 1954).

Allora, per l’operazione qui descritta, in cui Tizio presta 1.000 euro a Caio che rimborsa a Tizio 50,00 euro al tempo 0 (come costo iniziale di erogazione del prestito) e euro 1.482,46 (come 1.477,46+5,00 di spese di incasso rata) dopo 4 anni (8 semestri), si ottengono i seguenti risultati:

 

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME COMPOSTO

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME SEMPLICE

TAN

10%

11,94%

TAE

10,25%

11,94%

Tasso reale

11,767%

14,012%

Tabella 6. TAN, TAE e Tasso reale, calcolati con il principio di equità in regime composto e in regime semplice. Prestito di euro 1.000,00 con rimborso di euro 1.477,46 dopo 4 anni, con costi aggiuntivi di euro 50,00 come costo di erogazione al tempo 0 e euro 5,00 per spese di incasso rata.

È evidente che vi è una componente di costo relativo all’anatocismo extrannuale che non viene misurata nel regime composto. Al contrario, attualizzando i rimborsi in regime semplice, la componente di anatocismo che insiste sull’operazione viene misurata.

Ora, per capire operativamente la differenza tra TEG e TAEG nella loro diversa funzione (rispettivamente di tasso reale ai fini anti-usura e di tasso reale ai fini della trasparenza), introdurremo nel nostro esempio solo un’ulteriore voce di costo per imposte e tasse, trattandola come indicato nelle ISTRUZIONI PER LA RILEVAZIONE DEL TASSO EFFETTIVO GLOBALE MEDIO AI SENSI DELLA LEGGE SULL'USURA del luglio 2016 a pag. 14. “Il calcolo del TAEG ai fini di trasparenza e del TEG a fini anti-usura può differire, sulla stessa operazione di finanziamento, per diverse motivazioni; tra le altre, per un diverso trattamento degli oneri e delle spese (a titolo di esempio le imposte e tasse sono incluse nel TAEG ai fini di trasparenza, mentre sono escluse dal TEG ai fini anti-usura ai sensi della Legge 108/96)”.

Allora, ipotizziamo che l’operazione di scambio, oltre a prevedere il costo iniziale per l’erogazione del prestito di euro 50,00 ed euro 5,00 per spese di incasso rata, preveda anche un importo per imposte e tasse di euro 20,00 da corrispondere alla data di erogazione. Per cui, Caio rimborserà a Tizio euro 70,00 al tempo 0 (di cui euro 50,00 come costo iniziale di erogazione del prestito e euro 20,00 come imposte e tasse) e euro 1.482,46 (come 1.477,46+5,00 di spese di incasso rata) dopo 4 anni (8 semestri).

Nel calcolo del tasso reale TEG, il tecnico otterrà gli stessi risultati ricavati per il tasso reale riportati in Tabella 6, avendo sull’asse temporale i medesimi importi e non dovendo, quindi, includere l’ulteriore costo per imposte e tasse.

Nel calcolo del tasso reale TAEG, invece, dovendo includere anche il costo delle imposte e tasse (20 euro al tempo 0), il tecnico determinerà che il TAEG in regime composto è pari al 12,363%=(1+6,002%)^2-1, con la seguente rappresentazione sull’asse temporale su base semestrale.

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.482,46

                 

50+20

 

930

Attualiz. in composto al 6,002% semestr. come 1.482,46/(1+6,002%)^8

Per concludere la verifica, il tecnico dovrà determinare il TAEG applicato all’operazione in regime semplice, affinché tale tasso misuri anche il costo degli interessi sugli interessi. Il tecnico, allora, determinerà che il tasso reale TAEG in regime semplice è pari al 14,851%=7,426%x2 con la seguente rappresentazione sull’asse temporale su base semestrale.

 

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

tempo “5”

tempo “6”

tempo “7”

tempo “8”

Tizio

1.000

               

Caio

 

           

1.482,46

                 

50+20

 

930

Attualiz. in semplice al 7,426% semestr. come 1.482,46/(1+7,426%x8)

Allora, per l’operazione qui descritta, in cui Tizio presta 1.000 euro a Caio che rimborsa a Tizio 70,00 euro al tempo 0 (di cui euro 50,00 come costo iniziale di erogazione del prestito e euro 20,00 come imposte e tasse) e euro 1.482,46 (come 1.477,46+5,00 di spese di incasso rata) dopo 4 anni (8 semestri), si ottengono i seguenti risultati:

 

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME COMPOSTO

Con rimborsi attualizzati al tempo t0 in

REGIME SEMPLICE

TAN

10%

11,94%

TAE

10,25%

11,94%

TEG

11,767%

14,012%

TAEG

12,363%

14,851%

Tabella 7. Tabella 5. TAN, TAE, TEG e TAEG, calcolati con il principio di equità in regime composto e in regime semplice. Prestito di euro 1.000,00 con rimborso di euro 1.477,46 dopo 4 anni, con costi aggiuntivi di euro 70,00 al tempo 0 (di cui euro 50,00 come costo iniziale di erogazione del prestito e euro 20,00 come imposte e tasse) e euro 5,00 per spese di incasso rata.

Avendo illustrato come la letteratura di settore indichi di calcolare il tasso reale per un’operazione di scambio, non si può non precisare, come già appena accennato all’inizio di questa nota di studio, che le ISTRUZIONI PER LA RILEVAZIONE DEL TASSO EFFETTIVO GLOBALE MEDIO AI SENSI DELLA LEGGE SULL'USURA del luglio 2016, hanno finalità di rilevazione statistica,[26] avendo come oggetto la rilevazione del tasso globale medio (TEGM) come media aritmetica della distribuzione[27] dei tassi effettivi globali praticati dalle banche. Si deve rilevare, quindi, la differente valenza tra la rilevazione di cui alle istruzioni di Banca d’Italia e la L.108/96. Le stesse istruzioni di Banca d’Italia evidenziano la differente funzione delle istruzioni rispetto alla L.108/96, laddove (a pag.7) si scrive che “Tenuto conto delle specifiche caratteristiche delle singole tipologie di finanziamento, sono escluse dall’obbligo di segnalazione per la rilevazione a fini statistici, ma non dall’applicazione della Legge 108/96, le seguenti operazioni”. In ciò, evidenziando che la L.108/96 trova, a differenza delle istruzioni, sempre applicazione. In questo senso si rileva che, alle condizioni in essere alla data di stipula, è sempre possibile calcolare il Tasso reale (Cfr. Bonferroni, 1938) tenendo conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito, sia in regime composto che in regime semplice degli interessi.

Certamente, tali rilievi hanno una serie di implicazioni notevoli in tema di rilevanza del costo dell’anatocismo sia sotto il profilo della trasparenza, che ai fini anti-usura.

 

8. Sul riconoscimento dell’anatocismo giuridico attraverso la conoscenza del regime finanziario.

Soltanto un linguaggio comune tra Matematica Finanziaria e Diritto consente un approccio analitico scientificamente corretto al tema della controversa legittimità dei piani di ammortamento dei mutui stilati in regime di capitalizzazione composta.


8.1. Capitalizzazione Composta ed Anatocismo – L’effetto economico del regime finanziario ed il suo rapporto con la disciplina dell’art. 1283 c.c.

Soltanto un linguaggio comune tra Matematica Finanziaria e Diritto consente un approccio analitico scientificamente corretto al tema della controversa legittimità dei piani di ammortamento dei mutui stilati in regime di capitalizzazione composta.

È invero consolidato nella letteratura scientifica in materia il principio secondo cui l’effetto dell’incremento esponenziale degli interessi, nel quale si sostanzia (sotto il profilo finanziario) l’anatocismo deriva direttamente dall’impiego del regime finanziario della capitalizzazione composta, in virtù delle proprietà che, per costruzione, sono conseguenti alla definizione stessa di siffatto regime; tali da implicare, necessariamente (fatta eccezione per le ipotesi di scuola di mutuo uniperiodale o di pattuizione di tasso d’interesse nullo, in concreto non ricorrenti nella comune casistica giudiziaria) un effetto anatocistico, in virtù della produzione di interessi calcolati su interessi precedentemente maturati.[28]

Il Legislatore del 1942 ha preso in considerazione l’anatocismo in riferimento alla modalità di produzione dell’effetto economico vietato (la produzione di interessi su interessi). In matematica finanziaria, tale effetto economico può essere determinato secondo due modalità:

- 1) attraverso il mutamento degli interessi in capitale, vale a dire con la trasformazione della natura degli importi nel corso del tempo che permette la capitalizzazione degli interessi, di modo che essi, assumendo la stessa natura del capitale, generino, a loro volta, nuovi introiti sempre sotto forma di interessi (tale sistema caratterizza la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori nei conti correnti bancari, in forza di clausola pattizia che la Suprema Corte, fin dal 1999, ha qualificato nulla, per l’appunto in violazione dell’art. 1283 c.c.);

- 2) tramite l’impiego degli interessi “scaduti”- o, per meglio dire, anche di quelli destinati a scadere (ex art. 1283 c.c.), o comunque già maturati (ex art. 120 T.U.B.), o destinati a maturare in base al piano di ammortamento - ai fini del calcolo degli interessi riferiti ai periodi successivi (nei prestiti a rimborso rateale, quelli che compongono le rate successive alla prima) e ciò senza che essi assumano (almeno apparentemente) la stessa natura giuridica del capitale anche ai fini del quantum dell’obbligatoria restitutoria (come invece nell’ipotesi 1), soluzione (quella sub 2) che si realizza con l’utilizzo del T.A.N. contrattuale (consistente in un’aliquota percentuale annua) ai fini della predisposizione del piano di ammortamento in regime composto ed attraverso il computo della quota interessi di ciascuna rata (infrannuale) sull’intero capitale residuo (anziché sulla quota capitale in scadenza compresa nella singola rata).

Le due metodologie determinano la produzione del medesimo monte interessi complessivo. Risultano equivalentemente compresi nel regime composto sia l’ipotesi (riconducibile alla definizione letterale dell’anatocismo giuridico desumibile dall’art. 1283 c.c.) in cui gli interessi siano, alla scadenza dei vari periodi delle singole rate, cumulati al capitale, mutuandone la natura (come avviene nell’ipotesi di capitalizzazione periodica degli interessi debitori nei conti correnti bancari, sia quella nella quale essi vengano alla stessa scadenza pagati. Il fatto che nella predisposizione del piano di ammortamento dei finanziamenti in regime composto (ad esempio a rata costante) non si verifichi – almeno apparentemente - il cumulo delle quote di interessi incluse nelle singole rate nel debito (residuo) per sorte capitale al fine di determinare la consistenza dell’obbligazione restitutoria, non vale ad escludere la produzione del medesimo effetto economico finanziario, per l’appunto in ragione dell’identità del regime applicato.[29]

In altri termini, attraverso il metodo 2, la capitalizzazione, prima facie, è operata soltanto ai fini della produzione degli interessi, non già anche della quantificazione del capitale da restituire (atteso che la somma delle quote capitali delle singole rate corrisponde, pur sempre, all’ammontare del capitale finanziato); ma a ben vedere, è con la corrispondente maggiorazione del capitale residuo che deriva dall’imputazione, fin dalle prime rate, dei vari pagamenti periodici prioritariamente all’obbligazione accessoria (piuttosto che a quella principale-restitutoria) che si configura una forma occulta di capitalizzazione, che determina comunque una produzione ricorsiva di un maggior monte interessi, in una spirale ascendente indotta dal regime esponenziale impiegato per predisporre il piano di ammortamento. In definitiva, è proprio tale celata ed ambigua conversione degli interessi in capitale che nasconde la produzione di interessi composti, inevitabilmente determinata dal regime utilizzato.[30]

Il fatto che gli interessi distribuiti nelle rate vengano pagati alle rispettive scadenze periodiche non esclude l’effetto economico-finanziario del regime composto applicato nel piano, vale a dire che interessi secondari (anatocistici) vengano generati da interessi primari. Elemento qualificante il regime di capitalizzazione composta è proprio la disponibilità delle quote interessi – alternativamente (ma con identici effetti sotto il profilo finanziario) in virtù del loro pagamento o della loro capitalizzazione - alla fine di ciascun periodo in cui è frazionato il rimborso del finanziamento, a prescindere dalla scadenza dell’obbligazione principale avente ad oggetto il capitale sul quale gli interessi medesimi sono calcolati. Costituisce, del resto, principio consolidato in matematica finanziaria che la disponibilità degli interessi (con conseguente possibilità di impiego fruttifero degli stessi) in capo al creditore alla scadenza di ciascuna rata è, per l’appunto, indice rivelatore tipico del ricorso al regime composto; in altri termini, sotto tale profilo, facendo ricorso al regime composto - ed ai fini della produzione di interessi - pagare significa (equivale a) capitalizzare; di tal che, prevedere una pluralità di pagamenti periodici, tali da permettere al creditore la disponibilità delle somme percepite e la possibilità di impiego fruttifero delle stesse, equivale a stabilire, contabilmente, una pluralità di capitalizzazioni. In effetti, un’operazione si svolge in regime di capitalizzazione semplice quando l’interesse è disponibile solamente alla fine del periodo di impiego, mentre si svolge in regime di capitalizzazione composta quando l’interesse è disponibile alle fine di ogni periodo di capitalizzazione.[31]

Nella modalità 2 (utilizzo degli interessi già contabilizzati e scaduti ai fini del calcolo degli interessi compresi nelle rate successive), l’anatocismo sussiste nella stessa pattuizione, ovvero nel valore della rata concordata al momento della stipulazione del contratto (rata che comprende quote interessi complessivamente maggiori rispetto a quelle che riverrebbero da un piano di ammortamento stilato in regime semplice con lo stesso T.A.N., lo stesso capitale finanziato ed identici numero e periodicità delle rate), in base al piano di ammortamento ad esso allegato (che assume valenza negoziale).[32] Ed è proprio la natura del regime composto che determina l’apparenza del calcolo degli interessi (compresi in ciascuna rata) sul capitale residuo (oggetto di obbligazione non ancora scaduta) distribuito nelle rate successive, in tal modo consentendo, prima facie, di sostituire la produzione di interessi su interessi (nella quale, ai sensi dell’art. 1283 c.c., si sostanzia l’anatocismo giuridico) con la produzione di interessi sul capitale. In realtà, l’analisi matematico-finanziaria del piano di ammortamento rivela che gli interessi inclusi in ciascuna rata sono calcolati in parte effettivamente sulla sola sorte capitale residua ed in parte anche sugli interessi compresi pro quota nelle rate precedenti, in quanto tali già contabilizzati nel piano (e ciò anche qualora essi siano puntualmente pagati alla scadenza delle rate delle quali costituiscono parte). Con l’opzione, appena esaminata, di determinazione della rata viene quindi illegittimamente eliso (più precisamente eluso) il discrimine necessariamente esistente sul piano giuridico fra obbligazione principale ed obbligazione accessoria,[33] riservando al capitale ed agli interessi lo stesso identico trattamento; in particolare, permettendo agli interessi compresi in ciascuna rata successiva alla prima di contribuire a formare la base di calcolo di quelli inclusi nelle rate successive;[34] e ciò in forza di una pattuizione trasfusa nell’accordo contrattuale, in quanto tale antecedente alla scadenza degli interessi primari (prodotti dal capitale) sui quali vengono computati quelli secondari (prodotti da interessi). Sotto tale profilo, appare evidente la deroga (illegittima) alle condizioni in presenza delle quali soltanto l’art. 1283 c.c. consente l’anatocismo “convenzionale”. In realtà, trattandosi di disciplina imperativa - in quanto tale cogente ed inderogabile (la deroga al disposto di cui all’art. 1283 c.c. consentita all’autonomia negoziale in base al precitato art. 3 della Delibera C.I.C.R. 09.02.2000 e, più recentemente, all’art. 17 bis del D.L. n. 18/2016, convertito in L. n. 49/2016, si riferisce infatti, giova ribadire, soltanto agli interessi moratori, non già a quelli corrispettivi) - deve ritenersi che il divieto di anatocismo non attenga esclusivamente all’accordo preventivo che preveda in modo diretto ed espresso la produzione di interessi su interessi, ma altresì a quelli - anch’essi in ipotesi riconducibili al momento genetico del contratto (e quindi integranti una convenzione antecedente alla scadenza degli interessi, ai sensi dell’art. 1283 c.c.)[35] - che producano comunque, sotto il profilo economico-finanziario, il medesimo effetto illegittimo della produzione di interessi su interessi; difettando, all’evidenza, anche le altre condizioni dell’anatocismo legittimo (la previa domanda giudiziale e la durata almeno semestrale dell’esigibilità del credito per interessi). In proposito, la vicenda giurisprudenziale che ha portato la Suprema Corte a dichiarare la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei conti correnti bancari.[36]

Mutatis mutandis, anche con riferimento ai finanziamenti a rimborso rateale con ammortamento predisposto in capitalizzazione composta ciò che rileva, a ben vedere, è l’identità degli effetti economico-finanziari delle due modalità operative suindicate dello stesso regime (la capitalizzazione, intesa come trasformazione degli interessi in capitale, e la gemmazione di interessi secondari da interessi primari apparentemente senza necessità di mutamento della loro natura giuridica), comportando entrambe, anche in ragione del computo degli interessi sul capitale residuo, un valore della rata di ammortamento superiore a quello che si presenterebbe adottando il regime semplice. Nell’uno come nell’altro caso, l’ammontare complessivo degli interessi risulta infatti maggiorato di un importo corrispondente esattamente a quelli anatocistici; effetto riconducibile, per l’appunto, al regime finanziario prescelto, impiegato per la determinazione della rata: questa, fin dal momento della sua formazione in base al T.A.N. contrattuale applicato in regime di capitalizzazione composta all’atto della predisposizione del piano (ovvero già nella fase genetica del rapporto obbligatorio e quindi anteriormente alla scadenza degli interessi corrispettivi, id est nello scenario illegittimo prefigurato dall’art. 1283 c.c.), è già “caricata” degli interessi anatocistici, ma, attraverso l’anticipazione dell’incasso di tutti gli interessi maturati e convenzionalmente “scaduti” (in quanto resi esigibili e quindi destinati ad essere pagati, quale quota interessi delle singole rate, anteriormente alla scadenza dell’obbligazione restitutoria del capitale residuo, sul quale essi sono calcolati), si finisce per protrarre (per un pari ammontare) il pagamento del capitale, con conseguente (solo apparente) sostituzione alla produzione di interessi su interessi della produzione di interessi su capitale; operazione che determina surrettiziamente, sotto il profilo economico, il medesimo effetto vietato dall’art. 1283 c.c..

Costituisce del resto ius receptum in giurisprudenza il principio per il quale deve considerarsi affetta da nullità (per illiceità della causa, ex artt. 1418 comma 2, 1343 c.c. e, se del caso, 1344 c.c.) qualsivoglia operazione pattizia diretta ad eludere divieti contenuti in norme imperative attraverso l’impiego di schemi negoziali (eventualmente anche tra loro collegati) per l’appunto tesi al raggiungimento del risultato vietato dal Legislatore.[37]

Ne deriva che, di quanto si maggiora l’ammontare degli interessi inclusi nella rata, di altrettanto si riduce la quota capitale pagata; la maggiorazione della rata, indotta dall’impiego del regime composto, pertanto, si riversa interamente sull’ammontare complessivo degli interessi. La letteratura scientifica ha acclarato che l’incremento indotto nel monte interessi complessivo - rispetto a quelli (soltanto) primari che maturerebbero con l’impiego della capitalizzazione semplice - corrisponde esattamente alla componente anatocistica.[38]

Per l’appunto nella pattuizione, fin dalla fase genetica del vincolo obbligatorio, della produzione di interessi su interessi destinati a scadere nel corso del rapporto - dovendosi in siffatto scenario intendere in tal senso la nozione di interessi “scaduti”, beninteso al momento in cui essi diventino effettivamente esigibili - si incentra l’anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c.: la Corte regolatrice, infatti, ha per l’appunto avuto modo di rimarcare che non si sottrae al citato divieto “l'obbligo per la parte debitrice di corrispondere anche gli interessi sugli interessi che matureranno in futuro”, essendo “idonea a sottrarsi a tale divieto solo la convenzione che sia stata stipulata successivamente alla scadenza degli interessi”.[39]

Alla luce dell’autorevole ed inequivoco dictum appena citato, emerge l’infondatezza di quella teorica propugnata da certa dottrina con la quale si è predicata la preesistenza (rispetto al regolamento convenzionale) di un’obbligazione avente ad oggetto interessi primari già scaduta e rimasta insoluta – e quindi di una già maturata mora debendi - quale imprescindibile presupposto del divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c. (in difetto delle condizioni e dei limiti ivi stabiliti).[40] Tale indirizzo esegetico sconta l’evidente petizione di principio da cui muove, consistente, per l’appunto, nell’identificazione (o forse nella confusione) tra interessi anatocistici ed interessi moratori.Basti pensare che soltanto in virtù di disposizioni espresse, in funzione di deroga al divieto generale di anatocismo posto dall’art. 1283 c.c., il Legislatore ha consentito l’applicazione di interessi moratori (anche) sulle quote di interessi corrispettivi;[41] ciò che rappresenta innegabile conferma del fatto che certamente gli interessi corrispettivi (art. 1282) - per i quali non risultano contemplate analoghe deroghe - non esorbitano dall’ambito applicativo dell’art. 1283 c.c.

Nel ricorso al regime di capitalizzazione composta nei finanziamenti con rimborso rateale, in buona sostanza, la predisposizione del piano di ammortamento si realizza chiudendo (fittiziamente) il finanziamento ad ogni scadenza periodica di ciascuna rata, introitando gli interessi (ai fini della formazione della base di calcolo della quota interessi inclusa nella rata successiva) e “riaccendendo” (di fatto) il finanziamento per il successivo periodo; operazioni con le quali si evita formalmente (rectius, solo apparentemente) la produzione di interessi su interessi, ma in realtà si mantiene inalterato il sostanziale effetto anatocistico:di scadenza in scadenza occorre infatti sempre ricalcolare l’ammontare del debito che genera interessi (analogamente a quanto si verificava con la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi), sicché questi, ancorché (almeno in apparenza) semplici nell’intervallo temporale tra due scadenze successive, finiscono per incorporarsi nel capitale che li ha generati, secondo lo schema tipico della capitalizzazione composta: alla scadenza di ciascuna rata successiva alla prima, l’aggiornamento del debito residuo prevede che gli interessi generati tra le scadenze succedutesi vengano incorporati nel debito principale (ai fini del calcolo degli interessi da pagare nel periodo immediatamente seguente), esattamente come nel consueto schema della capitalizzazione composta proprio dei finanziamenti zero coupon bond; in tal modo, gli interessi calcolati (quale quota di pertinenza di ciascuna rata) sul debito residuo, pur risultando apparentemente primari, conservano finanziariamente una loro dipendenza funzionale rispetto agli interessi pregressi, ciò che comporta una lievitazione esponenziale del monte interessi complessivo.[42]

L’utilizzo del regime composto, cioè, si configura come funzionale all’intercambiabilità dei flussi finanziari riferibili all’obbligazione principale ed a quella accessoria, che permea, per l’appunto, tale regime (mercè la peculiare natura del “debito residuo”, consistente in una “miscela di capitale ed interessi”, cui si ha riguardo ai fini della determinazione delle varie quote interessi e della formazione delle rate che si susseguono). Siffatta intercambiabilità risulta in palese contrasto con il principio di autonomia e distinzione ontologica, contabile e giuridica tra le due suindicate tipologie di obbligazione, costituente ius receptum nella giurisprudenza della Corte regolatrice.[43] Del resto, alla formazione di quella determinata rata si perviene proprio in virtù dell’applicazione del regime composto ai fini dell’ammortamento del prestito. Il principio secondo cui l’autonomia negoziale dei privati non può comportare deroga di sorta alla disciplina di legge imperativa - tale essendo innegabilmente quella posta dall’art. 1283 c.c.[44] - rappresenta uno dei cardini del nostro ordinamento e non è soggetto ad alcuna eccezione anche in riferimento alla specifica normativa in esame. Ne deriva che alle parti non è dato, attraverso la pattuizione della rata costante e dell’anticipazione della scadenza del debito per interessi rispetto a quello per sorte capitale che li ha generati, eludere surrettiziamente il presidio imperativo costituito dal citato art. 1283 c.c..[45] In realtà, il fenomeno anatocistico, quale definito dalla norma codicistica appena richiamata, è inevitabilmente implicato dal ricorso al regime composto ai fini del calcolo degli interessi.[46]

La ragione per la quale l’art. 1283 c.c. fa espresso riferimento soltanto alla produzione di interessi su interessi (anziché al regime finanziario che determina tale effetto) quale carattere qualificante l’anatocismo, sta nel fatto che il Legislatore del 1942 presupponeva che l’obbligazione accessoria dovesse rimanere tale, a fronte del fondamentale principio per il quale esclusivamente la sorte capitale può produrre interessi (non a caso, l’art. 820 comma 3 c.c., che fa espresso riferimento, per l’appunto, soltanto ad ipotesi di interessi primari); salva la sussistenza, per l’appunto, delle condizioni stabilite dal medesimo art. 1283 c.c. affinché anche gli interessi possano essere fruttiferi. Non è del resto casuale che nell’intera disciplina delle obbligazioni pecuniarie contenuta nel Codice Civile non vi è alcuna disposizione che contenga il termine “capitalizzazione”, tanto meno con riferimento agli interessi. E la richiamata teorica distinzione ontologica, giuridica e contabile tra l’obbligazione (principale) inerente al capitale e quella (accessoria) relativa agli interessi, costantemente recepita nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, si fonda, per l’appunto, sull’assetto normativo appena ricostruito, nel quale trova per l’appunto giustificazione la soluzione “semantica” adottata dal Legislatore del 1942 nel definire il precetto posto dall’art. 1283 c.c.[47]

La scelta del regime finanziario da adottare ai fini del calcolo degli interessi, non è oggetto di specifica disciplina nell’ambito della normativa dell’Unione Europea, come eloquentemente precisato dalla Corte di Giustizia;[48] ragion per cui è alla disciplina nazionale che occorre avere riguardo per verificare se il Legislatore abbia prescelto un determinato regime. Ebbene, dal combinato disposto di cui agli artt. 1283, 1184, comma 1, primo inciso e 821 comma 3 c.c. è dato evincere che il Legislatore del 1942 ha adottato un modello legale tipico di produzione degli interessi, corrispondente – in chiave matematico-finanziaria – a quello del regime di capitalizzazione semplice, la cui formula esprime, per l’appunto, il principio per il quale l’interesse è proporzionale al capitale ed al tempo (, dove C è il capitale iniziale finanziato, i è il tasso percentuale, t è l'unità di tempo e I è l'interesse maturato). Il regime di capitalizzazione semplice (o lineare), in effetti, si configura come l’unico aderente al principio di diretta proporzionalità degli interessi (rispetto sia al capitale che al tempo di impiego dello stesso) recepito dal precitato art. 821 comma 3 c.c. (“i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto”); principio che risulta sotteso anche al disposto del mentovato art. 1284 comma 1, primo inciso, laddove si prevede che gli interessi vanno computati in base ad un’aliquota percentuale del capitale, in ragione di un determinato arco temporale (l’anno, pertanto indipendentemente dalle singole più brevi scadenze periodiche alle quali, in base alla disciplina pattizia, gli interessi devono essere pagati): è evidente che, in tal modo, l’ordinamento ha prefigurato un necessario rapporto di proporzionalità degli interessi, rispetto non già al montante via via maturato, bensì, per l’appunto, alla sola obbligazione principale (il capitale finanziato) in rapporto al tempo. Tale conclusione trova significativo riscontro nella stessa giurisprudenza del Supremo Collegio.

Non a caso, del resto, con la fondamentale sentenza n. 24418/2010, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel confermare l’illegittimità della prassi della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori nei conti correnti bancari (in quanto non rispondente ad alcun uso normativo derogatorio rispetto al disposto imperativo di cui all’art. 1283) e nell’escludere che, ai fini dell’accertamento del saldo, possa farsi ricorso, in sostituzione, alla capitalizzazione annuale, non hanno potuto che concludere nel senso che “gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna", facendo quindi in tal modo riferimento, per l’appunto, alla capitalizzazione semplice, ovvero a quella operata (soltanto) al momento della chiusura del conto; e ciò proprio in quanto quest’ultima costituisce, come sin qui chiarito, il modello legale tipico di produzione di interessi (in conformità al disposto di cui all’art. 821 comma 3 c.c.). Quanto appena esposto, del resto, trova significativo riscontro ermeneutico negli stessi lavori preparatori del Codice Civile del 1942: nella Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942 si legge infatti che “Nel definire i frutti civili (art. 820, ultimo comma), sostituendo la formula del codice anteriore (art. 444, terzo comma), che definiva tali i frutti che si ottengono “per occasione della cosa”, ho posto in luce il rapporto giuridico di cui la cosa è oggetto, come quello attraverso il quale la cosa diviene fonte di reddito economico. Nell’acquisto dei frutti naturali … il momento della separazione è decisivo per l’acquisto da parte dell’avente diritto che sia diverso dal proprietario (art. 821, primo comma). Naturalmente questa distinzione non ha riscontro per i frutti civili, dove la nozione del frutto è soltanto metaforica e il diritto alla prestazione è fondato sul rapporto giuridico che costituisce l’obbligo: perciò l’art. 821, ultimo comma, riproducendo l’art. 481 del codice del 1865, afferma che essi si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto”. Dalla citata Relazione Ministeriale si desume, quindi, che la novità introdotta nell’art. 821 comma 3 c.c. consiste nell’aver rimesso all’autonomia negoziale dei contraenti la scelta del momento temporale in cui i frutti civili debbano essere effettivamente incassati (ovvero nel quale essi diventano esigibili), momento che deve essere indicato nel “rapporto giuridico che costituisce l’obbligo” (ovvero, più propriamente, nel contratto dal quale deriva detto rapporto); mentre la stessa Relazione rimarca la continuità tra la disciplina del Codice del 1942 rispetto a quella del 1865 in relazione alla modalità di acquisto dei frutti civili, evidenziando, per l’appunto, che l’art. 821 comma 3 c.c., come “l’art. 481 del codice del 1865”, continua ad imporre che essi maturano “giorno per giorno”; in definitiva, quando i frutti civili sono gli interessi dei capitali, la volontà delle parti non può derogare il criterio legale che regola la modalità di acquisto degli interessi, costituita dal regime lineare della capitalizzazione semplice; principio che deve ritenersi quindi parte integrante della disciplina imperativa in materia; in altri termini, i contraenti possono pattuire, attraverso la predisposizione del piano di ammortamento, che l’obbligazione relativa agli interessi pervenga a scadenza (e quindi diventi esigibile), pro quota (vale a dire in riferimento alla quota interessi che compone ciascuna rata) ancor prima del capitale residuo sul quale quegli stessi interessi vengono calcolati (capitale che sarà rimborsato con le rate successive); ma tale facoltà, che trova fondamento nell’autonomia negoziale dei privati (art. 1322 c.c.) non può comportare una surrettizia deroga, in funzione elusiva, al principio imperativo secondo il quale la produzione degli interessi deve avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità degli stessi rispetto sia al capitale che al tempo (ex art. 821 comma 3 c.c.).

Sotto tale profilo, il principio di proporzionalità (art. 821 comma 3 c.c.) si salda (costituendone il fondamento) con l’art. 1283 c.c., completandone la portata precettiva e partecipando della medesima natura imperativa di tale ultima disposizione: in tanto l’anatocismo (la generazione di interessi secondari da interessi primari o, comunque, qualsiasi artificio contabile che produca il medesimo effetto economico – finanziario di tale operazione) risulta vietato (fatta salva la ricorrenza delle condizioni legittimanti, indicate nell’art. 1283 c.c.), in quanto (comportando un incremento esponenziale degli interessi, tipicamente implicato dal regime composto) costituisce deroga al principio di proporzionalità che nel nostro ordinamento regola la produzione degli interessi. In definitiva, il regime di capitalizzazione composta si configura illegittimo, per contrasto con il principio di proporzionalità appena richiamato, e non può essere adottato neanche in virtù del concorde consenso contrattuale delle parti, attesa la natura imperativa (e la conseguente inderogabilità) di tale principio.


8.2. L’esigenza di coordinamento tra Matematica e Diritto quale indefettibile condizione per un approccio analitico corretto dal punto di vista giuridico e sul piano scientifico – Le congetture (interdisciplinari) della giurisprudenza di merito ed il contrasto con i principi della Matematica Finanziaria.

Sulla scorta dei principi di matematica finanziaria sin qui enunciati, è quindi possibile porre in evidenza le incongruenze ed erronee affermazioni tralaticiamente contenute in un pur nutrito indirizzo (tuttora prevalente) della giurisprudenza di merito che – nell’affermare e/o nel dare per presupposte regole e soluzioni analitiche contrastanti con principi consolidati della scienza della Matematica Finanziaria - esclude, sic et simpliciter, la sussistenza del fenomeno anatocistico nei piani di ammortamento a rata costante cui si fa ricorso nel mercato del credito.

1) Per ogni rata, l’interesse corrispettivo sarebbe calcolato solo sul debito per sorte capitale residuo non ancora scaduto, oggetto delle rate successive (le cui quote capitali sono via via decrescenti nel corso del tempo), debito, quest’ultimo, che di volta in volta si riduce progressivamente per effetto del pagamento della quota capitale delle rate precedenti; ragion per cui nell’ammortamento alla francese non sarebbe concettualmente configurabile l’anatocismo, difettando nella fase genetica del rapporto il presupposto stesso di tale fenomeno, ovvero la presenza di un interesse giuridicamente definibile come “scaduto” sul quale operare il calcolo dell’interesse composto ex art. 1283 c.c., stante il già avvenuto pagamento delle quote interessi delle rate precedentemente onorate.

La citata letteratura matematica che si è occupata della questione ha in realtà posto in luce che la formazione della quota di interessi che compone ciascuna rata successiva alla prima nel piano di ammortamento alla francese predisposto in capitalizzazione composta implica che il debito residuo per sorte capitale del periodo precedente (sul quale si calcolano gli interessi che compongono la rata successiva moltiplicando detto debito residuo per il cd. tasso periodale, ad esempio mensile) contiene, a sua volta, per costruzione, gli interessi maturati nei periodi precedenti, ovvero quelli da considerare giuridicamente “scaduti” (e normalmente già pagati entro il termine di scadenza delle rispettive rate di riferimento); più precisamente, ogni quota interessi di ciascuna rata successiva alla prima risulta costituita dalla somma di due componenti: una determinata dalla maturazione degli interessi calcolati sul debito capitale residuo nel periodo di riferimento della medesima rata e l’altra prodotta dalla maturazione degli interessi sugli interessi relativi ai periodi precedenti (questi ultimi, in quanto tali, già pagati quali oggetto delle relative quote interessi delle rate pregresse di riferimento).

E il debito residuo che risulta a seguito del pagamento delle varie rate, infatti, è composto da una quota parte di interesse già pagata, secondo quanto dianzi chiarito e, dunque, la quota interessi di pertinenza di ciascuna rata, anche se calcolata (soltanto apparentemente in regime di capitalizzazione semplice) sul solo debito residuo, risulta di ammontare maggiore rispetto a quella che sarebbe dovuta in base all’utilizzo di un tasso di interessi pattuito in regime di capitalizzazione semplice ai fini della preventiva determinazione dell’ammontare delle rate di rimborso; e ciò, per l’appunto, in ragione di un debito residuo in tal modo illegittimamente incrementato. In altri termini, ogni debito residuo risultante dal pagamento delle rate già versate si ottiene sottraendo dal debito precedente (quale risultante dal pagamento della rata immediatamente anteriore) la quota capitale corrente (quella che compone la rata che si prende in considerazione), vale a dire “sottraendo (contabilizzando) la rata ed aggiungendo (capitalizzando) la quota interessi, la quale verrà quindi considerata nel calcolo delle successive quote interessi”atteso che la quota interessi è il prodotto del debito del periodo precedente per il tasso di interesse (periodale). Ne deriva che quando si sottrae la quota capitale di una determinata rata dal debito residuo si contabilizza anche la quota interessi di quella medesima rata (ovvero, se si preferisce, si sottrae la rata e si aggiungono gli interessi) e tale quota interessi concorrerà, a sua volta, alla formazione della successiva quota interessi. Trascurare di considerare siffatta modalità di determinazione del debito residuo deriva dall’erroneo presupposto secondo cui ad ogni pagamento periodico di una determinata rata si verifichi una sorta di chiusura della contabilità finanziaria del mutuo ed il successivo riavvio della stessa (cd. roll over), senza attribuire alcuna rilevanza all’avvenuta capitalizzazione degli interessi. In realtà, come ha avuto modo di sottolineare il Supremo Collegio, nel mutuo convenuto con piano di rimborso rateale e quindi con obbligo restitutorio differito nel tempo (sotto il profilo esecutivo) “acquista il carattere di contratto di durata e le diverse rate in cui quel dovere è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione”; di modo che “il beneficio del pagamento rateale è solo una modalità prevista per favorire il mutuatario attraverso l’assolvimento ripartito nel tempo della propria obbligazione, ma non ne consegue l’effetto di frazionare il debito in tante autonome obbligazioni”; decorrendo, non a caso, il termine di prescrizione ex art. 1957 c.c. non già dalla scadenza delle singole rate, “bensì dalla scadenza dell’ultima”.

Tuttora, nella maggior parte delle pronunce di merito si sostiene che ciascuna rata comprenderebbe interessi semplici computati sul capitale residuo. In realtà, applicare il tasso definito dal T.A.N. riportato in contratto per calcolare gli interessi sul debito capitale residuo comporta necessariamente l’impiego del regime composto per determinare la rata, salvo poi fare ricorso, all’applicazione dello stesso T.A.N. (a ben vedere sempre in regime composto) sul debito residuo; soluzione, quest’ultima, che sotto il profilo matematico (ed economico) conduce al medesimo monte interessi anatocistico.

2) L’orientamento giurisprudenziale in questa sede criticato sostiene poi che gli interessi di periodo che compongono ciascuna rata verrebbero calcolati (asseritamente in base al regime di capitalizzazione semplice), soltanto sulla parte del capitale residua (in quanto tale non ancora restituita e “spalmata” nelle rate successive non ancora scadute) e per il periodo di riferimento della singola rata, non essendo quindi le singole quote interessi affatto determinate capitalizzando in tutto o in parte gli interessi corrisposti con il pagamento delle rate precedenti, bensì, per l’appunto, di volta in volta versate come componenti delle rate di riferimento; in altri termini, ciascun pagamento periodico esaurirebbe la totalità degli interessi fino ad allora maturati, mentre, corrispondentemente, con il progredire del piano di rimborso, la corresponsione di ciascuna rata (comprensiva della quota capitale che la compone) determinerebbe la riduzione del capitale residuo dovuto dal mutuatario, ciò che darebbe luogo ad un fenomeno “inverso” rispetto alla capitalizzazione. In talune pronunce annoverabili nell’indirizzo in questione si rimarca, poi, che il regime composto sarebbe utilizzato esclusivamente per determinare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite e si sostanzierebbe, quindi, in una formula di equivalenza finanziaria che consente di rendere uguale il capitale mutuato con la somma dei valori capitale compresi in tutte le rate di rimborso, senza tuttavia incidere in alcun modo sul separato conteggio calcolo degli interessi, che nel piano di ammortamento verrebbe operato – come dianzi detto - con il regime dell’interesse semplice, poiché, ad ogni scadenza temporale pattuita, la quota interessi compresa in ciascuna rata è data dal prodotto tra il debito residuo alla medesima rata ed il tasso d’interesse periodale, corrispondente al T.A.N. contrattuale frazionato secondo la stessa ripartizione temporale di restituzione del capitale.

In realtà, con riguardo al riferimento al preteso fenomeno “inverso” rispetto alla capitalizzazione, è agevole rilevare che in matematica finanziaria esso è piuttosto costituito dalla cd. attualizzazione, operazione che, nel contesto in esame, invece dimostra, attraverso il principio di equità finanziaria, proprio la presenza del regime composto e degli interessi sugli interessi sia nel calcolo della rata che nello sviluppo del piano di ammortamento.

Ciò che soprattutto rileva è che risulta scorretto, sotto il profilo algebrico e finanziario, l’assunto secondo cui nei piani di ammortamento alla francese - per quanto stilati in capitalizzazione composta ai fini della determinazione dell’ammontare delle rate - le quote interessi delle varie rate sarebbero calcolate in regime di capitalizzazione semplice (in quanto ottenute come prodotto tra il tasso periodale di interesse ed il debito relativo al periodo precedente), ciò che varrebbe ad escludere in radice la possibilità di produzione di interessi anatocistici. Tale affermazione, infatti, si attaglia soltanto all’ipotesi nella quale si abbia riguardo ad un tasso di interesse riferito ad un tempo unitario - vale a dire nel caso di coincidenza dell’unità di tempo a cui è riferito il tasso contrattuale con il periodo scaduto nel quale avviene la singola capitalizzazione, corrispondente a quella operata per ciascuna rata; ipotesi, quella appena indicata, nella quale (soltanto) le funzioni del regime semplice e di quello della capitalizzazione composta effettivamente coincidono, come eloquentemente posto in luce da insigne cattedratico. Procedendo nell’analisi escludendo la suddetta peculiare ipotesi del tempo unitario, in virtù dell’incompatibilità delle leggi che regolano i due diversi regimi è dato constatare che, in realtà, nell’ammortamento predisposto secondo le regole del regime composto anche le quote interessi delle singole rate sono (necessariamente) calcolate in base a tale regime e, per converso, in quello stilato secondo le regole della capitalizzazione semplice le quote interessi sono (necessariamente) calcolate (più precisamente attualizzate), in applicazione del regime semplice.

Emerge nella sua lampante evidenza, in definitiva, la scorrettezza dell’affermazione (ricorrente in varie pronunce di merito) secondo cui nell’ammortamento alla francese la legge di sconto composto sarebbe utilizzata unicamente al fine di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite e fungerebbe, quindi, soltanto da formula di equivalenza finanziaria che consente di rendere il capitale mutuato uguale alla somma dei valori capitale compresi in tutte le rate del medesimo piano, senza incidere sul separato conteggio degli interessi, che invece risponderebbe alla regola dell’interesse semplice. In realtà, come chiarito, non può trascurarsi di considerare l’effettiva consistenza del debito residuo preso in considerazione per il calcolo di ciascuna quota interessi, essendo esso costituito non soltanto dal capitale ripartito, pro quota, nelle rate successive, ma anche da interessi inclusi nelle rate precedenti, per quanto già contabilizzati (ed anche se effettivamente pagati nel corso del rimborso frazionato).

3) L’argomento secondo cui con il pagamento di ciascuna rata verrebbe corrisposta la totalità degli interessi maturati (sul capitale residuo) nel periodo cui la stessa rata si riferisce (interessi che, per l’appunto, in quanto sempre pagati alle scadenze pattuite, non potrebbero essere capitalizzati), si configura inconferente ai fini dell’esclusione dell’effetto anatocistico, come ha avuto modo di precisare la letteratura matematica più avveduta, in ragione della particolare consistenza del debito residuo preso in considerazione, di rata in rata: il meccanismo della produzione degli interessi su interessi nel regime composto è dovuto proprio alla sottrazione dal debito residuo della quota capitale e non dell’intera rata (comprensiva anche della quota relativa agli interessi), come avviene invece facendo ricorso alla capitalizzazione semplice. Per altro verso, il fatto che la quota interessi che compone ciascuna rata successiva alla prima venga pagata, ad ogni scadenza periodica, non vale ad escludere che gli interessi scaduti e pagati partecipino, così come il capitale, alla determinazione degli interessi delle rate successive, atteso che, attraverso l’utilizzo del T.A.N. contrattuale ai fini della predisposizione del piano di ammortamento in regime composto si verifica comunque la produzione esponenziale degli interessi (in senso proporzionale non già al capitale, bensì al montante, comprensivo di capitale e di interessi), alla medesima stregua di quanto avviene con la capitalizzazione periodica degli interessi. Siffatto argomentare – nel predicare la generazione degli interessi sulla sola sorte capitale, in ragione del pagamento delle varie quote interessi che maturano alle singole scadenze - trascura di considerare che, come evidenziato da illustri accademici, “il debito residuo è funzione della quota capitale che a sua volta dipende dal calcolo della rata costante, che è calcolata nel regime finanziario della capitalizzazione composta”.

4) in base ad un ulteriore argomento, cui si fa ricorso al fine di escludere la configurabilità dell’anatocismo nei piani di ammortamento a rata costante (cd. “alla francese”) in regime composto, il fatto che il maggiore ammontare complessivo degli interessi conseguenti all’adozione di tale regime rispetto a quello che risulterebbe per effetto dell’impiego del piano di ammortamento cd. “all’italiana” (caratterizzato dal pagamento periodico di quote capitali costanti e contemporanea corresponsione degli interessi), dipenderebbe non già dall’applicazione di interessi composti, bensì dalle diverse modalità di costruzione della rata nell’una e nell’altra tipologia di ammortamento: più precisamente, rispetto ad un piano con quote capitali costanti, in quello “alla francese” la pattuizione della rata costante comporta che, inizialmente, la quota interessi sia più consistente e, corrispondentemente, la quota capitale più ridotta, ciò che di per sé solo determinerebbe una più lenta estinzione del debito per capitale e, corrispondentemente, la produzione di maggiori interessi, in quanto calcolati, per l’appunto, su una sorte di maggiore importo; in altri termini, pagando inizialmente più interessi che capitale il mutuatario trattiene per più tempo quest’ultimo (rispetto a quanto avviene nel piano di ammortamento “all’italiana”, ovvero a rata costante) e ciò implicherebbe necessariamente la formazione di un maggiore monte interessi. I contributi scientifici che hanno affrontato la questione hanno in proposito ribadito che, come già chiarito, la distinzione tra la metodologia di ammortamento “alla francese” e quella “all’italiana”, di per sé sola, non assume in realtà alcuna effettiva rilevanza rispetto al verificarsi o meno del fenomeno anatocistico; fenomeno che, come già chiarito, non è determinato affatto dalla tipologia di ammortamento, conseguendo piuttosto dall’applicazione del regime composto, di modo che anche un piano di ammortamento “all’italiana”, ove strutturato in base a tale ultimo regime finanziario, comporta analogamente la produzione di interessi anatocistici. Per altro verso, rettificando nel senso appena indicato il principio affermato nella succitata sentenza del Tribunale di Milano del 30.10.2013, dire che è soltanto la particolare modalità di costruzione della rata - caratterizzata da quote capitali di modesto ammontare nelle rate iniziali, cui fa riscontro un’iniziale parimenti modesta riduzione del debito residuo (per effetto della sottrazione delle stesse quote capitali all’atto del loro pagamento periodico) - che determina un monte interesse maggiore rispetto a quello che deriverebbe dal ricorso alla capitalizzazione semplice (e/o dal ricorso all’ammortamento all’italiana) non vale di per sé a rendere legittima la produzione di interessi in misura eccedente rispetto a quelli che sarebbero dovuti applicando il criterio di proporzionalità posto a fondamento dell’art. 821 comma 3 c.c.; né vale ad escludere che, trattandosi di successione di rate di importo costante, è proprio il rilevante ammontare delle quote interessi delle prime rate (nelle quali confluisce la gran parte della componente anatocistica del monte interessi complessivo) che comporta la corrispondente minore consistenza delle quote capitali delle rate nel corso della stessa fase iniziale del piano di rimborso.

5) Un altro argomento frequentemente speso a fondamento dell’assunto dell’esclusione della dinamica anatocistica nella predisposizione dei piani di ammortamento a rata costante in regime composto consiste nell’assunto secondo cui il presunto (e negato) effetto anatocistico parrebbe sussistere (in tesi solo apparentemente) in ragione della più lenta riduzione del debito per sorte capitale residua (o, in altre parole, dalla minore intensità della restituzione del capitale) rispetto a quanto si verifica (a parità di parametri) con l’impiego del regime lineare, rallentamento indotto dalla prioritaria imputazione dei periodici pagamenti agli interessi di tempo in tempo maturati (piuttosto che al capitale); caratteristica quest’ultima che, in base all’orientamento in esame, garantirebbe il rispetto della regola stabilita dall’art. 1194 c.c.. In altri termini, trattandosi di criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione prioritaria ad interessi piuttosto che a capitale, la legittimità dello stesso sarebbe rivelata, per l’appunto, dalla sua conformità al disposto di cui al citato art. 1194 c.c.

La letteratura matematica in materia ha posto in luce i profili di criticità e le incongruenze, sotto il profilo scientifico, anche di tale considerazione, contrastante con i più elementari principi della matematica finanziaria. L’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. (in particolare quello previsto dal comma 2, in forza del quale “il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi”) viene tradizionalmente circoscritta da consolidata giurisprudenza alle ipotesi di contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità e di esigibilità sia del credito per capitale che di quello a titolo di interessi; presupposto quest’ultimo che, per quanto chiarito, non è invece ravvisabile qualora il piano sia predisposto in regime di capitalizzazione composta con calcolo degli interessi sull’intero capitale oggetto delle rate future (situazione in virtù della quale, giova ribadire, la quota interessi di ciascuna rata deve essere pagata, e si configura quindi esigibile, ancor prima che giunga in scadenza il capitale di riferimento sul quale sono calcolati i medesimi interessi): “… la disposizione dell’art. 1194 c.c. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili”. L’art. 1194 c.c. si pone come norma di chiusura di un sistema fondato sulla netta distinzione – sia sotto il profilo contabile che sotto quello giuridico – tra l’obbligazione avente ad oggetto il capitale e quella relativa agli interessi; distinzione non a caso costantemente ed opportunamente ribadita nella giurisprudenza della Suprema Corte, come già chiarito. Parte integrante di tale sistema (e rispetto ad esso del tutto coerente, integrandone un pilastro portante) è per l’appunto il principio per il quale gli interessi sono frutti e non si incorporano con il capitale fino al momento della domanda giudiziale o della convenzione posteriore alla loro scadenza (cfr. art. 1283 c.c.). In virtù di tali principi, non pare quindi revocabile in dubbio che quanto disposto dall’art. 1194 c.c. risulta coerente con il sistema delineato dal Legislatore soltanto in ipotesi di simultanea ricorrenza dei requisiti di esigibilità e liquidità sia del capitale che degli interessi; situazione questa che si configura sicuramente a fronte di un piano di ammortamento elaborato secondo il regime dell’interesse semplice (che, non a caso prescelto dal Legislatore del 1942 come modello legale tipico, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 821 comma 3 e 1284 comma 1, primo inciso c.c.). Diversamente, in un piano di rimborso graduale stilato in regime dell’interesse composto le quote interessi che compongono ciascuna rata sono calcolate sul debito residuo per sorte capitale (oggetto di obbligazione non ancora scaduta, in quanto destinata ad essere estinta gradualmente con il pagamento delle rate successive); di tal che, l’anticipazione della scadenza, ovvero dell’esigibilità (e quindi del pagamento) di tali quote interessi restituisce sistematicamente un monte interessi complessivo che esprime, comunque, una spirale ascendente della crescita dei medesimi in chiave esponenziale, esattamente corrispondente a quella che si verifica attraverso la produzione di interessi su interessi (art. 1283 c.c.). Quanto appena esposto comporta, in siffatto scenario, il sostanziale venir meno della differenza tra capitale ed interesse, contribuendo entrambe le relative obbligazioni a determinare, in ugual modo, il prezzo del finanziamento e risultando pertanto (l’uno come gli altri) proporzionali al montante maturato anziché al capitale finanziato.  Il riferimento all’art. 1194 c.c. è pertanto inconferente nel contesto in esame: non può confondersi la disciplina dell’imputazione dei pagamenti a fronte della compresenza (più precisamente, della simultanea liquidità ed esigibilità) del debito principale per sorte capitale e di quello accessorio relativo agli interessi (art. 1194 c.c.) con il criterio legale di produzione e di calcolo degli interessi (art. 1283 c.c.). In altri termini, le due disposizioni citate operano su piani diversi e non risultano affatto in contrasto tra loro: l’art. 1283 c.c. si riferisce al criterio per il calcolo degli interessi e da esso si evince, per quanto chiarito, l’inammissibilità del regime di capitalizzazione composta nella costruzione del piano di rimborso graduale del finanziamento a rate costanti, trattandosi di soluzione in contrasto con il divieto di anatocismo posto dalla stessa citata norma imperativa; l’art. 1194 c.c., invece, si applica come criterio di imputazione del pagamento che presuppone necessariamente – in conformità alla giurisprudenza della Corte regolatrice – che il credito principale per capitale e quello accessorio per interessi siano “simultaneamente liquidi ed esigibili”, presupposto che, come evidenziato, a ben vedere non si configura nel caso di mutuo con ammortamento stilato secondo il regime della capitalizzazione composta, tipologia contrattuale nella quale il pagamento degli interessi è dovuto, prima che sia esigibile, l’obbligo di rimborso del capitale che li ha generati (ovvero, la scadenza del debito per interessi precede quella del debito per sorte capitale sul quale essi sono computati). Ne deriva che, a ben vedere, alla disciplina posta dall’art. 1194 c.c. può aversi riguardo, in riferimento ai piani di ammortamento in regime composto, soltanto nelle ipotesi di chiusura anticipata del rapporto contrattuale, ad esempio, nel caso in cui il mutuo venga estinto anticipatamente dal cliente o in quello nel quale la banca, a fronte dell’inadempimento nella corresponsione delle rate di cui si sia reso responsabile quest’ultimo, eserciti il diritto potestativo di recesso anticipato dal contratto (avvalendosi della clausola risolutiva espressa solitamente nello stesso contenuta), iniziativa questa che vale a rendere esigibile immediatamente anche l’obbligazione inerente al capitale, proprio per effetto dell’esercizio di tale facoltà attribuita al mutuante e della conseguente decadenza del debitore dal beneficio del termine; evenienze, quelle appena menzionate, nelle quali i pagamenti effettuati andranno per l’appunto imputati prima agli interessi e poi al capitale (che ormai, per l’appunto in ragione dell’intervenuta decadenza dal beneficio del termine implicata dall’effetto risolutivo e della conseguente esigibilità della relativa obbligazione, non potrà più fruttare), secondo quanto prescritto dal succitato art. 1194 c.c. In virtù di tali considerazioni, non può condividersi la conclusione cui è pervenuto l’Autore di un recente (e per altri versi apprezzabile) contributo alla tematica in esame, secondo cui sussisterebbe “una insanabile aporia tra diritto e matematica finanziaria”, vale a dire tra il disposto di cui all’art. 1194 c.c. (che prescrive l’imputazione prioritaria dei pagamenti al debito per interessi piuttosto che a quello per sorte capitale) e “la legge della matematica finanziaria che definisce l’interesse in regime semplice”; di tal che, essendo quest’ultima fondata “su assiomi e per fini estranei a quelli del diritto”, nel contrasto tra le due “sarà la regola giuridica a prevalere”. In proposito, al di là del rilievo che la capitalizzazione semplice (così come quella composta) è solo uno dei due regimi con i quali può essere declinato il calcolo degli interessi in matematica finanziaria (di modo che tale alternativa non può fondare, di per sé, alcun contrasto con il diritto, occorrendo piuttosto accertare se il diritto abbia optato per l’una o l’altra soluzione, vale a dire, se si preferisce, se taluno dei due regimi finanziari si configuri in contrasto con l’ordinamento), pare agevole replicare che è proprio il diritto (in particolare, il combinato disposto di cui agli artt. 821 comma 3 e 1284 comma 1 c.c.) a prefigurare il regime lineare quale modello legale tipico di produzione degli interessi (in virtù del principio di proporzionalità degli stessi sia al capitale che al tempo, cui è ispirata la disciplina appena citata, principio che soltanto quest’ultimo regime è in grado di assicurare), secondo quanto verrà più diffusamente precisato nel prosieguo della trattazione; ragion per cui alcun effettivo contrasto si configura tra “la legge della matematica finanziaria che definisce l’interesse in regime semplice” e l’ordinamento giuridico (che, anzi, recepisce proprio quest’ultimo regime). Per altro verso, deve escludersi contrasto di sorta anche tra il regime lineare e l’art. 1194 c.c., per la semplice ragione che detta disposizione non attiene affatto al criterio di computo degli interessi, regolato da tutt’altro plesso normativo (art. 1282, 821 comma 3, 1284 comma 1, 1283 c.c.), bensì all’imputazione dei pagamenti rispetto a debiti per sorte capitale e per interessi “simultaneamente liquidi ed esigibili”, presupposto sicuramente non ravvisabile nei mutui con ammortamento a rata costante stilati in regime di capitalizzazione composta. In tale contesto, peraltro, pare ultroneo il riferimento all’anticipazione dell’esigibilità degli interessi rispetto a quella del capitale sul quale sono calcolati (“… la previsione convenzionale … del pagamento … agli interessi prima che al capitale non è foriera di alcun anatocismo vietato dall’ordinamento”), atteso che la relativa pattuizione trova fondamento (anziché nell’art. 1194 c.c.) nel principio di autonomia negoziale. Ma, in tale contesto, non può trascurarsi di considerare che attraverso l’esercizio dell’autonomia contrattuale non si può derogare ad una norma imperativa, quale è innegabilmente l’art. 1283 c.c.); in altri termini la facoltà dei contraenti di pattuire siffatta anticipazione (che, peraltro, costituisce deroga convenzionale all’art. 1282 comma 1 c.c., in virtù del quale i crediti pecuniari “producono interessi di pieno diritto” sempre che siano “esigibili”) non può determinare l’effetto anatocistico senza rispettare i limiti e le condizioni stabilite dal precitato art. 1283 c.c.. In definitiva, con riguardo agli aspetti analizzati, l’ipotizzato contrasto tra Diritto e Matematica Finanziaria non risulta sussistere: si conviene con questo Autore sul fatto che l’ordinamento  contiene tutte le regole necessarie e sufficienti per risolvere la questione della giuridica esistenza o meno nell’ammortamento alla francese”, ma per affermare tale conclusione non è affatto necessario postulare un conflitto di tal genere tra scienza matematica e ordinamento giuridico; né pare che l’analisi della tematica in questione possa essere affrontata semplicemente con “l’ausilio di un poco di matematica (anche senza l’aggettivo finanziaria)”, ove si consideri che è proprio attraverso iprincipi e gli algoritmiche si studiano in Matematica Finanziaria che vengono predisposti i modelli di ammortamento comunemente utilizzati nel mercato del credito (e si determinano il criterio di calcolo e la misura degli interessi). Riconoscere questo dato di fatto non pare possa risolversi nel privilegiare “l’approccio matematico-finanziario a discapito dell’inquadramento giuridico” o in “una impropria giuridicizzazione” dei “postulati della matematica finanziaria … elaborati ed adottati in usa scienza diversa, sulla base di presupposti e per scopi che non coincidono con quelli dell’ordinamento civile”; trattandosi, piuttosto, semplicemente di prendere atto, senza preconcetti di sorta, delle inevitabili interferenze tra le due discipline in questo particolare ambito di indagine e ciò al fine di interpretare ed applicare la normativa di riferimento con piena consapevolezza delle implicazioni matematico-finanziarie dello schema contrattuale adottato; in modo da evitare che il Diritto – trascurando di prendere in considerazione queste ultime - abdichi (poco importa quanto consapevolmente) alla suprema ed ineludibile funzione che è destinato ad assolvere ai fini del controllo di legalità (e quindi per una finalità la cui natura eminentemente “giuridica”, quale ne sia l’esito, non pare possa essere revocata in dubbio).


8.3 Sulla nullità (parziale) per indeterminatezza della clausola relativa al tasso di interesse (ultralegale) e per violazione della forma scritta ad substantiam.

La nullità parziale della disciplina pattizia implicante l’effetto anatocistico si riflette, a ben vedere, anche sul piano dell’indeterminatezza dell’oggetto del contratto. In effetti, con il piano di ammortamento stilato in capitalizzazione composta, in virtù della corresponsione anticipata delle rate (generalmente a scadenza infrannuale) rispetto al termine del periodo annuale (in riferimento al quale è stabilito il T.A.N.), il costo effettivo del finanziamento per il mutuatario (espresso dal cd. T.A.E.) non è pari (rectius, equivalente) al tasso nominale annuo previsto in contratto (T.A.N.), bensì superiore rispetto a quest’ultimo. Proiettando il tasso mensile su base annuale, usando la formula del tasso equivalente in regime di interesse composto (secondo la formula i= (1+i/t2)^t2-1, dove t2 è il numero di periodi in un anno, ed i il tasso nominale), emerge che in realtà il T.A.E. - vale a dire il costo effettivo annuo del finanziamento - al netto di spese, commissioni ed oneri accessori (la cui incidenza viene considerata nell’ambito del T.A.E.G.) e, giova precisare, comprensivo anche del costo aggiuntivo determinato dall’applicazione del regime di capitalizzazione composta – risulta superiore al T.A.N. indicato in contratto. Siffatta divergenza di tasso deriva per l’appunto dalla formula della capitalizzazione composta attraverso la quale vengono determinate le rate (già nel momento genetico della convenzione creditizia); formula che comporta l’incremento del tasso effettivo con il crescere del frazionamento del rimborso del debito; ciò che significa, in buona sostanza, che più sono le rate, più costa il mutuo.

La divergenza tra T.A.N. e T.A.E., in difetto di previsione pattizia di sorta in ordine al regime finanziario applicato rende quindi indeterminata la clausola relativa al tasso di interesse. A tale conclusione è dato inevitabilmente pervenire se è vero, come è vero, che sul piano prettamente finanziario, l’ammontare degli interessi dipende, oltre dal T.A.N. impiegato (che si configura, in realtà, come un tasso “strumentale” per la fissazione del tasso effettivo), anche dal modello di produzione degli interessi prescelto, modello espresso dall’equivalenza intertemporale generata dal regime finanziario adottato. Siffatta divergenza tra T.A.N. contrattuale e T.A.E. evincibile dallo sviluppo del piano di ammortamento allegato al contratto (e costituente parte integrante dello stesso) deriva dall’applicazione del tasso periodale effettivo in regime composto ai fini del computo degli interessi e del frazionamento infrannuale dei pagamenti. In tal modo il T.A.N. viene a perdere la funzione sua propria (che dovrebbe essere quella di contribuire ad esprimere il prezzo del finanziamento) e ciò in ragione dell’effetto esponenziale (anatocistico) connaturato al medesimo regime composto impiegato.

L’indeterminatezza oggettiva del tasso di interesse si riflette anche sul piano del rispetto del requisito formale prescritto ex lege. Non a caso, la Corte regolatrice ha avuto modo di rimarcare costantemente che “in tema di contratti di mutuo, affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c., che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse”. Pur potendosi ritenere tale condizione “soddisfatta anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse”, è evidente che, in difetto di menzione di sorta del regime finanziario adottato e del modello di produzione degli interessi, risulta “impossibile stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso riferirsi in presenza di diverse tipologie di interessi”. Ne deriva che, atteso che “ai fini di una valida pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale, è necessaria la forma scritta ad substantiam”, essendo per l’appunto “la mancanza di tale forma, che comporta la nullità della pattuizione e l’automatica sostituzione della misura convenzionale del tasso di interesse con quello legale, … rilevabile anche d’ufficio”.

Con le pronunce appena citate, in particolare, la Corte regolatrice ha escluso che il richiamo, contenuto nei contratti di conto corrente bancari, alle condizioni cd. uso piazza integri relatio idonea ad indicare “criteri prestabiliti” ed “elementi estrinseci” funzionali alla corretta pattuizione in forma scritta del tasso di interesse; a maggior ragione – deve ragionevolmente ritenersi – deve escludersi che possa considerarsi valida, a tal fine, una relatio che non faccia riferimento alcuno a siffatti criteri ed elementi (segnatamente al regime finanziario ed al criterio di calcolo degli interessi) e che attenga, piuttosto, al risultato contabile derivante dal ricorso a criteri di determinazione del tasso non affatto estrinsecati in modo esplicito né nel contratto, né nella documentazione ad essa allegata e tanto meno “obiettivamente individuabili” attraverso il loro esame; ciò che, a ben vedere, risulta in contrasto non soltanto con la disciplina in materia di trasparenza bancaria, ma anche con la richiamata disciplina imperativa riveniente negli artt. 1283 e 1284 c.c..  Ancor più eloquentemente, il medesimo Supremo Collegio ha precisato che “ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell'oggetto del contratto di cui all'art. 1346 c.c. (rispetto al quale l'art. 1284 c.c., contiene l'ulteriore previsione dell'onere di forma per la convenzione di interessi superiori alla misura legale), è che il tasso d'interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante, anche quando individuato per relationem”; in particolare, “in quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori (cfr. già Cass. n. 2765/92 e n. 7547/92 cit. in ricorso, nonchè Cass. n. 22898/05, n. 2317/07, n. 17679/09, tra le più recenti) e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto”. In definitiva, “i dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale”. E va rimarcato che il mero richiamo al risultato finale “fotografato” dal piano di ammortamento non può ritenersi, di per sé solo, esplicitazione del “criterio di calcolo” degli interessi in base al quale esso è predisposto, né, tanto meno, del regime finanziario applicato (del quale, del resto, solitamente non è fatta menzione alcuna nel testo contrattuale e nella documentazione allegata) ai fini della composizione della rata e del monte interessi complessivo.

In realtà, l’indicazione del regime finanziario adottato rappresenta un elemento indispensabile (sia in chiave formale che quale elemento contenutistico), essendo riconducibile all’ambito di “tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” cui fa riferimento l’art. 117 comma 4 T.U.B., ciò che soprattutto rileva nella tematica in questione. In effetti, alla luce della disciplina in tema di trasparenza – ed, ancor prima, dei già citati art. 117 commi 1 e 4 del T.U.B. e art. 1284 c.c. (che disciplinano il contenuto e la forma dei contratti bancari) – pare innegabile che il regime finanziario attraverso il quale viene utilizzato il tasso d’interesse (effettivo) ai fini della predisposizione del piano di ammortamento del mutuo ed il criterio adottato per il calcolo degli interessi costituiscono, per espressa voluntas legis, elementi fondamentali al fine di determinare l’oggetto del contratto, integrando la previsione relativa all’ammontare degli interessi (che, quindi, non esaurisce, di per sé sola, la clausola inerente al costo del finanziamento): non a caso, la forma scritta ad substantiam stabilita dall’art. 117 comma 1 del T.U.B. non può che essere riferita, come dianzi precisato, anche al “tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” (che, ai sensi del già richiamato comma 4 della medesima disposizione, devono essere indicati nel testo contrattuale); locuzione, quest’ultima, che esprime evidentemente il concetto di tasso effettivo. Così come la necessità di espressa previsione scritta è stabilita dal comma 3 dell’art. 1284 c.c. per l’appunto con riferimento alla “misura”, ovvero al tasso degli interessi (non già all’ammontare degli interessi, complessivo o frazionato che sia), tanto che, in caso di mancanza dello stesso, occorre applicare, quale tasso sostitutivo, la “misura legale” (id est, il tasso legale). In virtù dell’innegabile collegamento tra oggetto e forma del contratto evincibile dalla disciplina appena richiamata, pare innegabile che il Legislatore abbia assegnato al tasso degli interessi primaria rilevanza ai fini della determinazione dell’oggetto del contratto in esame (inteso nella sua complessità) e ciò in quanto detto tasso rappresenta il rapporto tra le due prestazioni oggetto della complessa obbligazione gravante sul debitore (nel caso in questione il mutuatario), in parte restitutoria (quella principale) ed in parte corrispettiva (quella accessoria). Più precisamente, nel mutuo gli interessi costituiscono la differenza tra il debito totale dell’accipiens (id est il montante complessivo) ed il capitale finanziato, mentre il tasso di interesse esprime il rapporto tra gli interessi dovuti e lo stesso capitale, in ragione del tempo del suo rimborso. È proprio in virtù dell’attitudine del tasso a fungere da indicatore del prezzo del finanziamento (evincibile soltanto attraverso la comprensione e la valutazione dei suddetti parametri) che esso non può che concepirsi come tasso effettivo, ragion per cui la sua misura va esplicitata in modo chiaro e comprensibile per il contraente aderente, trovando in tale esigenza, per l’appunto, fondamento giustificativo la normativa in materia di trasparenza bancaria; esigenza che non può essere invece evidentemente realizzata mediante la mera indicazione dell’ammontare degli interessi (che è soltanto il risultato dell’applicazione dei fattori che determinano il costo del credito), in difetto di menzione di sorta del regime finanziario utilizzato per computarli e del criterio di calcolo degli stessi. Del resto, se fosse sufficiente ad integrare la determinatezza del prezzo del finanziamento – id est, del tasso (effettivo) - la mera allegazione del piano di ammortamento (potendosi esso evincere dal raffronto tra l’importo del capitale da rimborsare e quello degli interessi da corrispondere, previa individuazione, attraverso accurata analisi matematica, del regime finanziario non espresso nel testo contrattuale), ad analoga conclusione dovrebbe ragionevolmente pervenirsi anche con riferimento agli altri elementi che concorrono ad individuare il contenuto del contratto di mutuo, quali l’ammontare del capitale finanziato, il numero delle rate di rimborso, il loro ammontare e la loro periodicità, potendo allo stesso modo anche tali dati ricavarsi (peraltro senza neanche dover far ricorso a complessi algoritmi) dal piano di ammortamento, essendo anch’essi desumibili dal medesimo piano.

Il principio per cui la determinatezza del tasso di interesse implica e presuppone che sia anche espressamente contemplato il regime finanziario adottato ed il criterio di calcolo degli interessi costituisce, a ben vedere, ius receptum nella giurisprudenza della Suprema Corte, potendosi desumere dalla ratio decidendi di varie pronunce in materia: a titolo esemplificativo, nel rimarcare la nullità della clausola cd. “uso piazza” in relazione ai conti correnti bancari, si è sottolineato che “la mera indicazione di un <> per il tasso di interessi può non risultare sufficiente ai fini del riscontro di determinatezza del relativo patto ex art. 1346 c.c., laddove valga ad indicare unicamente il tasso che viene applicato (non al rapporto in quanto tale, ma) solo in relazione a <> dello stesso”; in tal modo esplicitando che ciò che conta è, per l’appunto, il criterio oggettivo, predeterminato e verificabile, in virtù del quale viene stabilito un certo tasso; che, ai sensi dell’art. 1284 comma 3 c.c., la pattuizione relativa agli interessi “deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse”, non valendo invece “generici riferimenti inidonei a stabilire quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione”.Si è poi precisato che “la definizione di interessi attivi composti bancari non individua un univoco metodo di determinazione degli interessi convenzionalmente stabiliti dalle parti” e, come già in precedenza accennato, che l’indicazione del tasso può essere effettuata anche per relationem ma pur sempre “attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purchè obiettivamente individuabili ed ancora, che “per la determinatezza e la determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria … è indispensabile che i … parametri della determinazione degli interessi ad un tasso diverso da quello legale siano specifici”; nel medesimo contesto, si è altresì ribadito che affinchè “il tasso d'interesse sia desumibile dal contratto”, per quanto “per relationem” - e purchè “senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante” - occorre che ciò avvenga mediante “rinvio a dati che siano conoscibili a priorie siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto”. Ciò posto, è evidente che il mero richiamo al piano di ammortamento allegato al contratto non vale certo ad individuare i “criteri” e “parametri” di calcolo de quibus (che non possono  evidentemente identificarsi, sic et simpliciter, nel risultato nummario che deriva dal loro impiego), ove non siano in altro modo esplicitati; risolvendosi il piano medesimo, piuttosto, nell’esito numerico finale dell’applicazione di “criteri” e “parametri” (in primo luogo, giova ribadire, il regime finanziario ed il metodo di computo degli interessi utilizzati) che, in difetto di espressa menzione, non è certo dato individuare in modo chiaro ed univoco. Non pare pertanto condivisibile quell’indirizzo di parte della giurisprudenza di merito che, nel trascurare di considerare la rilevanza assunta dal regime finanziario applicato, ha omesso di verificare la determinatezza del tasso di interesse applicato al finanziamento ed il rispetto del relativo regime formale (ex artt. 1284 comma 3 c.c. 117 commi 1 e 4 T.U.B.), confondendo siffatto controllo con quello relativo all’esplicitazione del monte interessi totale, identificato nella somma delle quote interessi che compongono le singole rate di ammortamento: “laddove … il rimborso abbia luogo con il sistema progressivo cd. alla francese, la misura della rata costante dipende da una formula matematica i cui elementi sono: (I) il capitale dato in prestito; (II) il tasso di interessi fissato per periodi di pagamento; (III) il numero di periodi di pagamento. La formula matematica in questione individua in sostanza quale sia quell’unica rata costante in grado di rimborsare quel prestito con quel determinato numero di pagamenti periodici costanti e tale metodo non implica, per definizione, alcun fenomeno di anatocismo vietato”. In realtà, costituisce dato inconfutabile che a parità di importo finanziato, di T.A.N. contrattuale, di durata del piano di rimborso e di numero di rate, l’ammontare della rata (ferma restando, evidentemente, l’identità del capitale finanziato e restituito) varia a seconda che il piano di ammortamento venga stilato secondo la capitalizzazione semplice o quella composta, risultando esso inevitabilmente superiore adottando quest’ultimo regime in luogo del primo; e la relativa differenza del monte interessi è costituita, per l’appunto, dalla componente anatocistica generata attraverso l’impiego del regime composto. 

Per quanto dianzi chiarito, il meccanismo di eterointegrazione normativa della clausola relativa al tasso di interesse nulla per indeterminatezza (anche per l’omessa menzione dei fondamentali elementi indicativi del costo del finanziamento, costituiti, per l’appunto, dal regime finanziario e dal criterio di calcolo degli interessi), ex artt. 1418, 1346, 1419 comma 2 e 1339 c.c, avviene tramite il ricorso all’art. 1284 comma 3 c.c. quale previsione sostitutiva, in ragione del difetto della necessaria forma scritta (implicato, per l’appunto, dalla suddetta indeterminatezza) ai fini della pattuizione del tasso ultralegale, come ha avuto modo di precisare la stessa Corte regolatrice: “in ipotesi di mutuo per il quale sia previsto il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante”. Ciò posto, atteso che nel contratto deve esplicitarsi il tasso effettivo del mutuo secondo la legge dell’interesse semplice, per la quale detto interesse è la differenza, alla fine del rapporto, tra l’importo rimborsato e quello prestato, qualora siffatta “esplicitazione” non sia invece avvenuta - a fronte dell’applicazione della capitalizzazione composta ed in mancanza di “clausola specifica” relativa all’adozione di tale regime finanziario - “ciò importa la coesistenza in uno stesso contratto di due differenti tassi, con … un’assoluta incertezza su quale dei due tassi … sia effettivamente quello convenuto ed applicabile”. A fronte di tale situazione, come ha evidenziato la più avveduta giurisprudenza di merito, la nullità (parziale) della clausola di determinazione del tasso di interesse “comporta … la sostituzione di diritto della clausola nulla con la clausola sostitutiva di cui al terzo comma dell’art. 1284 c.c., per cui gli interessi saranno dovuti nella misura legale”. In tale contesto, si è correttamente evidenziato che “se il tasso di interesse è il costo del mutuo, tale costo non è chiaramente delineato nel contratto, perché con un piano di ammortamento alla francese il tasso pattuito e quello effettivamente applicato sono fisiologicamente discostati, ma patologicamente non percepiti dal contraente, poiché nel contratto è allegato solo un piano parzialmente sviluppato non in grado di far cogliere al cliente il maggior onere a cui dovrà sottostare”. Trattasi, quindi, di nullità meramente parziale del contratto di mutuo, in quanto pertinente, per l’appunto, soltanto alla clausola relativa agli interessi applicati in funzione di remunerazione del finanziamento in favore della banca mutuante; con conseguente necessità di fare ricorso al meccanismo di eterointegrazione normativa in riferimento alla medesima clausola nulla, vale a dire sostituendo il tasso (invalido) previsto in contratto con il tasso legale, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1419 comma 2, 1339 e 1284 comma 3 c.c..

Per altro verso, a fronte della rimarcata omessa specificazione nel testo dell’accordo contrattuale (e Nella documentazione ad essa allegata) del regime finanziario adottato, alla sostituzione dell’interesse al saggio legale non può che procedersi secondo il regime della capitalizzazione semplice, l’unico regime conforme al dettato dell’art. 821 comma 3 c.c.; disposizione che, come chiarito, lo presuppone come modello legale tipico di computo degli interessi e che, in combinazione con l’art. 1283 c.c. e con l’art. 1284, comma 1, primo inciso c.c., integra la disciplina imperativa in esame. Deve ritenersi pertanto di natura imperativa (in quanto tale cogente ed inderogabile, essendo dettata a tutela di interesse pubblicistico) anche la previsione di cui al precitato art. 821 comma 3 c.c., a norma del quale la produzione degli interessi avviene secondo un criterio lineare fondato sulla diretta proporzionalità degli stessi rispetto al capitale ed al tempo; criterio in forza del quale il totale delle somme dovute a titolo di interessi è costituito dalla differenza, alla fine del rapporto, tra l’importo rimborsato e quello prestato. Si tratta, pertanto, così come quella dell’art. 1283 c.c., di disposizione imperativa e che a quest’ultima si salda nella sua portata precettiva: in tanto l’anatocismo (ovvero la produzione di interessi su interessi scaduti) risulta vietato (salvo che ricorrano le specifiche condizioni previste dall’art. 1283 c.c.), in quanto la produzione di interessi su interessi risponde ad una dinamica esponenziale del prezzo del finanziamento (quale è quella tipicamente implicata dal regime della capitalizzazione composta), in luogo di quella lineare - prefigurata dal Legislatore - propria della capitalizzazione semplice predicata dall’art. 821 comma 3 c.c. (a mente del quale, giova ribadire, gli interessi “si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto”); disposizione, quest’ultima, da raccordare, nella sua portata precettiva, con l’art. 1284 comma 1, primo inciso c.c., che, nel rapportare il saggio di interesse all’anno, indipendentemente dalle singole più brevi scadenze alle quali gli interessi devono essere pagati, sottende evidentemente una nozione di interesse semplice, espressione del prezzo del finanziamento, in quanto fondata, per l’appunto, sulla diretta proporzionalità degli interessi medesimi al capitale finanziato ed al tempo.


8.4. Sui più recenti sviluppi del dibattito giurisprudenziale circa il rapporto tra il piano di ammortamento in capitalizzazione composta ed il divieto di anatocismo.

Va peraltro dato atto di un recente indirizzo di parte della giurisprudenza di merito, che, pur ammettendo finalmente – a fronte dei rilievi della pressoché totalitaria letteratura scientifica in materia – che nell’elaborazione dei piani di ammortamento dei finanziamenti con rimborso rateale “alla francese” oggetto della comune casistica giudiziaria viene adottato il regime della capitalizzazione composta e che, conseguentemente, anche il monte interessi viene in tal caso quantificato secondo tale regime, per importo superiore rispetto a quello che deriverebbe dall’applicazione della capitalizzazione semplice, ha nondimeno escluso che siffatto meccanismo comporti la violazione del divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.

L’argomentazione principale cui si è fatto a tal fine ricorso consiste, in buona sostanza, nell’apodittico assunto secondo cui l’incremento esponenziale del monte interessi conseguente all’adozione del regime composto assumerebbe, nel piano di rimborso rateale, una sorta di funzione compensativa o sanzionatoria rispetto ad un ipotetico tardivo adempimento da parte del debitore all’obbligazione di corrispondere (preesistenti) interessi primari. In altri termini, il divieto di anatocismo in difetto delle condizioni previste dall’art. 1283 c.c. riguarderebbe soltanto le ipotesi in cui la convenzione anatocistica si configuri come relativa ad un’obbligazione (accessoria) per interessi già scaduta e quindi già esigibile al momento della stipulazione della medesima convenzione, non vedendosi altrimenti, in difetto di siffatto ipotetico scenario, come possa essere postulato un “inadempimento” del mutuatario (asseritamente) giustificativo della lievitazione esponenziale degli interessi implicata dall’adozione del regime composto; in tal modo dando per presupposto che, almeno con riferimento ai finanziamenti con rimborso rateale, gli interessi primari maturano soltanto nel corso dell’esecuzione del relativo rapporto obbligatorio e quindi successivamente alla stipulazione della clausola anatocistica contenuta nel contratto con cui viene concesso il prestito). Invero, delle due l’una: o l’inadempimento di una preesistente obbligazione accessoria e quindi l’immediata esigibilità di interessi già scaduti e rimasti insoluti al momento della stipulazione della convenzione anatocistica costituisce presupposto necessario della disciplina posta dall’art. 1283 c.c., oppure detta disposizione deve ritenersi applicabile anche con riferimento ad interessi primari destinati a maturare ed a divenire esigibili nel corso del rapporto obbligatorio sorto per effetto del regolamento pattizio nel quale è inserita la ridetta convenzione.

In realtà, precisato che l’art. 1283 c.c. fa espresso riferimento, sic et simpliciter, agli interessi “scaduti”, non già (in ipotesi) a quelli necessariamente rimasti insoluti alla scadenza - e, quindi, al di là dell’evidente ed indebita sovrapposizione (o confusione), nel contesto motivazionale della sentenza in esame, tra interessi anatocistici ed interessi di mora, aventi funzioni ben diverse, - costituisce nozione di comune esperienza che, nell’ordinaria casistica giudiziaria, le clausole anatocistiche (integrate dall’approvazione, nell’ambito dell’assetto contrattuale, del richiamato allegato piano di ammortamento a rata costante predisposto secondo il regime di capitalizzazione composta) attengono non già ad obbligazioni relative ad interessi primari già scaduti ed esigibili al momento della conclusione del contratto di finanziamento, bensì ad interessi primari (precisamente alle varie quote di interessi corrispettivi che compongono le singole rate) destinati a maturare nella fase esecutiva del rapporto conseguente alla stipulazione del medesimo contratto (ciò che avviene tipicamente, in particolare, in relazione ai mutui a rimborso frazionato); di talché non pare corretto predicare la necessaria “esigibilità immediata” (ovvero, per quanto pare doversi intendere, la preesistenza) di interessi primari (già “scaduti”) all’atto della sottoscrizione della clausola anatocistica quale condizione della pratica anatocistica ai sensi dell’art. 1283 c.c.. Del resto, come già chiarito, la Corte regolatrice ha avuto modo di rimarcare expressis verbis che non si sottrae al citato divieto “l'obbligo per la parte debitrice di corrispondere anche gli interessi sugli interessi che matureranno in futuro”, essendo “idonea a sottrarsi a tale divieto solo la convenzione che sia stata stipulata successivamente alla scadenza degli interessi”.

Né può condividersi l’assunto, contenuto nella medesima sentenza del Tribunale di Torino, secondo cui l’art. 821 comma 3 c.c., lungi dallo stabilire il regime della capitalizzazione semplice quale modello legale tipico di produzione degli interessi (ovvero dal rivelare “una preferenza legislativa per il metodo dell’interesse semplice”), si limiterebbe a “prevedere che gli interessi-frutti civili <>”, vale a dire “a prevedere che i frutti crescano con progressione giornaliera (de die in diem)”, senza affatto prescrivere, quindi, “che tale progressione sia aritmetica (interesse semplice) anziché geometrica (interesse composto)”. La nozione di “progressione giornaliera”, nella sua genericità, non vale di per sé a qualificare il regime attraverso il quale maturano gli interessi sulla sorte capitale, che necessitano, ai fini del loro calcolo, per l’appunto dell’individuazione del regime finanziario prescelto. Trattasi, in effetti, di argomento in contrasto con la già citata consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in materiae smentito, in chiave ermeneutica, dalla già richiamata Relazione del Guardasigilli al Codice Civile del 1942; e ciò al di là della considerazione per la quale la locuzione che fa riferimento alla maturazione degli interessi “giorno per giorno” (non già, quindi, “giorno su giorno”)pare ben più compatibile con il regime della capitalizzazione semplice (basato sul principio di proporzionalità e sull’incremento secondo progressione aritmetica) piuttosto che con quello della capitalizzazione composta (caratterizzato dalla produzione esponenziale degli interessi secondo progressione geometrica). Analogamente, alcun effettivo chiarimento deriva dal configurare apoditticamente, sic et simpliciter, il rapporto tra capitalizzazione composta ed anatocismo nei contratti di credito in termini di eterogeneità, individuando nella primasolo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro, ovvero “una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile ad un capitale dato”. Invero, al di là dell’evidente rischio di elusione della richiamata disciplina imperativa, tale definizione non vale certo a spiegare se nei finanziamenti a rimborso rateale l’adozione del regime composto comporti o meno la produzione di interessi su interessi secondo dinamica esponenziale e se tale meccanismo risulti o meno conforme all’ordinamento. È del resto destituito di fondamento ritenere che l’anatocismo convenzionale presupponga necessariamente l’inadempimento, da parte del debitore, rispetto ad una pregressa obbligazione relativa ad interessi primari, avendo la Suprema Corte, come già chiarito, avuto modo di precisare che l’art. 1283 c.c. si applica anche agli “interessi che matureranno in futuro” rispetto al momento di stipulazione della convenzione anatocistica(cfr. Cass. n. 3805/2004 cit.). Non pare revocabile in dubbio, del resto, che la conseguenza sanzionatoria-risarcitoria dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie è rappresentata dall’obbligo di corrispondere gli interessi moratori (art. 1224 c.c.), non già quelli anatocistici; ciò non fosse altro per il fatto che questi ultimi possono essere applicati (in base alla disciplina pattizia) anche in presenza di uno scenario fisiologico di evoluzione del rapporto, ovvero a fronte del regolare e tempestivo pagamento delle rate di ammortamento (comprensive delle rispettive quote interessi). Non pare poi condivisibile l’affermazione del Tribunale di Torino secondo la quale “nel settore del credito in generale, e del credito bancario in particolare”, esisterebbe “un’evidenza legislativa per la legge di capitalizzazione composta come metodo per l’espressione del tasso d’interesse e in generale del costo dell’operazione creditizia, atteso che sia il tasso annuo effettivo globale (TAEG) previsto da numerose fonti comunitarie e nazionali, primarie e secondarie, ai fini di trasparenza contrattuale, sia il tasso effettivo globale (TEG) previsto dalla legge 108/96 ai fini della verifica di usurarietà utilizzano la formula del TIR, dove il tasso è espresso in capitalizzazione composta”.Risulta in proposito evidente l’inconferenza dei due tassi richiamati rispetto al prezzo del finanziamento (che il regime finanziario della capitalizzazione semplice, in base al quale dovrebbero essere prodotti gli interessi, è diretto ad esprimere), essendo il T.A.E.G. ed il T.E.G. (nella omnicomprensività delle voci di costo negli stessi ricompresi) tesi a perseguire finalità diverse, consistenti, quanto al primo, nell’esigenza di consentire al consumatore, attraverso una compiuta informazione circa i costi complessivi dell’operazione, la comparazione della soluzione finanziaria offertagli in rapporto alle altre reperibili sul mercato creditizio (e ciò anche in funzione di stimolo alla concorrenza tra gli istituti bancari e gli intermediari abilitati), quanto al secondo nel fungere da parametro di raffronto ai fini del vaglio antiusura, trattasi, pertanto, di ambiti di disciplina affatto diversi.

Richiamate le considerazioni sin qui svolte, infine, non merita condivisione la conclusione, cui è pervenuto il Tribunale di Torino nella richiamata sentenza del 30.05.2019, secondo cui, “nel mutuo con ammortamento francese, o a rata costante, mancano entrambe le caratteristiche determinanti del divieto di anatocismo – rischio di crescita indefinita e incalcolabile ex ante del debito d’interessi dal lato del debitore; esigibilità immediata del pagamento degli interessi primari dal lato del creditore”. Al riguardo, va osservato che, sotto il primo profilo, il rilievo secondo cui “gli interessi corrispettivi sono conosciuti o conoscibili ex ante sulla base degli elementi contenuti nel contratto e non sono esposti a una crescita indefinita, poiché la loro produzione cessa alla scadenza del periodo di ammortamento” si configura come una mera petizione di principio, ove si tenga conto, per un verso, dell’omessa menzione del regime finanziario adottato (rilevante non soltanto in termini di contrasto con la disciplina in materia di trasparenza bancaria e con il principio di correttezza e buona fede contrattuale, ma anche in rapporto alla necessaria determinatezza del tasso di interesse applicato ed in riferimento al mancato rispetto del regime formale previsto ad substantiam ex art. 1284 e art. 117 commi 1 e 4 T.U.B.); per altro verso, che la conoscenza del termine finale dell’ultima rata di ammortamento se può valere a definire l’orizzonte temporale dell’esposizione debitoria frazionata, non può certo escludere, di per sé sola, la crescita esponenziale degli interessi che (in contrasto con il principio di proporzionalità prefigurato dal Legislatore ex artt. 821 comma 3 e 1284 comma 1 c.c.) connota il regime della capitalizzazione composta adottato ai fini del rimborso rateale del finanziamento. Sotto il secondo profilo, va ribadita la contraddittorietà intrinseca tra l’affermazione della necessaria “esigibilità immediata di interessi primari” già in precedenza maturati (pertanto scaduti), quale condizione del divieto di anatocismo stabilito ex art. 1283 c.c. e quella, contenuta nella medesima richiamata pronuncia, secondo cui lo stesso divieto “cessa di applicarsi … quando l’interesse primario è venuto a scadenza”.

La soluzione ricostruttiva sin qui criticata risulta recepita anche in numerose altre decisioni di merito; a titolo esemplificativo nella sentenza del Tribunale di Milano del 26.03.2019 n. 2332 e, più recentemente, in quelle del Tribunale di Roma del 05.05.2020 n. 6897 ; pronunce nelle quali, analogamente, pur essendosi riconosciuto l’impiego del regime composto nella determinazione della rata (“La circostanza che l’ammortamento alla francese sia sviluppato in regime composto è un aspetto assodato in ambito matematico-finanziario”, si è nondimeno escluso che ciò comporti la violazione dell’art. 1283 c.c.. Ispirato ad una sorta di “pudore” ermeneutico, il recente indirizzo giurisprudenziale appena descritto perviene, in definitiva, a predicare (e a riconoscere) una sorta di “anatocismo finanziario”, che tuttavia non si identificherebbe con “l’anatocismo giuridico” e che non varrebbe, quindi, a fondare in capo al solvens il diritto alla ripetizione dell’indebito in riferimento al carico di interessi generato dal fenomeno esaminato : “La circostanza che l’ammortamento alla francese sia sviluppato in regime composto è un aspetto assodato in ambito matematico – finanziario, anche se il pagamento degli interessi sul capitale in essere che avviene a ciascuna scadenza periodica non evidenzia in maniera immediatamente percettibile la produzione di interessi su interessi. Al riguardo, se con la rata gli interessi vengono pagati prima della scadenza del capitale di riferimento, è pur vero che formalmente non si ha alcuna capitalizzazione degli interessi, tuttavia nella corrispondente maggiorazione del capitale residuo che deriva dal pagamento distolto a favore degli interessi, si configura una forma ‘nascosta’ di capitalizzazione con produzione ricorsiva di maggiori interessi, in una spirale ascendente composta. Si realizza, per questa via, una modalità ‘celata e ambigua’ di conversione di interessi in capitale, che cela il calcolo dell’interesse composto implicito nel regime finanziario sottostante il piano di ammortamento ….. Sul piano tecnico-finanziario l’ammontare complessivo degli interessi risulta maggiorato di un ammontare corrispondente esattamente agli interessi anatocistici, riconducibile esclusivamente al regime finanziario composto utilizzato dalla banca per la determinazione della rata. Il pagamento, a ciascuna scadenza, degli interessi maturati, anticipato rispetto alla scadenza del capitale, maschera il regime composto e consente di conseguire le medesime risultanze economiche”.

Richiamate le argomentazioni sin qui svolte, desta invero stupore, come correttamente posto in luce da avveduta dottrina che, in tale iter argomentativo (che comunque segna un significativo salto di qualità nell’analisi del fenomeno, per il confronto con gli ineludibili principi finanziari che governano l’algoritmo sotteso al calcolo degli interessi nella contrattualistica del mercato del credito) siano state ritenute del tutto irrilevanti le seguenti (innegabili nella loro oggettività ed imprescindibili in un’analisi scientificamente orientata ed in qualsivoglia rigoroso studio del fenomeno sotto il profilo giuridico, così come sotto quello matematico) fondamentali circostanze: rivelatrici dell’effetto anatocistico anche (rectius, essenzialmente) sotto il profilo giuridico: 1) che, applicando il regime semplice in base al T.A.N. indicato in contratto, l’ammontare della rata costante risulterebbe inferiore e l’estinzione dell’obbligo di rimborso più rapida rispetto a quanto si verifica ricorrendo al regime composto; 2) che non sia generalmente pattuita, alla luce della comune casistica, alcuna espressa clausola contrattuale (e che non sia di conseguenza raccolto alcun consenso del mutuatario) in ordine all’adozione di tale ultimo regime finanziario (peraltro diverso da quello previsto in forza del combinato disposto di cui agli artt. 821 comma 3 e 1284 comma 1 c.c.) ai fini della quantificazione della rata, così come con riferimento al criterio di calcolo degli interessi, interessi che - diversamente da quanto previsto dall’art. 1194 c.c. (disposizione la cui applicazione, come dianzi chiarito, presuppone la simultanea liquidità ed esigibilità dell’obbligazione per sorte capitale e di quella per interessi, che invece non ricorre nei rapporti in esame) – vengono solitamente computati sul capitale non ancora scaduto (non già su quello in scadenza oggetto della singola rata); 3) che gli interessi distribuiti in ciascuna rata rivelano un nesso di dipendenza proporzionale e diretta rispetto a quelli compresi nelle rate pregresse; 4) che, nello sviluppo dei piani di rimborso stilati in regime composto comunemente in uso, il tasso di interesse è applicato al debito capitale residuo (riveniente dal pagamento di ciascuna rata), maggiorato di parte delle quote interessi di pertinenza delle rate precedenti (vale a dire, per l’appunto, della componente anatocistica degli stessi); 5) che, peraltro, l’omessa menzione del regime finanziario utilizzato, lungi dal configurarsi giuridicamente irrilevante, ha indubbia incidenza sul calcolo della rata, di modo che tale lacuna dell’assetto negoziale non può che implicare nullità della clausola inerente al tasso per indeterminatezza dell’oggetto del contratto, oltre che violazione del relativo regime formale previsto ex lege (ex artt. 1418 comma 2, 1419 comma 2, 1346, 1284 comma 3 c.c. e artt. 117, commi 1 e 4 T.U.B.), atteso che dal ricorso all’uno o all’altro regime derivano monti interessi diversi e, pertanto (a parità di capitale mutuato e di capitale rimborsato e fermi restando il medesimo T.A.N. e l’identità del numero e della periodicità delle rate), un diverso ammontare della rata costante.


8.5. Sulla rilevanza dell’anatocismo ai fini del controllo antiusura.

In accordo con la dottrina più avveduta, va rimarcato che l’incremento del monte interessi correlato alla pratica anatocistica (anche qualora essa si configuri lecita, in particolare nelle ipotesi settoriali di anatocismo “legale”) va sicuramente preso in considerazione tra i costi del finanziamento rilevanti ai fini del calcolo del T.E.G. dell’operazione finanziaria e del vaglio antiusura.

In caso di anatocismo illegittimo, la dottrina pare divisa sulla questione se gli interessi anatocistici “debbano essere stralciati a monte del vaglio usurario, per il loro derivare da clausola ex se nulla, oppure se debbano comunque essere presi in considerazione anche ai fini usurari. Il primo corno dell’alternativa sottende … un rapporto di pregiudizialità a favore della normativa anatocistica, mentre il secondo postula che il rapporto tra la disciplina antiusura e quella anatocistica sia impostato in termini concorrenti”; essendosi in proposito rilevato che “È evidente che la questione mette capo al delicato problema del rapporto tra nullità comminate da distinte normative; al quale riguardo altra autorevole dottrina osserva: è vero … che le somme percepite sulla base di clausole nulle sono indebite e vanno comunque restituite; ma questo non elimina la loro rilevanza (e conteggio relativo) ai fini del riscontro di usurarietà delle fattispecie concrete”. Anche con precipuo riguardo al disposto dell’art.120 T.U.B. novellato in forza dell’art. 17 bis del D.L. n.18/2016 (convertito in L. n.49/2016), del resto, si è sottolineato che “l’aver permesso l’anatocismo nel limite della periodicità annuale ridimensiona, ma non elimina il problema del rapporto tra il fenomeno in discorso e l’usura”.

Altro orientamento, cui aderisce anche parte della giurisprudenza di merito, sul presupposto dell’identificazione, ad ogni effetto di legge, tra interessi capitalizzati e capitale nel quale essi vengono conglobati, nega in radice l’ipotizzabilità del computo dei primi ai fini del calcolo del T.E.G.: “l’assorbimento dell’interesse passivo nel capitale esclude la computabilità dello stesso fra le voci di costo periodico del finanziamento, appunto perché una volta capitalizzato, l’interesse non è più tale … Sostenere che, nel calcolo del tasso soglia, occorra tenere conto dell’effetto della capitalizzazione degli interessi è un assurdo”; trattasi, a ben vedere, di assunto che sconta la sua palese discordanza rispetto al consolidato principio dell’autonomia ontologica, contabile e giuridica dell’obbligazione accessoria rispetto a quella principale, principio ormai recepito nei più recenti arresti del Supremo Collegio e che non può essere surrettiziamente sovvertito attraverso l’artificio della capitalizzazione degli interessi al fine (o comunque con l’effetto di) eludere il disposto imperativo di cui all’art.1283 c.c..

In realtà, la questione appena delineata non può che essere risolta alla stregua della disciplina processuale, in virtù dei principi di domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ex artt. 99 e 112 c.p.c. (in base ai quali occorre avere riguardo alla graduazione prescelta (e prospettata) dall’attore tra la domanda volta alla totale decurtazione degli interessi in caso di accertamento dell’usura, ex art. 1815 comma 2 c.c., e quella tesa al mero scomputo della componente anatocistica degli interessi nell’ipotesi di riscontrata violazione dell’art. 1283 c.c.; domande generalmente proposte, nella comune casistica giudiziaria, rispettivamente in via principale ed in via subordinata). Tali principi vanno coordinati con quello stabilito dall’art. 127 comma 3 T.U.B., secondo cui le nullità previste dal Titolo VI del medesimo D.Lgs. n. 385/1993 (nel cui novero va ricondotta la nullità di protezione integrata dalla mancata pattuizione in forma scritta del tasso di interesse applicabile al rapporto, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 1 e 4 del medesimo T.U.B. ed in ragione dell’indeterminatezza di detto tasso implicata dalla divergenza tra T.A.N. e T.A.E. conseguente all’impiego del regime di capitalizzazione composta) “possono essere rilevate anche d’ufficio dal giudice”, ma “operano soltanto a vantaggio del cliente”. Sulla scorta di tale ultimo principio, in particolare, può ragionevolmente affermarsi che il vantaggio derivante al cliente dalla trasformazione del finanziamento da oneroso a gratuito (ex art. 1815 comma 2 c.c.), per effetto dell’accertamento della violazione della soglia usuraria (determinata anche dal computo di interessi anatocistici illegittimi), si configura innegabilmente ben più satisfattivo (dal punto di vista economico-giuridico) di quello correlato alla mera decurtazione degli interessi anatocistici (in base alla tutela aderente al disposto di cui all’art. 1283 c.c.); ragion per cui, in definitiva, l’ipotetico rilievo ufficioso (in via preliminare e prevalente) della nullità della clausola anatocistica non può ritenersi effettivamente a vantaggio del cliente qualora l’incremento del monte interessi (e, di conseguenza, quello del T.E.G. dell’operazione finanziaria, a sua volta dipendente dal primo) implicato dal ricorso al regime di capitalizzazione composta comporti il superamento della soglia usuraria; diversamente opinando, verrebbe infatti preclusa all’utente la ben più ampia ed incisiva tutela (di natura sanzionatoria) assicurata dalla gratuità del mutuo, prescritta in funzione sanzionatoria, in sede di “correzione” giudiziale, dall’art. 1815 comma 2 c.c.. 

In definitiva, la nullità per violazione delle norme imperative di cui all’art. 1283, c.c. ed all'art. 120 T.U.B. non esaurisce le forme di controllo disposte dall'ordinamento e non è certo incompatibile con il controllo antiusura (che ha ad oggetto l'intero regolamento negoziale) nella parte in cui determina gli interessi (“promessi o … convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del pagamento”, secondo l’eloquente dettato della disposizione di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1 del D.L. n. 394/2000, convertito in L. n. 24/2001). Ne deriva che non sembra si possa escludere, a priori, che in ipotesi di patto anatocistico, oltre alla valutazione dell'accordo in virtù del criterio desumibile dai citati art. 1283 c.c. e art. 120 T.U.B. (ovvero sotto il profilo del rispetto della disciplina in tema di anatocismo), l'interprete debba, comunque, verificare anche se, attraverso il concorso di tale clausola pattizia, il regolamento negoziale possa configurare un fenomeno di usura e, in quanto tale, soggiacere alla disciplina di cui all'art. 1815, comma 2, c.c.. È appena il caso di precisare, al riguardo, che il rilievo ufficioso della violazione della disciplina antiusura e la conseguente nullità (ex art. 1421 c.c.) delle pattuizioni con essa contrastanti – principio costantemente affermato, in virtù della natura imperativa della medesima disciplina, nella giurisprudenza di legittimità - non contrasta, di per sé, con i richiamati principi di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. (anche in rapporto al precitato art. 127 comma 3 T.U.B.), atteso che, qualora venga preteso in giudizio l'adempimento di un'obbligazione ex contractu, così come quando si agisca per la risoluzione, per l’annullamento o per la rescissione del contratto, scatta per il Giudice – specie ove si tratti di nullità di protezione - il potere-dovere di accertare la validità del titolo da cui essa tragga fonte, indipendentemente dalle allegazioni difensive del convenuto e persino in caso di sua contumacia; soluzione ricostruttiva, quella appena delineata, sicuramente compatibile con il dettato dell’anzidetto art. 127 comma 3 T.U.B. (e, a ben vedere, dallo stesso necessariamente implicata).

 

9. Sulle implicazioni notevoli e sui principi generali e costituzionali.

La questione dell’anatocismo bancario nei prestiti a rimborso graduale, è un tema di grande attualità ed è materia di un vivo dibattito. Una serie di questioni che riguardano gli aspetti concettuali e terminologici e gli effetti che i differenti regimi di interessi comportano sull’operazione, sono state oggetto di diversi giudizi di merito. La materia, cioè, non può prescindere da uno studio approfondito delle questioni matematiche e tecniche, che devono necessariamente ritrovare una loro dimensione nel fatto giuridico. E, si spera, che tale aspetto sia stato colto nello sviluppo di queste note di studio, proprio con l’obiettivo di creare un linguaggio comune tra matematica e diritto. Ed infatti, basti rilevare che, nei contratti di mutuo, sono riportati elementi quali il TAN, il TAE, i tassi effettivi globali, la rata, l’ammortamento. Questi sono tutti elementi di matematica finanziaria che trovano definizione nella letteratura scientifica di settore. E nella letteratura di settore, tali elementi sono univocamente definiti: il rigore del linguaggio matematico, cioè, consente di risolvere problemi ed ottenere risultati esatti, misurabili, riproducibili ed esprimibili in modo analitico ed oggettivo. In questo senso, in matematica finanziaria la presenza del regime composto, per costruzione, ha come effetto quello della generazione di interessi sugli interessi. Non vi è modo, cioè, di dimostrare che vi siano casi in cui il regime composto possa non comportare la generazione di interessi sugli interessi. Questo perché tale caratteristica è nella definizione stessa di regime composto, per cui gli interessi composti non sono direttamente proporzionali al capitale impiegato e al tempo. Quindi, non si può ignorare che il regime composto comporti il duplice effetto di generare interessi sugli interessi (art. 1283 CC), in maniera tale che gli interessi non siano proporzionali al tempo e al capitale (art. 8213 CC).

Al contrario, gli interessi semplici sono direttamente proporzionali al capitale impiegato e al tempo, poiché tale caratteristica è nella definizione stessa di regime semplice. Quindi, l’unico modo per precludere la generazione di interessi sugli interessi, in maniera tale che gli interessi siano direttamente proporzionali al tempo e al capitale impiegato, è quello di abbandonare il regime composto in favore del regime semplice.

Difatti, è sicuramente rilevante che, nelle operazioni di medio-lungo termine, a parità di condizioni, il regime composto comporti un maggiore costo in termini di interessi per il debitore. Questo fatto oggettivo, ha delle conseguenze significative e rilevanti anche ai fini patrimoniali per il debitore (art. 1374 CC). Non si può ignorare, ancora, che esiste in letteratura di matematica finanziaria il concetto di anatocismo, a cui si attribuisce la stessa definizione di regime composto. Come non si può negare che il concetto di anatocismo presente in matematica finanziaria si assimila perfettamente al concetto di anatocismo presente in diritto, sia da un punto di vista della definizione che degli effetti che produce. E allora, tutti questi elementi non possono essere liquidati come questioni puramente matematiche, poiché sono elementi matematici riportati nei contratti di mutuo. Pertanto, gli effetti di tali elementi del contratto sono riproducibili e misurabili in modo analitico e oggettivo, al fine di rilevare il diverso impatto che il regime composto comporta rispetto al regime semplice.

In questo senso, va rilevata l’importanza e la necessità del lavoro del consulente tecnico d’ufficio che, si evidenzia, è un ausiliario del giudice a garanzia della verifica scientifica dell’elemento tecnico. In questo senso, la consulenza tecnica d’ufficio è indispensabile per il giudice, per la complessità tecnica della materia. Ma, allo stesso modo, la consulenza tecnica ha l’obbligo di richiamare la letteratura scientifica di settore e di conformare i propri metodi alle tecniche dimostrate e riconosciute in tale letteratura, circostanza che garantisce al giudice un corretto sviluppo della questione scientifica. Di nessun pregio sarebbe una consulenza che non richiami e non si sviluppi sulla base di metodologie riconosciute nella letteratura scientifica di settore, poiché non ci sarebbe la garanzia che la decisione del giudice si sia formata sulla base dell’ausilio di una consulenza fondata su un corretto sviluppo scientifico.

Le questioni matematiche, allora, trovano una loro dimensione all’interno delle implicazioni e delle valutazioni, sia sotto i profili dei principi generali che in senso conformativo ai precetti generali e Costituzionali di equità, buona fede, ragionevolezza, proporzionalità, solidarietà e correttezza, meritevolezza e affidamento, rispetto ai quali è riconosciuta la potestà di controllo ed intervento del Giudice (Cassazione Civile Sezioni Unitedel 13/09/2005 n. 1812).

In questo senso, non si può prescindere da un’attenta interpretazione delle norme e delle volontà degli interessi negoziali. E infatti, non serve specificare che quando si leggono le norme del codice civile, bisogna tener conto che esse vanno interpretate sulla base del principio delle pluralità delle fonti e sulla base dei principi costituzionali. Tali principi, non sono astrazione, ma sono norme che devono trovare, da parte di un Giudice soggetto alla legge e quindi alla Costituzione, diretta è immediata applicazione. E allora, si ricordano, tra gli altri, solo alcuni dei principi giuridici fondamentali in questa materia: solidarietà costituzionale e correttezza, meritevolezza e affidamento.

La solidarietà costituzionale (art.2 della Costituzione), si tramuta da un punto di vista civilistico nel principio di correttezza. Bisogna, cioè, analizzare se la banca si è comportata correttamente nei confronti del cliente e se il contenuto del contratto ha costituito oggetto di una adeguata informazione. Difatti, solo la violazione del principio di correttezza, indipendentemente dalla validità del contratto, determina l’obbligo di risarcire il danno. In questo senso, la giurisprudenza non può non tener conto del fatto che il fenomeno degli interessi composti produce un sistema sperequato nell’ambito di un contratto in cui vi è la figura di un contraente che, non a caso, spesso si configura come contraente debole.

Ancora, il principio di uguaglianza (art.3 della Costituzione), implica il rispetto delle regole che le parti stabiliscono per la conclusione di un accordo. Ciò è stigmatizzato nel principio di derivazione romanistica alterum non laedere. Per tale ragione, non si può immaginare un rapporto giuridico, senza la lealtà e correttezza, che conduce a interpretare il contratto e i suoi effetti (art. 1367 CC) secondo buona fede, anche tenendo conto dell’equo contemperamento degli interessi (art. 1371 CC) e della meritevolezza degli interessi dei soggetti contraenti (art. 1322 CC).

Da parte del giudice di merito, quale interprete del contratto, ci deve essere una corretta valutazione del principio di affidamento, cioè il contratto va interpretato in base alla volontà del destinatario (1431 cc) e non nel senso della dichiarazione negoziale posta in essere dal suo autore.

In conclusione, l’estrema complessità della materia, richiede un approccio scientifico al problema, poiché solo in tal modo è possibile rilevare i reali effetti del meccanismo di produzione degli interessi sugli interessi e tutte le implicazioni in diritto di tali elementi.

Queste note di studio, si spera, possano offrire l’opportunità per costruire un background condiviso tra matematica e diritto, al fine di evidenziare gli aspetti matematici rilevanti e le possibili implicazioni in diritto, anche in relazione ai principi generali e costituzionali coinvolti.



§ Lo scritto è stato redatto e condiviso a cura degli Autori come documento finale del Convegno ASSUBA “ANATOCISMO ED USURA NEI MUTUI – PROFILI CIVILISTICI: Alla ricerca di un linguaggio comune tra Matematica e Diritto”. Pistoia, 8 maggio 2020. www.openstat.it  www.germinara.eu

Ñ In ordine alfabetico: Graziano Aretusi (PhD in Statistica Applicata, Università degli Studi “G. D’Annunzio”, CH-PE, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale), Carmine Mario Germinara (Presidente ASSUBA, Commercialista, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale), Laura Germinara (Dottore Commercialista in Prato, CTU-Consulente Tecnico del Tribunale), Carlo Mari (Professore Ordinario di Matematica Finanziaria Università degli Studi “G. D’Annunzio” CH-PE), Matteo Nerbi (Avvocato del Foro di Massa Carrara), Domenico Provenzano (Magistrato Civile Tribunale di Massa),  Michele Sirgiovanni (Magistrato Civile Tribunale di Prato), Bruno Spagna Musso (Avvocato, già Magistrato e componente Sezioni Unite della Corte di Cassazione).

 Solo a scopo esemplificativo si vedano i seguenti casi di studio e riferimenti bibliografici:

- Compañía del Desarrollo de Santa Elena v. Costa Rica, 15 ICSID (W. Bank) 169, 200 (2000), (“to award only simple interest… in relation to cases of injury or simple breach of contract”)

https://www.italaw.com/documents/santaelena_award.pdf

- McKesson Corp. v. Iran, 116 F. Supp. 2d 13, 41 (D.D.C. 2000), (“international courts have over a period of decades followed the custom of granting only simple interest”) https://law.justia.com/cases/federal/district-courts/FSupp2/116/13/2576087/

- Paolo Cerina, Interest as Damages in International Commercial Arbitration, Vol. 4 No. 3 ARIA. 255, 261 (1993) (assuming that the majority of arbitral tribunals do not “award compound interest in order to avoid engaging in presumably complex (and expensive) calculations and the substantial sums involved”)

- Michael S. Knoll, A Primer on Prejudgment Interest, 75 Tex. L. Rev. 293 (1996), at 306 (“The traditional, common-law rule is that prejudgment interest is not compounded.”) https://scholarship.law.upenn.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2146&context=faculty_scholarship

Cfr. Bonferroni C.E. Fondamenti di Matematica attuariale. Litografia Felice Gili, Torino, 1938.

Cfr. G. Aretusi, Mutui e Anatocismo: Aspetti matematici e tecnici. Lulu Press Inc., Raleigh (USA), 2014.

Cfr. Fersini P., Olivieri G. Sull’“anatocismo” nell’ammortamento francese. Rivista Banche & Banchieri, Anno XXXXII – N.2/2015, pagg.134-171, 2015.

Cfr. Annibali A., Annibali A., Barracchini C., Olivieri F. – Rivisitazione del modello di calcolo dell’ammortamento “alla francese” di un mutuo in capitalizzazione semplice. Rivista mensile: Le controversie Bancarie, Attualità di Giurisprudenza, Dottrina e casi pratici, anno II, nnrr. 10-12-13, 2018.

Cfr. G. Aretusi, Mutui e Anatocismo: Aspetti matematici e tecnici - Nuova edizione rivista e integrata con applicativi di calcolo. Lulu Press Inc., Raleigh (USA), 2018.

Cfr. C. Mari, G. Aretusi. Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare. Rivista IL RISPARMIO, 2018 – I, pagg.25-45, 2018.

Cfr. C. Mari, G. Aretusi. Sull'ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice: alcune considerazioni concettuali e metodologiche. Rivista IL RISPARMIO, 2019 - I, pagg.115-151, 2019.

Cfr. F. Cacciafesta. Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull'ammortamento francese, con alcune osservazioni sul Taeg e sul Tan. Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2019 - 3, parte II, pagg.373 e succ, 2019.

Cfr. E. Levi. Corso di Matematica Finanziaria, pag.69, (1959, Op. Cit.) e E. Levi. Corso di Matematica Finanziaria e attuariale, pag.12, Giuffrè, Milano, 1964.

Cfr. A. Casano. Elementi di Algebra, pag.272. Reale Stamperia e Libreria, Palermo, Seconda Edizione, 1845. “Quante volte i frutti maturati in fine di ogni unità di tempo rimasti in potere del debitore si aggiungono al capitale primitivo, e si prendono i frutti dell’intera somma nel tempo di appresso, in modo che si abbiano oltre ai frutti del capitale ancora i frutti degli stessi frutti, allora l’interesse prende il nome di composto; e la regola che insegna a calcolarlo, dicesi regola dell’interesse composto. Questo rinnovamento delle usure fu detto dai greci anatokismos dalle due parole ana e tokos, di cui la prima nella composizione vale re e la seconda usura; i latini l’adottarono, formando la parola anatocismus ch’è passata nella nostra lingua dicendosi anatocismo.” (Casano, 1845).

Cfr. E. Levi. Corso di Matematica Finanziaria, pag.31, La Goliardica, Milano, Prima Edizione, 1953. Cfr. E. Levi. Corso di Matematica Finanziaria, pag.37, La Goliardica, Milano, Seconda Edizione, 1956. “Le leggi e i regimi di interesse si dicono anche leggi e regimi di capitalizzazione. Originariamente capitalizzazione significa capitalizzazione degli interessi, e cioè trasformazione degli interessi in capitale; e cioè il fatto, per cui contrattualmente si stabilisce (nelle operazioni a lunga scadenza) che periodicamente gli interessi si aggiungono al capitale, e da quel punto in poi l’interesse si calcola sul montante (con la formula prestabilita). È questo il concetto elementare di interesse composto (o anatocismo).”

Tribunale di Bari, Sede di Rutigliano, sentenza n.113 del 29 ottobre 2008, Giudice P. MASTRONARDI; Tribunale di Larino, sede di Termoli, sentenza nr.119 del 3 maggio 2012, Giudice B. PREVIATI; Corte di giustizia dell’Unione europea del 19 luglio 2012 (Sentenza caso C-591/10); Giudice di Pace di Teramo, sentenza nr.135 del 16 febbraio 2016, Giudice SPERANZA; Tribunale di Campobasso, sentenza nr.108 del 22 febbraio 2016, Giudice M. CARDONA ALBINI; Tribunale di Napoli, sentenza nr.1558 del 13 febbraio 2018, Giudice E. PASTORE ALINANTE; Tribunale di Lucca, sentenza nr.763 del 10 maggio 2018, Giudice C. MANCINI; Tribunale di Massa, sentenza nr.797 del 13 novembre 2018, Giudice D. PROVENZANO; Tribunale di Massa, sentenza nr.160 del 7 febbraio 2019, Giudice D. PROVENZANO; Tribunale di Cremona, sentenza nr.177 del 11 marzo 2019, Giudice N. CORINI; Tribunale di Cremona, sentenza nr.201 del 18 marzo 2019, Giudice N. CORINI; Tribunale di Cremona, sentenza nr.221 del 27 marzo 2019, Giudice N. CORINI; Tribunale di Cremona, sentenza nr.227 del 28 marzo 2019, Giudice N. CORINI; Tribunale di Cremona, sentenza nr.287 del 23 aprile 2019, Giudice N. CORINI; Corte di Appello di Campobasso, sentenza nr.412 del 5 dicembre 2019, Presidente Collegio M.G. D’Errico; Tribunale di Massa, sentenza nr.90 del 04 febbraio 2020, Giudice D. PROVENZANO; Corte di giustizia dell’Unione europea del 3 marzo 2020 (Sentenza caso C-125/18). Tribunale di Massa, sentenza nr.90 del 04 febbraio 2020, Giudice D. PROVENZANO; Corte di giustizia dell’Unione europea del 3 marzo 2020 (Sentenza caso C-125/18); Tribunale di Campobasso, sentenza nr.158 del 26 marzo 2020, Giudice M. Dentale.

 

Quante volte ci è capitato di avere la necessità di scambiare una banconota con altre di taglio più piccolo. Ad esempio, se dovessi scambiare una banconota da 100,00 euro con banconote da 20 euro, lo scambio avverrà solo avendo 5 banconote da 20 euro in cambio: se volessero restituirmi 4 banconote da 20 euro non accetterei lo scambio. Allo stesso modo, se chiedessi 6 banconote da 20 euro in cambio di una banconota da 100 euro, lo scambio non avverrebbe perché il mio interlocutore non accetterebbe. Il principio di equità, cioè, pervade la nostra quotidianità, poiché è il meccanismo naturale che regola lo scambio tra soggetti.

Ad esempio, ci potrebbero essere differenze nel codice di calcolo per il regime di interessi utilizzato, ma anche per il tipo di arrotondamento utilizzato, per il calcolo dei giorni, per il calcolo dei tassi di interesse infrannuali, per le modalità di indicizzazione dei tassi, etc.

Per semplicità espositiva, i risultati riportati in questo documento sono tutti sviluppati applicando il principio di equità con riferimento al tempo 0 (epoca iniziale). Ovviamente, i calcoli possono essere replicati applicando il principio di equità con impostazione all’epoca finale (tn), ottenendo specifici risultati. Per approfondimenti si rinvia a G. Aretusi, Mutui e Anatocismo: Aspetti matematici e tecnici - Nuova edizione rivista e integrata con applicativi di calcolo. Lulu Press Inc., Raleigh (USA), 2018. Per il calcolo dei piani di ammortamento in regime composto e in regime semplice (con impostazione iniziale e finale) si può ricorrere all’applicativo liberamente disponibile al seguente indirizzo: https://openstat.it/matematica-finanziaria-econometria-anatocismo/software-ammortamenti/

Va rilevata l’importanza e la necessità del lavoro del consulente tecnico d’ufficio che, si evidenzia, è un ausiliario del giudice a garanzia della verifica scientifica dell’elemento tecnico. In questo senso, la consulenza tecnica d’ufficio è indispensabile per il giudice, per la complessità tecnica della materia. Ma, allo stesso modo, la consulenza tecnica ha l’obbligo di richiamare la letteratura scientifica di settore e di conformare i propri metodi alle tecniche dimostrate e riconosciute in tale letteratura, circostanza che garantisce al giudice un corretto sviluppo in diritto di quanto rilevabile sulla questione scientifica. Di nessun pregio sarebbe una consulenza che non si richiami e non si sviluppi sulla base di metodologie riconosciute nella letteratura scientifica di settore, poiché non ci sarebbe la garanzia che la decisione del giudice si possa formare sulla base dell’ausilio di una consulenza basata su un corretto sviluppo scientifico.

Essendoci somme anticipate, l’operazione bullet non può essere confrontata, sic et simpliciter, direttamente con un prestito elementare in regime semplice in cui al tempo 0 viene erogata la somma di 1.000 euro e al tempo 4 viene rimborsata la somma di euro 1.400. Se si vuole confrontare veramente il bullet con un prestito elementare in regime semplice, si dovrà trasformare, in maniera equivalente, il prestito bullet in un prestito elementare. A questo punto i due prestiti elementari possono essere direttamente confrontati così da accorgersi, a parità di altre condizioni, che l’effetto generato dal bullet è diverso e più oneroso per il cliente rispetto ad un prestito elementare in regime semplice. A tal proposito, come noto, “la produzione di interessi sugli interessi comporta, invece, matematicamente, una proiezione esponenziale, espressa dalla formula M=Cx(1+i)^k, dove appunto il tempo (k), riportato all’esponente, determina un’accelerazione con un divario crescente rispetto alla proporzionalità lineare al tempo.” (Cfr. R. Marcelli, Finanziamenti con piano di ammortamento: pagamento anticipato degli interessi, presidio all’anatocismo e trasparenza, dicembre 2019, ASSOCTU). Pertanto, la formula M=Cx(1+i)^k è calcolata in regime composto e implica l’applicazione di interessi sugli interessi. Tale formula esprime il calcolo, in regime composto, del montante M per un capitale C al tasso annuale i per un certo numero di anni k.

Facendo il solito esempio, 1.000 euro presi in prestito oggi da rimborsare in un’unica soluzione a scadenza dopo 4 anni al tasso annuale del 10% in regime composto, la formula M=Cx(1+i)^k equivale a scrivere 1.464,10=1.000x(1+10%)^4. In questo caso non vi è dubbio nel riconoscere la presenza di anatocismo. Allora, consideriamo un’operazione di tipo bullet con prestito di 1.000 euro al tempo 0, al tasso del 10% annuale per una durata di 4 anni.  Il prestito bullet prevederà, quindi, i seguenti rimborsi:

 

tempo “0”

tempo “1”

tempo “2”

tempo “3”

tempo “4”

Tizio

1.000

       

Caio

 

100

100

100

1.100

Per questa operazione si rimborsano complessivamente 1.400 euro, ma i rimborsi avvengono in tempi diversi. Come ben noto, in matematica finanziaria non si possono confrontare importi esigibili in epoche diverse, per cui per operare un confronto si dovrà calcolare il valore dei rimborsi ad una data epoca. Ad esempio, si può calcolare il valore dell’operazione al tempo finale, semplicemente calcolando il valore di ogni rimborso al tempo 4.

Poiché l’operazione bullet è in regime composto, il valore dei rimborsi al tempo 4 sarà dato da:

k

Rimborso

Valore del Rimborso al tempo 4

0

   

1

100

133,10=100x(1+10%)^3

2

100

121,00=100x(1+10%)^2

3

100

110,00=100x(1+10%)^1

4

1.100

1.100,00=1.100x(1+10%)^0

 

Totale

1.464,10

Pertanto, il valore dei rimborsi al tempo 4 sarà pari a 1.464,10 esattamente lo stesso importo che si osserva per il prestito elementare in regime composto. Ci si accorge, quindi, che il prestito di tipo bullet è perfettamente equivalente ad un prestito elementare in regime composto del tipo 1.464,10=1.000x(1+10%)^4. In altre parole, non vi è differenza, ma vi è equivalenza tra il prestito bullet e un prestito elementare del tipo M=Cx(1+i)^k.

Pertanto, non vi è modo di comprendere come si possa ravvisare la presenza del regime composto e la generazioni di interessi sugli interessi nella formula M=Cx(1+i)^k per poi escluderla nel bullet che risponde sempre alla stessa formula M=Cx(1+i)^k.

Bisogna specificare che in letteratura detti piani (francese, italiano e bullet) sono notoriamente sviluppati in regime composto degli interessi. Ad esempio, quando si parla di ammortamento francese (che costituisce il piano più frequentemente utilizzato), è noto che si tratta di un piano di ammortamento a rata costante posticipata progettato in regime composto degli interessi. Ed infatti, la verifica tecnica permette di provare, in maniera inequivocabile, la presenza del regime composto in tali tipologie di piani normalmente utilizzati dalle banche.

In matematica finanziaria, esiste la seguente formula di equivalenza intertemporale che permette di ricavare i tassi periodali infrannuali a partire dai tassi annuali

i2 = (1+i1)^(1/t2) – 1

dove i1 è il tasso di interesse annuale, i2 è il tasso di interesse infrannuale e t2 è il numero di periodi dell’anno. Infatti, applicando la formula, dal 10,25% si ottiene il 5% mentre dal 10% si ottiene il 4,88%

(1+10,25%)^(1/2) – 1 = 5%

(1+10%)^(1/2) – 1 = 4,88%

Il meccanismo qui descritto, ovviamente, implica che il TAE è sempre maggiore o uguale al TAN. In regime composto, questo meccanismo vale generalmente, ed è lo stesso anche nel caso di periodicità diversa da quella semestrale (mensile, trimestrale, quadrimestrale).

Tanto è noto anche ai bancari poiché Banca d’Italia, nell’Allegato 4B “PROTOTIPO DI FOGLIO INFORMATIVO DEL MUTUO OFFERTO A CONSUMATORI” del Provvedimento della Banca d’Italia “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” adottato il 29 luglio 2009 (in vigore dal 10/09/2009 al 31/10/2016), scriveva “(5) Se nel piano di ammortamento si applica il regime di capitalizzazione composta degli interessi, la conversione del tasso di interesse annuale i1 nel corrispondente tasso di interesse infrannuale i2 (e viceversa) segue la seguente formula di equivalenza intertemporale i2=(1+i1)t1/t2–1.” (Cfr. https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/disposizioni/trasparenza_operazioni/Allegato-4B.pdf)

Tale aspetto di divergenza tra TAN e TAE in regime composto, è specificato anche dalla DELIBERA CICR del 09 febbraio 2000, “Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti” (in vigore dal 22/04/2000 al 30/09/2015), dalla CIRCOLARE BANCA D’ITALIA n. 229 del 21 aprile 1999, 9° Aggiornamento del 25 luglio 2003 (in vigore dal 01/10/2003 al 02/03/2011) e dal PROVVEDIMENTO di BANCA D’ITALIA del 09/02/2011 n. 50863 in tema di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” (in vigore dal 03/03/2011 al 31/10/2016).

Puro significa che non comprende spese o commissioni e non indica il costo totale del finanziamento. Cfr. https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/guide-bi/guida-credito-consumatori/GuidaCredito_WEB.pdf

In questo senso, è chiaro ed evidente il significato che acquisisce il TEG ai fini anti-usura, come misura del vantaggio che un investitore potrebbe ottenere nel fornire prestiti a tassi di interesse estremamente elevati, tali da rendere il loro rimborso molto difficile o impossibile, con l’effetto di spingere il debitore ad accettare, perciò, condizioni poste dal creditore a proprio vantaggio.

Per approfondimenti matematici e tecnici, Cfr. G. Aretusi, Mutui e Anatocismo: Aspetti matematici e tecnici - Nuova edizione rivista e integrata con applicativi di calcolo. Lulu Press Inc., Raleigh (USA), 2018.

https://openstat.it/matematica-finanziaria-econometria-anatocismo/mutui-e-anatocismo-aspetti-matematici-e-tecnici-2018/

 

Difatti, a pag.4 delle istruzioni, si precisa che “I dati devono essere inviati alla Banca d’Italia -Servizio Rilevazioni Statistiche-secondo le modalità e gli schemi di cui alla Sezione II delle presenti istruzioni”. E, sul sito ufficiale di Banca d’Italia, si precisa che il servizio rilevazioni statistiche “cura la raccolta, l'elaborazione e la distribuzione, all'interno e all'esterno, delle informazioni statistiche sull'attività creditizia e finanziaria e sulle attività economiche di interesse della Banca. In tale ambito progetta le rilevazioni statistiche, ne presidia il livello di qualità e compila gli aggregati statistici rilevanti a fini di politica monetaria e per la diffusione all'esterno”. Cfr. https://www.bancaditalia.it/chi-siamo/organizzazione/ac/economia-statistica/

Anche su questo aspetto si dovrebbe rilevare che la media aritmetica non è in grado di rappresentare da sola tutta la distribuzione dei tassi. In statistica, infatti, per rappresentare sinteticamente una distribuzione, è necessario specificare, oltre alla media aritmetica, anche l’indice di variabilità della distribuzione. In questo senso, non avendo evidenza circa la misura della variabilità della distribuzione intorno al TEGM, non è possibile determinare se il tasso soglia (calcolato, fino al 2011, aumentando del 50% il tasso effettivo globale medio e, successivamente, aumentandolo del 25% e aggiungendo ulteriori 4 punti percentuale, sotto la condizione che la differenza tra il tasso soglia, così calcolato, e il tasso effettivo globale medio, non potrà in ogni caso eccedere 8 punti percentuale), sia o non sia significativamente diverso dal tasso effettivo globale medio rilevato.

Il principio in questione risulta del resto acquisito nei più diffusi testi di matematica finanziaria, già secoli scorsi, cfr, ex plurimis: A. Casano, “Elementi di Algebra”, 1845, pag. 277; C.E. Bonferroni, “Fondamenti di Matematica attuariale”, 1938; E. Levi, “Corso di matematica Finanziaria e Attuariale”, 1964, pagg. 223, 227 e 231, B. de Finetti, “Lezioni di Matematica Finanziaria”, 1955; F. Insolera, “Teoria della capitalizzazione”, 1949; A. Annibali, A. Annibali e C. Barracchini, “Anatocismo e ammortamento di mutui alla francese in capitalizzazione semplice”, 2016, Idd. “Anatocismo e ammortamento di mutui alla francese – Manuale per le professioni di Magistrato, Commercialista e Avvocato”, 2016, G. Olivieri – P. Fersini “Sull’anatocismo nell’ammortamento alla francese”, in Banche e Banchieri, 2/2015; C. Mari e G. Aretusi, “Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare”, in “Il Risparmio, n. 1/2018, Idd., “Sull’ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice, alcune considerazioni concettuali e metodologiche”, in Il Risparmio, n. 1/2019; G. Aretusi, “Mutui e anatocismo – Aspetti matematici e tecnici”, 2019; M. Caliri, “Matematica Finanziaria”, 2001, pagg. 169 e 173, S. Vianelli – A. Giannone jr, “Matematica Finanziaria”, 1965, pag. 125, F. Cacciafesta, “Matematica Finanziaria”, 2006, pagg. 89 e 112; Id. “In che senso l’ammortamento francese (e non solo esso) dia luogo ad anatocismo”, in Politeia, 120/2015; A. Mantovi – G. Tagliavini, “Anatocismo e capitalizzazione annuale degli interessi”, in dirittobancario.it, giugno 2015, pagg. 11 e 12; F. Moriconi, “Matematica Finanziaria”, 1995, pagg. 17 e 67, C. Polidori “Matematica Finanziaria”, 1954, pag. 7; G. Ottaviani, Lezioni di Matematica Finanziaria, 1988; F. Moriconi, “matematica Finanziaria, 1994”; G. Colangelo, “Interesse semplice, interesse composto e ammortamento francese”, in Foro it., novembre 2015, V, pag. 476.  Davvero pochi i contributi scientifici di segno contrario, tra i quali si segnala M. Rutigliano – L. Faccincani, “Brevi note per riconoscere, “si spera definitivamente”, l’assenza di anatocismo nel mutuo con piano di ammortamento “alla francese”, in Banche e banchieri, 2017, n. 3, pagg. 333 e ss.; articolo contenente considerazioni incompatibili con quelle fatte proprie dal resto della comunità scientifica che si è occupata del tema, quali sintetizzate ed analizzate nel presente Documento.

Già nel XIX secolo, del resto, A. Casano, insigne matematico, riguardo all’ammortamento a rata costante, aveva eloquentemente rimarcato: “Questo problema dell’annuità è presso noi conosciuto col nome di calcolo a scaletta, che si enuncia col linguaggio di interesse semplice, mascherando l’interesse composto sotto la condizione dell’obbligo di pagare in fin di ogni unità di tempo gli interessi semplici del capitale già maturati; imperciocchè questa maniera di pagare i frutti all’altra equivale di dover pagare gl’interessi degli interessi dopo il tempo t” (A. Casano, “Elementi di Algebra, Primary Source Edition”, 1845, pag. 277).

Particolarmente efficace quanto al riguardo osservato da un acuto studioso: “… chi non trova traccia di anatocismo è perché lo cerca nel posto sbagliato, e cioè nella misura degl'interessi. Invece, esso si annida nella cadenza temporale con cui questi sono dovuti. ….. L'equivoco nasce perché, quando si stipula un contratto di prestito, ci si accorda su di un tasso annuo per la sua remunerazione. Pochi sembrano sapere che "tasso annuo" non vuol dire "da pagare annualmente": la tempistica con cui gl'interessi generati secondo quel tasso vanno pagati, è da stabilire a parte. ….. Dove sono, dunque, "interessi generati da interessi maturati"? La risposta è: apparentemente non ve ne sono, ma sostanzialmente sì. Essi sono nascosti nell'obbligo di pagare interessi in parte in anticipo rispetto al rimborso del capitale”. Cfr. F. Cacciafesta “Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull’ammortamento francese, con alcune osservazioni sul TAEG e sul TAN”, in Rivista del Diritto Commerciale e del Diritto Generale delle Obbligazioni, 2019, n. 3, parte II.

Cfr., per tutti, G. Varoli, “Matematica Finanziaria”, 2011, conf., F. Soave, “Elementi d’aritmetica”, 1822, pag. 123. In tale contesto, particolarmente efficace la descrizione del collegamento tra regime composto e disponibilità degli interessi contenuta nell’articolo di F. Cacciafesta “Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull’ammortamento francese, con alcune osservazioni sul TAEG  e sul TAN”, cit., laddove si è evidenziato che soltanto in un investimento che segua il regime dell’interesse composto “…tutta la ricchezza via via accumulata è sempre, subito, a disposizione dell'investitore: senza alcuna distinzione tra "capitale fruttifero" e "interessi". Questi ultimi, infatti, sono automaticamente e continuamente assimilati.”

Cfr. Cass. n. 5703/2002: “Il piano di ammortamento inserito nel contratto di mutuo ha natura di clausola negoziale con la conseguenza che, in caso di estinzione del contratto anteriormente alla sua naturale scadenza, esso rappresenta l'elemento contrattuale al quale occorre far riferimento in via esclusiva ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi.”

Cass. n. 2593/2003, conf. Id. n. 3479/1971, n. 1724/1977, n. 9653/2001, n. 28663/13, n. 2072/2013, n. 603/2013, n. 11400/2014.

Base di calcolo che, quindi, non è costituita soltanto da capitale, bensì dal montante, ovvero da da una “miscela di capitale e interessi”, secondo l’eloquente locuzione utilizzata da C. Mari e G. Aretusi in “Sull’ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice, alcune considerazioni concettuali e metodologiche”, in Il Risparmio, n. 1/2019, pag. 121.

Cfr. A. Nigro, “L’anatocismo nei rapporti bancari, una storia infinita?”, in Dir. banca e merc. fin., 2001, pagg. 269 e ss.

cfr. Cass. n. 2374/1999, Id. n. 3096/1999, Id. n. 12507/1999, cass. SS.UU. n. 21095/2004è emblematica e chiarificatrice: anche in quel caso si trattava di un artificio contabile attraverso il quale la fittizia chiusura trimestrale del conto, finalizzata al conglobamento degli interessi maturati nel periodo nel capitale, consentiva l’addebito di interessi secondari computati su interessi primari e ciò sebbene questi ultimi non potessero considerarsi giuridicamente “scaduti”, atteso che in quel modello contrattuale il saldo (comprensivo di capitale ed interessi) diventa esigibile soltanto al momento della chiusura effettiva del conto, allorché soltanto si configura un credito (in capo alla banca o al correntista).

Così come “il divieto … sancito dall'art. 2744 c.c. si estende a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall'ordinamento” (cfr. Cass. n. 15486/2014, conf. id. n. 5740/2011, id. n. 5426/2010, Id. n. 19288/2009, Id. n. 2285/2006), deve quindi ritenersi riconducibile all’ambito applicativo dell’art. 1283 c.c. ogni accordo che determini, surrettiziamente ed in modo indiretto, il risultato economico-finanziario vietato da quest’ultima norma. È per l’appunto in virtù di tale principio, del resto, che la Corte di Cassazione, a far tempo dal 1999, ha avuto modo di ravvisare la violazione del divieto di anatocismo in riferimento alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei rapporti di conto corrente bancario.

Cfr. nota 2 di questo Documento.

Cfr. Cass. n. 3805/2004.

Vuoi un’interpretazione attenta al collegamento dell’art. 1283 con l’art. 1282 e al ruolo effettivamente assegnato all’art. 1283 c.c. nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, vuoi l’elemento testuale, rappresentato dal riferimento agli interessi “scaduti”, univocamente rendono assai problematico riferire a questo articolo le ipotesi in cui il fenomeno di capitalizzazione abbia luogo su interessi non ancora esigibili alla stregua dell’art. 1282 c.c., vale a dire con riguardo ad interessi dei quali non sia ancora dovuto il pagamento e che, anzi, il debitore sia legittimato dalla legge o dal titolo a trattenere: in questo caso, la produzione di interessi su interessi, non essendo diretta a ristorare il danno da inadempimento del debito di interessi semplici, si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 1283 c.c.; costituisce una fattispecie diversa da quella disciplinata da tale disposizione, che – si ripete - almeno a stare al suo tenore letterale, ha ad oggetto esclusivamente le conseguenze di un ritardato adempimento del debito di interessi.” cfr.G. La Rocca, “L’anatocismo. Dall’inadempimento ai contratti di credito”, 2002.

Ad es., per i mutui fondiari, l’art. 38, comma 2 del R.D. n. 646/1905, l’art. 14 comma 2 del D.P.R. n. 7/1976 e l’art. 16 comma 2 L. n. 175/1991; per le operazioni di finanziamento dapprima l’art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 09.02.2000 e poi l’art. 120 comma 2, lett. b) del T.U.B. nel testo vigente e dalla relativa delibera del C.I.C.R. attuativa del 03.08.2016.

Vedasi nota 4.

Vedasi le pronunce citate nella nota 64 di questo Documento.

Cfr. Cass. n. 2374/1999; conf. Id. n. 5506/1994, Id. n. 11065/1992, Id. n. 5423/1992.

In altri termini, se l’autonomia negoziale consente alle parti di “… scegliere se imputare il rimborso prima agli interessi che al capitale, o proporzionalmente ad entrambi, o, ancora, al solo capitale”, non può tuttavia trascurarsi di considerare che ”nel momento in cui viene convenuto il tasso contrattuale” occorre “tenere conto dell’incidenza sui costi che comporta la modalità prescelta per il rimborso e sul tasso, che deve sempre restare uguale a quello contrattualmente convenuto“ (cfr. App.. Campobasso, 05.12.2019 n. 412).

La coincidenza del regime di interesse composto con l’anatocismo è stata affermata già da Levi, in ”Corso di Matematica Finanziaria”, pag. 31, Milano, 1953: “Originariamente capitalizzazione significa capitalizzazione degli interessi, e cioè trasformazione degli interessi in capitale; e cioè il fatto, per cui contrattualmente si stabilisce (nelle operazioni a lunga scadenza) che periodicamente gli interessi si aggiungono al capitale, e da quel punto in poi l’interesse si calcola sul montante (con la formula prestabilita). È questo il concetto elementare di interesse composto (o anatocismo)”.

Cfr. D. Provenzano “Alla ricerca di una sintesi tra Matematica e Diritto nell’analisi del fenomeno anatocistico nel contratto di mutuo con ammortamento alla francese stilato secondo il regime finanziario della capitalizzazione composta”, in www.ilcaso.it, e in www.assoctu.it

Cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 19.07.2012 nel caso n. 591/2010; “In assenza di disciplina dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti in presenza dei quali gli interessi devono essere corrisposti, segnatamente per quanto riguarda l’aliquota degli interessi medesimi e le loro modalità di calcolo (interessi semplici o interessi composti)”; ciò in sostanziale conformità a quanto al riguardo evidenziato dalla giurisprudenza nazionale (cfr., ex plurimis, Trib. Milano, ord. del 01.07.2015, Id. ord. del 29.07.2015, ord. del 08.08.2015, Trib. Cuneo, ord. del 29.06.2015, Trib. Biella, ord. 07.07.2015).

Trattasi di principio matematico consolidato: “Se i è il tasso di interesse, l’interesse complessivo di un capitale C per un tempo t è: . Si parla in tal caso di interesse semplice … l’interesse risulta proporzionale al tempo, anzi questa proprietà può assumersi come definizione dell’interesse semplice” (E. Levi, “Corso di matematica finanziaria e attuariale”, Giuffrè, 1964); in termini, vedasi anche, ex plurimis, C. Polidori, “Matematica Finanziaria”, 1954, G. Ottaviani “Lezioni di Matematica Finanziaria”, 1988, F. Moriconi, “Matematica Finanziaria”, 1994. A fronte dell’indubbia sovrapponibilità del disposto del citato art. 821 comma 3 c.c. (che postula la proporzionalità e degli interesse sia rispetto al capitale che alla “durata del diritto”, vale a dire al tempo di impiego di quest’ultimo) e della enunciata formula dell’interesse semplice in matematica finanziaria (), non convince l’assunto secondo cui  la predetta disposizione codicistica, nello stabilire la regola dell’acquisto degli interessi “de die in diem”, individuerebbe “una relazione di proporzionalità”, ma soltanto tra “durata del diritto” e “misura dei frutti”, non già anche tra “capitale” e “misura dei frutti” (cfr. E. Astuni, “Il mal francese”, nota di studio diffusa a margine del convegno organizzato da Assoctu il 09.04.2020). In proposito, è agevole replicare che ineludibile fattore della produzione degli interessi è rappresentato dal tasso in base al quale essi sono generati, che, a norma dell’art. 1284 comma 1, è costituito da un’aliquota percentuale (annua) sul capitale, per cui non si vede come si possa sostenere l’irrilevanza di quest’ultimo a tal fine. L’ammontare del capitale, del resto, assume rilievo anche con riguardo all’alternativa formula dell’interesse composto: I = (1 + i) ^t. Né convince, nel medesimo contesto argomentativo, l’osservazione secondo cui, atteso che l’art. 821 c.c. (secondo l’elencazione del comma 1) “tratta indifferentemente canoni di locazione e interessi”, ne deriverebbe che “nessuna proporzione bene/frutti è possibile con riguardo ai primi” (E. Astuni, ibidem). È chiaro, infatti, che soltanto gli interessi sono frutti civili quantificati (in ragione alla loro omogeneità rispetto al capitale, costituendo pur sempre oggetto di obbligazioni pecuniarie) secondo una proporzione (un’aliquota percentuale, espressa dal tasso) del bene che li produce (il capitale medesimo); diversamente, l’ammontare di un canone locativo è rimesso al mercato e/o (sia pure in diversa misura e con varie modalità, a seconda delle tipologie contrattuali) all’autonomia negoziale; di modo che non assume rilievo un’ipotetica proporzione tra il bene locato e l’ammontare del canone, se non nel senso che il valore commerciale del primo determina, in qualche modo, anche l’entità del corrispettivo del suo godimento periodico; ma sotto tale profilo, si resta pur sempre nell’ambito della dinamica (economica tout court) del mercato, senza dover scomodare principi e formule matematico-finanziari.

Nella sentenza della Corte regolatrice n. 20600/2011, in particolare, per l’appunto sul presupposto della regola generale secondo cui gli interessi su somme di denaro "si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto (art. 821 c.c., comma 3)”, si è testualmente rimarcato che “Il saggio di interesse costituisce … la misura della fecondità del denaro (predeterminata ex lege o rimessa all’autonomia negoziale) ed è normalmente determinato con espressione numerica percentuale in funzione della durata della disponibilità e dell'ammontare della somma dovuta o del capitale (cfr. art. 1284 c.c., comma 1), ed opera, pertanto, su un piano distinto dalla disciplina giuridica della modalità di acquisto del diritto, fornendo il criterio di liquidazione monetaria dello stesso indipendentemente dal periodo - corrispondente od inferiore all'anno - da assumere a base del conteggio (nel caso in cui occorra determinare, sulla base di un saggio di interesse stabilito in ragione di anno, l'importo degli interessi per un periodo inferiore, bisogna dividere l'ammontare degli interessi annuali per il numero di giorni che compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare)”. Anche nella più recente sentenza n. 870/2006 del Supremo Collegio, nel richiamare “il principio in base al quale l'utilizzazione di un capitale o di una cosa fruttifera obbliga l'utente al pagamento di una somma … corrispettiva al godimento ricevuto” (e quindi in relazione alla nozione di frutti civili, di cui all’art. 820 comma 3 c.c.), si è qualificata espressamente tale somma come “proporzionale” e ciò in virtù dell’evidente richiamo al principio presupposto, di cui al citato art. 821 comma 3 c.c..

Cfr. Cass. SS.UU. n. 24418/2010 cit.

Cfr. D. Provenzano “Alla ricerca di una sintesi tra Matematica e Diritto nell’analisi del fenomeno anatocistico nel contratto di mutuo con ammortamento alla francese stilato secondo il regime finanziario della capitalizzazione composta”, in www.ilcaso.it, e in www.assoctu.it

Cfr., ex plurimis, Trib. Verona, 24.03.2015 n. 759, Trib. Salerno, 30.01.2015 n. 587, Trib. Brescia, 27.09.2017, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 27.03.2017.

A. Annibali, A. Annibali, C. Barracchini, “Anatocismo e ammortamento di mutui alla francese in capitalizzazione semplice”, 2016, Idd., “Anatocismo e ammortamento di mutui alla francese – Manuale per le professioni di Magistrato, Commercialista e Avvocato”, 2016.

Cfr. Cass. n. 2301/2004, conf. Id. n. 17798/2011.

Cfr. Trib. Venezia 27.11.2014, Trib. Benevento 19.11.2012, Trib. Torino 17.09.2014, Id. 27.04.2016, Trib. Treviso 12.11.2015.

Cfr. Trib. Isernia, 17.03.2014, Trib. Milano 05.05.2014, Id. 26.10.2017, Trib. Padova 12.01.2016, App. Bologna, 13.04.2017, Trib. Napoli Nord, 26.04.2018.

Eloquenti, in proposito, le parole di un insigne cattedratico: “Bisogna poi precisare che, in una legge dell’interesse composto, l’interesse non è proporzionale al tempo, e perciò il tasso non ha più il significato di interesse per unità di capitale e per unità di tempo; è soltanto il parametro che contraddistingue la legge di interesse semplice alla quale viene applicata la capitalizzazione. Solo se il periodo di capitalizzazione coincide con l’unità di tempo a cui è riferito il tasso, quest’ultimo coincide con l’interesse per “una” unità di tempo, ma non per ogni unità di tempo.” Cfr. E. Levi, Corso di Matematica Finanziaria ed attuariale, 1964.

In tal senso, cfr. Trib. Torino, 17.09.2014 cit., Trib. Siena, 17.09.2014, Trib. Arezzo, 24.11.2011.

In altri termini, “ad ogni scadenza, gli interessi maturati vengono di fatto dapprima addebitati al capitale e poi pagati dalla quota contenuta nella rata”; di tal che “questa capitalizzazione composta non dichiarata in contratto, ma risultante solo dal piano di ammortamento, integra un anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c. e non legittimato neanche dalla delibera C.I.C.R. 9/2/2000, che si riferisce solo agli interessi moratori” cfr. Trib. Napoli, 13.02.2018, n. 1558.

Cfr. G. Olivieri – P. Fersini “Sull’anatocismo nell’ammortamento alla francese”, in Banche e Banchieri, 2/2015, pag. 441; per analoghi rilievi, cfr. P. Bortot ed altri, “Matematica Finanziaria”, 1998, pag. 187 e segg.

Cfr. Trib. Milano 30.10.2013.

In tal senso vedasi: Trib. Milano 09.11.2017, Trib. Roma 11.10.2017, Trib. Padova 23.02.2009, Trib. Monza 19.06.2017 n. 1911 cit., Trib. Venezia, 27.11.2014 Trib. Mantova 11.03.2014, Trib. Treviso 12.01.2015, Trib. Modena 11.11.2014, Trib. Pescara 10.04.2014, Trib. Mantova 11.03.2014, Trib. Roma 10.05.2019 n. 9811; nonché la pronuncia dell’A.B.F. n. 1127 in data 25.02.2014 del Collegio di NapolI.

Cfr., ex plurimis, Cass. n. 10941/2016, Id. n. 29729/2017, n. 6022/2003, n. 20904/2005, n. 9510/2007, n. 16448/2009, n. 3359/2009, n. 5707/1997.

Cfr. Cass. n. 10941/2016 cit.

A. Quintarelli, “Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento <> a rata fissa”, cit.

Cfr. note 66 e 67 di questo Documento.

Tale ultimo rilievo pare condiviso anche da E. Astuni, che pure concorda con A. Quintarelli circa la negazione dell’effetto anatocistico nell’impiego del regime composto nei piani di ammortamento rateali: “… è evidente che si confondono due piani: 1) Scadenza dell’obbligazione di interessi; 2) Ordine di imputazione. L’art. 1194 c.c. riguarda l’ordine di imputazione del pagamento, ordine che il debitore deve rispettare se e in quanto interessi e capitale sono entrambi liquidi ed esigibili e perciò suppone già risolta, in altra sede, la questione quando il debito per interessi diventi esigibile …” (cfr. E. Astuni, “Il mal francese”, nota di studio diffusa a margine del convegno organizzato da Assoctu il 09.04.2020).

A. Quintarelli, opera cit.

Significative e sempre attuali, in tale contesto, le lucide considerazioni contenute nella motivazione della nota sentenza Trib. Bari - Sezione Distaccata di Rutigliano, 29.10.2008, n. 113: “Il tasso nominale di interesse pattuito letteralmente nel contratto di mutuo non si può volutamente maggiorare nel piano di ammortamento, né si può mascherare un artificioso incremento nel piano di ammortamento, poiché il calcolo d’interesse nel piano di ammortamento deve essere trasparente ed eseguito secondo le regole matematiche dell’interesse semplice. I contratti di mutuo per cui è causa sono mutui con rimborso frazionato, in cui alla banca, durante il rapporto, si restituisce ratealmente il capitale, originariamente prestato, prima della scadenza finale del mutuo stesso: i mutui de quibus vengono estinti con una serie di pagamenti effettuati dal debitore. La rata del mutuo con rimborso frazionato si è calcolata però nel caso in esame con la formula dell’interesse composto, non prevista nella parte letterale del medesimo contratto, che comporta la crescita progressiva del costo, comprendendo di certo degli interessi anatocistici.… La banca, che utilizza nel contratto di mutuo questo particolare tipo di capitalizzazione viola non solo il dettato dell’art. 1283 c.c. ma anche quello dell’art. 1284 c.c., che in ipotesi di mancata determinazione e specificazione, ovvero di incertezza (tra tasso nominale contrattuale e tasso effettivo del piano di ammortamento allegato al medesimo contratto), impone l’applicazione del tasso legale semplice e non quello ultralegale indeterminato o incerto. La sanzione dell’interesse legale è prevista e disposta dalla norma imperativa dell’art. 1284 c.c.” cfr. Trib. Bari, Sezione Distaccata di Rutigliano, 29.10.2008, n. 113).

Cfr. Cass. n. 12276/2010, conf. Id. n. 17496/2018, Id. n. 3480/2016, Id. n. 2072/2013, Id. n. 25205/2014.

Cfr. Cass. n. 25205/2014, conf. Id. n. 8028/2018.

Cfr. Cass. n. 3855/2018.

Cfr. Cass. n. 2317/2007.

Cfr. Cass. n. 12276/2010.

Cfr. Cass. n. 3968/2014.

Cfr. Cass. n. 25205/2014.

Cfr. Trib. Torino, sentenza n. 86/2019 del 07.01.2019, conf., ex plurimis, Trib. Benevento, 19.11.2012, Trib. Monza, 19.06.2017, Trib. Roma, 11.11.2016, Id. 05.04.2017, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 27.03.2017, Trib. Milano 28.06.2017, Trib. Pisa 21.04.2017, da ultima, App. Roma 30.01.2020 n.731.

Cfr. Cass. n. 2593/2003; per l’affermazione di tale principio, vedasi anche Cass. n. 17679/2009, Id. n. 2317/2007, n.4095/2005

Cfr. Trib. Bari - Sezione Distaccata di Rutigliano, 28.10.208 cit.

Cfr. Trib. Milano, 30.10.2010, Trib. Bari, Sezione Distaccata di Rutigliano, 29.10.2008, n. 113, Trib. Larino, Sez. Distaccata di Termoli, 17.04.2012 n. 119, Trib. Isernia 28.07.2014, Trib. Lucca 10.05.2018 n. 763, Trib. Napoli 13.02.2018 n. 1558/2018, Trib. Massa, 13.11.2018 n. 797, Id. 07.02.2019 n. 160, Id. 04.02.2020 n. 90, Trib. Cremona 28.03.2019 n. 227, App. Campobasso, 05.12.2019 n. 412, Trib. Campobasso, 26.03.2020 n.158.

Cfr. Trib. Isernia 28.07.2014 cit.

Cfr. sentenza Trib. Torino, 30.05.2019, n. 605, Trib. Milano, 26.03.2019 n. 2332, in www.iusexplorer.it.

Cfr. Trib. Torino 30.05.2019 cit.: “Nell’art. 1283 c.c., la produzione di nuovi interessi (c.d. secondari, anatocistici) trova la propria fonte nell’inadempimento all’obbligo di pagare gli interessi c.d. primari alla scadenza prevista (“interessi scaduti”) ….. Se si considera che <> (art. 1282 c.c.), esce evidente che il divieto di anatocismo specificamente contraddice questa regola, postulando un debito per interessi, bensì “scaduto”, e quindi “esigibile” (art. 1282 c.c.) per essersi verificata la scadenza del termine di adempimento (e ogni altra condizione) che le parti hanno previsto in contratto, ma incapace di produrre a sua volta interessi (anatocistici) <>”. Risulta evidente che tale soluzione esegetica è stata influenzata dalla ricostruzione propugnata dalla dottrina già citata nella nota 42 di questo Documento, secondo la quale la produzione di interessi anatocistici prefigurata dall’art. 1283 c.c. costituirebbe necessariamente “oggetto di una nuova obbligazione”, vale a dire,” un’attribuzione patrimoniale avente una fonte distinta ed autonoma rispetto a quella degli interessi semplici”, fonte rappresentata “da un inadempimento ulteriore, consistente nel mancato pagamento degli interessi semplici alla scadenza” (cfr. G. La Rocca, “L’anatocismo”, 2002); di tal che, nell’ipotesi in cui non sussista siffatto (pregresso) inadempimento, la fattispecie risulterebbe estranea all’ambito applicativo del medesimo art. 1283 c.c. e (conseguentemente) non sarebbe dato accedere alla tutela offerta dall’art. 2033 c.c. in tema di ripetizione dell’indebito oggettivo (previsione generale posta da consolidata giurisprudenza a fondamento dell’obbligo restitutorio delle somme pagate per interessi anatocistici illegittimi: cfr. ex plurimis, Cass. n. 28819/2017, Id. n. 3190/2017, Id. n. 10713/2016, Id. n. 23656/2011, Id. n. 9169/2015, Id. n. 23278/2017, Id. n. 16188/2017, Id. n. 20312/2018, Id. n. 21875/2018, Cass. SS.UU. n. 24418/2010), dovendosi la ripetizione piuttosto riconoscere in ragione della violazione dell’art. 120 comma 2 del D.Lgs. n. 385/1993: “La soluzione di queste vicende può più semplicemente essere cercata nell’art. 120, comma 2, Tub, laddove … dispone che <>” (cfr. G. La Rocca, “Problemi del contratto di mutuo con ammortamento alla francese tra usura e possibile <> nel piano di ammortamento”, in Atti del Convegno “Finanziamenti, mutui e leasing. Risvolti matematici dei piani di ammortamento e criticità delle condizioni contrattuali”, organizzato da Assoctu e tenutosi in Milano, il 18.01.2019).

Tale ricostruzione non può condividersi, per varie (univoche e convergenti) ragioni: in primo luogo, in base a tale inquadramento, l’addebito di interessi ulteriori calcolati su quelli (primari) già compresi nelle rate di rimborso precedenti andrebbe considerato illegittimo soltanto a far tempo dal 01.04.2016, data di entrata in vigore del testo dell’art. 120, comma 2, lett. b) del T.U.B. come (recentemente) novellato dall’art. 17 bis del D.L. n. 18/2016 (convertito in L. n. 49/2016), ovvero, in alternativa, dal 01.01.2014, data di entrata in vigore della riforma della medesima disposizione del T.U.B. già introdotta dall’art. 1, comma 629 della L. n. 147/2013 (sempre che tale novella debba considerarsi di immediata efficacia precettiva e non presupponga necessariamente l’esistenza della disciplina di cui alla relativa delibera attuativa del C.I.C.R., mai effettivamente emanata); mentre il medesimo artificio contabile resterebbe privo di tutela di sorta per i rapporti risalenti al periodo precedente, ove (come ipotizzato) non si potesse avere riguardo alla previsione (generale) di cui all’art. 1283 c.c. quale fondamento giustificativo della ripetizione dell’indebito, dovendosi del resto escludere l’irripetibilità del pagamento di interessi anatocistici, in quanto di certo non riconducibile all’adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. (cfr. Cass. 2262/1984. Cass. SSUU. n. 21095/2011) e ciò anche a fronte della declaratoria di illegittimità costituzionale (per contrasto con l’art. 3 Cost.) di cui alla sentenza della Consulta n. 05.04.2012 n. 78, in riferimento all’art. 2 comma 61 del D.L. 29.12.2010 n. 225, come convertito in L. n. 10/2011 (disposizione che, in relazione ai conti correnti bancari, nel regolare la prescrizione del diritto alla ripetizione, prevedeva, tra l’altro, “in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”). La soluzione esegetica ipotizzata dalla citata dottrina, peraltro, risulta smentita dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 20095/2004, che, nel qualificare come meramente “ricognitivo” il principio espresso dalla medesima Corte regolatrice con le sentenze n. 2374/1999, n. 3096/1999 e 12507/1999 in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei conti correnti bancari, ha chiaramente affermato la nullità, per violazione dell’art. 1283 c.c., anche delle clausole de quibus contenute in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera C.I.C.R. 09.02.2000 (22.04.2000), in tal modo confermando la persistenza della portata precettiva della citata disposizione imperativa anche con riferimento al periodo precedente e ciò anche per effetto dell’eliminazione ex tunc - in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000 - dell’eccezionale norma di salvezza per le clausole anatocistiche già stipulate, costituita dall’art. 25 comma 3 del D. Lgs. n. 342/1999 (che, come noto, faceva salva la validità delle stesse clausole inserite nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della ridetta delibera C.I.C.R. del 09.02.2000 (avvenuta il 22.04.2000), a condizione che le medesime pattuizioni venissero “adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il
30 giugno 2000”, come sarebbe stato stabilito dal comma 1 dell’art. 7 della citata delibera, secondo le modalità ed i tempi previsti nei commi successivi). La suindicata pronuncia della Consulta, in effetti, ha determinato il (pieno) ripristino dell’operatività dell’art. 1283 c.c. in conformità al suo originario ambito applicativo. 

Va inoltre considerato che opinare nel senso qui criticato - beninteso sempre nell’ipotizzato scenario dei rapporti di finanziamento costituiti fino al 14.04.2016 o (forse) dal 31.12.2013 - comporterebbe che il mutuatario, per vedere riconosciuta in sede giudiziale l’illegittimità della previsione di interessi anatocistici conteggiati nei piani di ammortamento “alla francese” stilati in regime composto, sarebbe costretto a rendersi inadempiente all’intera obbligazione di pagamento degli interessi corrispettivi, quale risultante dallo stesso piano di ammortamento allegato al contratto, in modo da poter recuperare (integralmente) quanto a tale titolo versato attraverso l’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.; essendogli invece precluso, prima che pervengano a scadenza tutte le varie rate di rimborso, così come qualora (una volta scadute), esse siano state regolarmente onorate), agire in giudizio, rispettivamente, ai fini dell’accertamento dell’illegittimità della componente degli interessi (ulteriori) generata da interessi primari (nel primo caso), o per conseguirne la ripetizione (nel secondo), dal momento che negli scenari appena ipotizzati difetterebbe il (presunto) necessario presupposto dell’anatocismo (asseritamente) costituito dalla presenza di interessi (primari) già scaduti e rimasti insoluti (presupposto prefigurato dall’indirizzo interpretativo in questione), non potendo quindi in tali ipotesi trovare applicazione l’art. 1283 c.c..

Non può trascurarsi di considerare, infine, che la necessità di avere tuttora riguardo – per quanto di ragione - anche alla disciplina di cui all’art. 1283 c.c. permane, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 120, comma 2, lett. b) del T.U.B., nel testo novellato ai sensi dell’art. 17 bis del D.L. n. 18/2016 (come convertito in L. n. 49/2016): nonostante tale ultima novella, la produzione di interessi ulteriori su interessi corrispettivi “scaduti” deve infatti ritenersi tuttora ammissibile purché vengano rispettate le condizioni e le garanzie contemplate dalla succitata disposizione codicistica; e ciò in ragione del rapporto di specialità “bilaterale” sussistente tra le due norme (che si configura “quando l’aggiunta o la specificazione si verificano con riferimento sia all’ipotesi generale che a quella specifica” (cfr. Cass. SS.UU. Penali n. 21.01.2011 n. 1963), implicante interferenza reciproca tra le stesse, con la conseguente l’impossibilità di ipotizzare l’integrale prevalenza dell’una rispetto all’altra: l’art. 1283 c.c. (disposizione “generale”) regola l’anatocismo con riguardo agli interessi (primari) “scaduti” (o, comunque, destinati a scadere nel corso dell’esecuzione del rapporto), implicando quindi tale ultimo aggettivo un quid pluris rispetto alla condizione di quelli semplicemente “maturati” (ovvero acquistati “giorno per giorno” sul capitale di riferimento, in base all’art. 820 comma 3 c.c.,), vale a dire l’esigibilità del credito accessorio; l’art. 120 comma 2 lett. b) (previsione applicabile ai rapporti inerenti all’attività bancaria, ovvero alla raccolta del risparmio ed all’esercizio del credito, conclusi con istituti bancari ed intermediari autorizzati e quindi in tal senso “speciale”) vieta la produzione di “interessi ulteriori” generati da “interessi debitori” (primari) semplicemente “maturati”, integrando la “maturazione” una nozione sicuramente più ampia di a quella che definisce gli interessi esigibili (pervenuti a scadenza).  Anche sotto tale profilo, quindi, l’assunto dell’inconferenza dello stesso art. 1283 c.c. ai fini della regolamentazione degli interessi (ulteriori) computati sulle quote interessi comprese nelle rate precedenti nei finanziamenti a rimborso graduale “alla francese” stilati in regime composto pare destituito di fondamento.

Cfr. Trib. Torino 30.05.2019 cit.: “La produzione di interessi su interessi è quindi causa bensì necessaria ma non sufficiente del divieto di anatocismo, poiché determinanti nella considerazione legislativa del divieto sono: dal lato del creditore, l’esigibilità immediata dell’interesse primario; dal lato del debitore, il pericolo di indefinita crescita del debito d’interessi, incalcolabile ex ante, prima che l’inadempimento si sia verificato”. Tale ultima considerazione, peraltro, risulta contraddetta, nel contesto della medesima pronuncia del Tribunale di Torino, laddove si è pure testualmente evidenziato che “l’art. 1283 c.c. impedisce al debitore di assumere “ora per allora” un’obbligazione che presume – per valutazione legislativa tipica – eccessivamente onerosa, perché l’entità del maggior debito assunto per interessi anatocistici è incalcolabile ex ante”.

Ben potendo (legittimamente) i moratori essere applicati (anche) su quelli corrispettivi, in caso di inadempimento (come espressamente già previsto, per le operazioni di finanziamento, dall’art. 3 della Delibera C.I.C.R. del 09.02.2000 e poi dall’art. 120 comma 2, lett. b) del T.U.B.), ma potendo l’effetto anatocistico consistere anche nell’incremento degli interessi corrispettivi previsti nel piano di ammortamento (pertanto anche nello scenario di regolare adempimento dell’obbligo restitutorio frazionato) in virtù dell’impiego del regime composto nella determinazione della rata costante.

Cfr. Cass. n. 3805/2004 cit.

Cfr. Cass. 27.01.1964, n. 191, Id. n. 20600/2011, 3797/1974, n. 987/1978, n. 870/2006, 20600/2011.

Cfr. Trib. Torino 30.05.2019 cit.

“Nell’art. 1283 c.c., la produzione di nuovi interessi (c.d. secondari, anatocistici) trova la propria fonte nell’inadempimento all’obbligo di pagare gli interessi c.d. primari alla scadenza prevista (“interessi scaduti”) ….. La produzione di interessi su interessi è quindi causa bensì necessaria ma non sufficiente del divieto di anatocismo, poiché determinanti nella considerazione legislativa del divieto sono: dal lato del creditore, l’esigibilità immediata dell’interesse primario; dal lato del debitore, il pericolo di indefinita crescita del debito d’interessi, incalcolabile ex ante, prima che l’inadempimento si sia verificato” – Trib. Torino 30.05.2019 cit.

Cfr. Trib. Roma 05.05.2020 n. 6897 cit.

Il supporto motivazionale della seconda sentenza citata, in riferimento al contesto argomentativo in esame, si esprime in termini pressoché coincidenti  con la ratio decidendi della sentenza del Tribunale di Torino del 30.05.2019 e (anche letteralmente) con le argomentazioni della dottrina già richiamata nella nota 84 di questo Documento: “… appare condivisibile l’opinione di chi ritiene che la norma dell’art. 1283 c.c. concerne esclusivamente gli interessi maturati, scaduti, esigibili e rimasti insoluti; di riflesso, devono considerarsi legittime le convenzioni dei finanziamenti a rimborso graduale che prevedono la produzione di interessi su interessi, senza che per questo vi sia inadempimento. Invero la norma deve essere letta in maniera coordinata con l’art. 1282 c.c. per cui nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie vuoi l’elemento testuale, rappresentato dal riferimento agli interessi <>…………… rendono assai problematico riferire a questo articolo le ipotesi in cui il fenomeno di capitalizzazione abbia luogo su interessi non ancora esigibili alla stregua dell’art. 1282 c.c. vale a dire con riguardo ad interessi dei quali non sia ancora dovuto il pagamento ….. : in questo caso, la produzione di interessi su interessi non essendo diretta a ristorare il danno da inadempimento del debito di interessi semplici, si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 1283 c.c.; costituisce una fattispecie diversa da quella disciplinata da tale disposizione, che ha ad oggetto esclusivamente le  conseguenze di un ritardato adempimento. Ciò deve portare a concludere che il piano di ammortamento alla francese non contenga anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c.

“In termini analoghi, in dottrina si è recentemente sostenuto che “… questa fattispecie non determina alcun <> previsto dal codice civile, ma, al più, l’interesse in regime composto, come definito in matematica finanziaria” cfr. A. Quintarelli, “Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento <> a rata fissa”, in www.ilcaso.it, 30.04.2020, nota 57 a pag.24.

Cfr. Trib. Roma 05.05.2020 n. 6897 cit.

Cfr. R. Marcelli e A. Valente, “Ammortamento alla francese: equivoci e pregiudizi”, in www.assoctu.it, 03.10.2019, pag. 19, nota 16 e in www.ilcaso.it, 03.10.2019, pag. 15, nota 16.

“L’orizzonte della disciplina della L. n. 108/1996 accoglie tutte le varie (e tante) voci economiche che vengono fatte gravare sul debitore: a contare, cioè, è l’onere economico complessivo dell’operazione. … E se l’indicazione, che viene a trarsi dal sistema normativo della L. n. 108/1996, è quella del complessivo carico economico, non sembra avere senso andar poi per pezzi sparsi del medesimo. … Passato a “capitale” o meno che sia, l’anatocismo rappresenta comunque una somma che non viene data al debitore, ma che da questi deve essere pagata al creditore. … pare impossibile, pertanto, negare allo stesso la qualifica di costo del credito” (cfr. A. A. Dolmetta, “Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole da inadempimento”, in Riv. Dir. Banc., 2015, pagg. 1 e ss.). Sulla stessa linea, si è sottolineato che la ragione giustificativa dell'art. 1283 c.c. lascia “trasparire l'intento del legislatore di impedire una pratica sgradevole quale quella anatocistica, species, del più ampio genus usura, ad, anzi, più subdola rispetto a quest'ultima in quanto non permette al debitore la preventiva conoscenza e/o conoscibilità della somma da restituire” (D. Griffo, “Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita”, in I Contratti, 2015, pag. 507). Per analoghi rilievi, cfr. M. Libertini, Voce “Interesse”, in Enciclopedia del Diritto, XII, 1972 cit., pag. 95 e ss., O. Scozzafava, “Gli interessi monetari”, cit., 211, D. Sinesio, “L'anatocismo”, in Dir. banc., 1990, I, 27 e, in giurisprudenza, cfr. ex plurimis, Trib. Venezia, 15.10.2014 n. 2163, in www.expartecreditoris.it, Trib. Massa 7 novembre 2018 n. 797 cit., in www.ilcaso.it e in www.assoctu.it; Id., 7 febbraio 2019 n. 160, in www.assoctu.it, Id. 04.02.2020 n. 90, in www.assoctu.it; vedasi anche Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli, 05.12.2013, n. 125/14, in www.expartecreditoris.it). Di contrario avviso risultano altre pronunce (cfr., tra le altre, Trib. Torino 26 Luglio 2017, Id. 20 aprile 2012, Trib. Biella, primo marzo 2018.

Cfr. L. Pascucci, “Interessi moratori e usura: quid sub sole novi?”, in La Nuova Giurisprudenza civ. comm., 2018, 2, p.230.

Cfr. G. Mucciarone, “Anatocismo bancario: ultimi sviluppi”, relazione tenuta al Convegno organizzato da ADDE dal titolo “Quali regole per quali mercati?”, in Milano, 11-12 dicembre 2015, in Banca, Impresa, Società, 2016, pag. 363). 

Cfr. Trib. Torino, 08.10.2014, in www.expartecreditoris; conf. Id. 21.05.2014 n. 3783, ibidem.

Cfr., ex plurimis, Cass. n. 1341/2017, Id. n. 17150/2016, Id. n. 2072/2014, Id. n. 24483/2013.

Cfr., ex plurimis, Cass. n. 21083/2012, Id. n. 14828/2012, Id. n. 2366/2012, Id. n. 2642/2014, Id. n. 2643/2014, Cass. SS.UU. n. 24828/2012.

Qualcuno potrebbe dire che tale figura si riferisce solo ai contratti di credito al consumo quale persona fisica. In verità, gli innumerevoli spunti dottrinali, ma anche legislativi, spiegano l’esistenza della figura del c.d. “terzo contratto”, che si riscontra in tutte quelle situazioni in cui vi è una sperequazione trai i contraenti, poiché vi è un soggetto che predispone unilateralmente il contenuto contrattuale. Bisogna tener conto che oggi quel dogma della parità dei soggetti contraenti, che tanto ancora viene ossequiato dai giudici di merito, in realtà non sussiste quasi più. Infatti, in gran parte dei casi, il contratto è sperequato, sia nel caso del contratto di consumo, che nel caso del cosiddetto terzo contratto.

La Cassazione ha indicato che la meritevolezza degli interessi sottesi alla contrattazione, non è solo valutabile nei contratti atipici, ma vale in generale anche per i contratti tipici. Infatti, in relazione alla teoria della causa in concreto, tutti i contratti devono essere sottoposti all’esame, non solo delle tre categorie della causa illecita, ma anche a quello della meritevolezza degli interessi sottesi alla contrattazione. In questo caso, questo è tanto più vero e significativo, in relazione alla teoria dell’interpretazione della volontà negoziale, poiché si tratta, quasi sempre, di un contratto imposto.


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