Esecuzione Forzata


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19798 - pubb. 30/05/2018

Sospensione della procedura esecutiva e reiterazione dell'ordine di liberazione dell'immobile da parte di altro giudice

Cassazione Sez. Un. Civili, 06 Dicembre 2017, n. 29202. Est. Antonietta Scrima.


Provvedimento volto a porre nel nulla atti emanati da collega dello stesso ufficio - Atto abnorme - Rilevanza disciplinare - Fondamento - Fattispecie



In tema di sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati, è legittima la censura disposta dal C.S.M. con riferimento al comportamento del giudice che abbia emesso provvedimento diretto ad incidere, fuori dalle ipotesi consentite espressamente per legge, sull'efficacia di quello emesso da altro giudice in un diverso giudizio, ponendolo nel nulla, trattandosi di atto abnorme, in quanto lo strumento generale per la gestione di una pluralità di procedimenti civili tra loro connessi, assegnati a differenti magistrati dello stesso ufficio, è costituito dalla rimessione degli atti, per le determinazioni di competenza, al dirigente dell'ufficio, ai sensi dell'art. 274, comma 2, c.p.c., senza che assuma rilevanza l'esistenza di una pregressa eventuale violazione dei criteri tabellari di assegnazione degli affari od il convincimento del magistrato di essere l'effettivo titolare per la trattazione del procedimento.

(Nella specie, relativa ad una procedura esecutiva immobiliare, il giudice dell'esecuzione, nonostante la sospensione disposta dal giudice della causa di opposizione proposta dal terzo detentore del bene, aveva reiterato l'ordine di liberazione dell'immobile sull'assunto di essere l'unico funzionalmente competente a statuire sulla sospensione). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato - Primo Presidente f.f. -

Dott. AMOROSO Giovanni - Presidente di Sez. -

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -

Dott. VIRGILIO Biagio - Consigliere -

Dott. CIRILLO Ettore - Consigliere -

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi - Consigliere -

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -

Dott. SCRIMA Antonietta - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

La Dott.ssa Y. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza n. 106/16 della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, depositata il 5 luglio 2016 e notificata il 15 luglio successivo, con la quale l'attuale ricorrente, giudice delle esecuzioni immobiliari presso il Tribunale ordinario di X, è stata ritenuta responsabile degli illeciti di cui ai capi A), C) ed E), lettera a) delle incolpazioni, condannata alla sanzione disciplinare della censura (con esclusione della sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio, originariamente disposta) ed è stata altresì assolta dagli illeciti disciplinari di cui ai capi B), D) ed E), lettera b), per essere rimasti esclusi gli addebiti.

Il procedimento disciplinare conclusosi con la sentenza impugnata in questa sede era stato aperto dal PG presso questa Corte a seguito di un esposto presentato dalla Dott.ssa A.M.R.C., Presidente della Sezione Esecuzioni Civili del Tribunale di X presso cui prestava servizio la ricorrente.

La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con ordinanza camerale del 21 aprile 2014, n. 65/2014, aveva ordinato il trasferimento della F.S. in via provvisoria dal Tribunale di X a quello di Caltanissetta.

Avverso detta ordinanza la F.S. aveva proposto ricorso rigettato da queste Sezioni Unite con sentenza 23071/14.

L'istanza di revoca della misura cautelare era stata rigettata dal Consiglio Superiore della Magistratura e queste Sezioni Unite, con sentenza n. 10091/15, avevano dichiarato l'inammissibilità del ricorso avverso una mera richiesta di revoca non accolta dal predetto Consiglio.

Una ulteriore istanza di revoca del trasferimento cautelare proposta dall'attuale ricorrente era stata accolta con provvedimento n. 31/15 del Consiglio Superiore della Magistratura, avendo il già indicato Consiglio ravvisato, nel prosieguo dell'istruttoria, un ridimensionamento degli addebiti e della gravità degli stessi, sicchè risultava "ridimensionata la menomazione del prestigio dell'incolpata, il che consentiva di disporre la revoca delle misure".

Tale provvedimento cautelare era stato poi impugnato per cassazione dalla Procura Generale e più volte rinviato in attesa della decisione di merito.

Nel frattempo, si è concluso il procedimento disciplinare con la sentenza n. 106/16 emessa dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura impugnata in questa sede e con la quale la ricorrente, come già evidenziato, è stata condannata alla censura.

Il ricorso è stato proposto nei confronti del Ministero della Giustizia, del Consiglio Superiore della Magistratura e della Procura Generale presso la Corte di cassazione.

Il Consiglio e il Ministero intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

 

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura, non essendo esso parte nel presente procedimento, avendo, come organo giurisdizionale, emesso il provvedimento impugnato in questa sede.

2. Il primo motivo è così rubricato: "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, commi 1 e 2, comma 1, lett. ff), violazione D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, in connessione con l'art. 615 c.p.c., comma 2, art. 616 c.p.c. e art. 624 c.p.c., comma 1, ed in rapporto all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) e, ove occorra, art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4".

La ricorrente, con il mezzo all'esame, deduce che il Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto meritevole di sanzione il suo comportamento assumendo di condividere il contenuto della sentenza di queste Sezioni Unite n. 23071/14, ancorchè non costituente giudicato, stante la sostanziale corrispondenza con la qualificazione giuridica dei fatti oggetto di valutazione in sede cautelare e ora di merito.

Rappresenta la ricorrente che, nelle more di una esecuzione di un provvedimento di aggiudicazione di una vendita all'asta, si sarebbe "inserita una "opposizione all'esecuzione" ex art. 615 c.p.c., comma 2, proposta da un terzo (all'epoca detentore dell'immobile)", la quale, anzichè essere iscritta quale opposizione all'esecuzione nel ruolo del procedimento esecutivo n. 38/90 RGEI e, quindi, assegnata al G.E. Dott.ssa F.S., era stata iscritta a ruolo, prendendo un autonomo numero di ruolo, e il Presidente Dott.ssa A., autoassegnatosi il fascicolo, aveva provveduto sull'istanza di sospensione. Si verificava così quello che il Consiglio Superiore della Magistratura ha definito "cortocircuito processuale", determinando l'esistenza di plurimi provvedimenti nella stessa procedura esecutiva.

Assume la ricorrente che "la stranezza di tale comportamento, contrario alla prassi dell'Ufficio ed alle norme del codice" sarebbe stata rilevata dal Consiglio Superiore della Magistratura che non avrebbe potuto fare a meno di constatare che "l'esame della teste cancelliere Dott.ssa C.M. all'udienza del 2.7.2015 è parso per certi versi accreditare l'ipotesi che la procedura seguita in quella circostanza non fosse aderente alla prassi dell'Ufficio".

Ad avviso della ricorrente, da un lato, vi era la posizione della G.E. Dott.ssa F.S., assegnataria del fascicolo, che aveva ritenuto illegittima e radicalmente nulla l'interferenza posta in essere dalla Dott.ssa A., che si era autoassegnata ed aveva delibato su un'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c., inserita in un'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 2, di un fascicolo di esecuzione assegnato al G.E. F.S., con la precisazione che a tale opposizione era stato assegnato un nuovo numero di ruolo "autonomo" mentre avrebbe dovuto essere inserto nel procedimento esecutivo n. 38/90 RGEI assegnato al G.E. Dott.ssa F.; dall'altro lato, vi era la posizione della Dott.ssa A. che, anzichè rilevare la rappresentata anomalia, si era autoassegnata il fascicolo e lo aveva trattato, disponendo la sospensione, successivamente revocata dallo stesso Pres. A.

Fatta questa premessa, la ricorrente sostiene che la decisione impugnata, nel ritenere censurabile l'operato della F.S., sarebbe errata in quanto non terrebbe conto dell'indispensabile valutazione dell'elemento psicologico dell'incolpata. Sostiene al riguardo la ricorrente che se è pur vero che queste Sezioni Unite, con la sentenza n. 23071/14, emessa con riferimento alla fase cautelare, hanno ritenuto che l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., poteva essere intesa come una sorta di "opposizione al rilascio" e trattata in forma autonoma, tale pronuncia, innovativa rispetto all'orientamento precedente, sarebbe stata assunta solo posteriormente al comportamento della F.S., mentre la valutazione del comportamento e dell'elemento psicologico (indispensabile per valutare la colpa stessa e la relativa gravità) andava effettuata alla luce della giurisprudenza precedente sul punto (Cass. 18/09/2008, n. 2347; Cass. 18/03/1994, n. 2588) e alla conseguente interpretazione della norma posta in essere dal giudice F.S.

Ad avviso della ricorrente, quindi, e tanto rileverebbe, secondo la medesima anche "in forma autonoma per violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, che (a torto o a ragione) per la Dott.ssa F. si trattava di "interpretazione della norma processuale, nella convinzione che un provvedimento di sospensione adottato da altro Giudice diverso dal G.E. fosse radicalmente nullo in quanto inficiato da un vizio attinente alla costituzione stessa del Giudice e basato sul contenuto delle pronunzie precedentemente richiamate".

Sostiene quindi la ricorrente che non vi sarebbe stata alcuna considerazione sull'esimente rappresentata dalla L. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, secondo cui l'attività di interpretazione di norme di diritto non dà luogo a responsabilità disciplinare.

Inoltre, assume la F.S. che la valutazione espressa da queste Sezioni Unite e richiamata nella sentenza impugnata in questa sede sia stata caratterizzata da quella sommarietà propria della fase cautelare che non avrebbe consentito l'analisi della fattispecie e che l'affermazione del Consiglio Superiore della Magistratura, secondo cui sarebbe legittima ed immune da vizi l'emanazione dell'ordinanza di sospensione della Dott.ssa A. sarebbe "inesatta, illogica ed incomprensibile, allorquando in violazione delle regole" che disciplinano "il riparto di competenza nell'assegnazione degli affari, giunge in buona sostanza ad affermare.. che quando l'opposizione vien proposta ad esecuzione già iniziata sulla base del provvedimento di aggiudicazione definitiva il riferimento dell'art. 615 c.p.c., comma 2, non implicherebbe che il Giudice competente a decidere sulla sospensione debba necessariamente essere il G.E. assegnatario e titolare del fascicolo", sicchè il provvedimento adottato dalla Dott.ssa F. non potrebbe definirsi "abnorme".

Ad avviso della ricorrente il ragionamento della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura sarebbe "viziato da una vera e propria petizione di principio. Cioè che l'esecuzione per il rilascio del ben (immobile) pignorato (in attuazione dell'ordine ex art. 560 c.p.c.) sia cosa del tutto diversa dalla espropriazione immobiliare e cancelli la circostanza che quel rilascio è richiesto dentro, durante ed in funzione della riuscita della espropriazione immobiliare".

Sostiene la ricorrente che "siccome l'esecuzione per il rilascio del bene (immobile) pignorato è, a tutto concedere, un sub procedimento dell'espropriazione immobiliare, non può che derivarne che le regole di questa trovino applicazione anche a quella, tutte le volte in cui manchi una norma espressa che disponga in senso inverso" e che in base alle norme del codice di rito richiamate in rubrica ed in particolare in base al disposto dell'art. 624 c.p.c., l'istanza di sospensione in parola avrebbe dovuto essere trattata esclusivamente dal giudice dell'esecuzione immobiliare pendente (Dott.ssa F.S.), funzionalmente competente.

Inoltre la soluzione prospettata dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura si porrebbe - ad avviso della ricorrente - anche in contrasto con l'ovvia esigenza che l'esecuzione si realizzi nel più breve tempo possibile, riducendone al massimo i costi.

Infine, assume la ricorrente che non si comprende perchè, e sul punto lamenta difetto di motivazione della sentenza impugnata, la predetta Sezione Disciplinare abbia attribuito valenza negativa al comportamento della Dott.ssa F.S., assumendo che questa avrebbe potuto rimettere gli atti per le determinazioni di competenza al Dirigente dell'Ufficio ai sensi dell'art. 274 c.p.c., comma 2, ed avrebbe omesso di considerare che quella medesima norma imponeva al giudice successivamente adito di compiere tale attività di rimessione.

Conclusivamente, sostiene la ricorrente che dovrebbe essere completamente annullato il giudizio sfavorevole emesso nei suoi confronti, in quanto ella avrebbe agito in buona fede, nella piena convinzione di rispettare e interpretare la legge, contrastando indebite interferenze nelle proprie funzioni giurisdizionali da parte del Pres. A. che avrebbe dovuto astenersi dal trattare una fase esecutiva di un procedimento assegnato alla competenza esclusiva del G.E. F.S. e sarebbe, quindi, ingiustificata ed illegittima la sanzione applicata.

3. Con il secondo motivo si lamenta "Omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione del provvedimento impugnato in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e, ove occorra, nei limiti della omessa motivazione, dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

La ricorrente sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe "palesemente illogica ed insufficiente" nella parte in cui, per ravvisare la fondatezza del capo di incolpazione sub A), in esso si richiama semplicemente l'orientamento espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 23071/14 (resa nella fase cautelare) assumendo che, essendo stato smentito l'assunto della (ritenuta) propria competenza esclusiva, il comportamento del Giudice F.S. doveva ritenersi "abnorme", senza considerare che la richiamata pronunzia era innovativa rispetto all'orientamento giurisprudenziale precedente e che era stata adottata successivamente ai comportamenti del predetto Giudice, il cui comportamento e il relativo elemento psicologico avrebbero dovuto, pertanto, essere valutati alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale precedentemente formatosi sul punto e alla conseguente interpretazione della norma operata dall'attuale ricorrente.

Lamenta, altresì, la ricorrente il difetto, nella motivazione del provvedimento impugnato, di ogni riferimento "all'esistenza della circostanza esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, rappresentata dall'aver" la F.S. "agito in sede di interpretazione della norma processuale", ritenendo, sulla base di precedenti giurisprudenziali di legittimità, "che fosse nulla ed inesistente una pronunzia di sospensione resa da un Giudice diverso dal G.E. assegnatario e titolare del fascicolo", come in sostanza evidenziato nell'ultima parte del provvedimento emesso dalla ricorrente in data 18 gennaio 2013.

4. Con il terzo motivo rubricato "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, commi 1 e 2, comma 1, lett. d) e n), nonchè dei principi generali che presiedono alla variazione tabellare negli uffici giudiziari (anche in contemplazione delle determinazioni dello stesso CSM), dell'art. 25 Cost. e del principio del giudice naturale, in rapporto all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c).

ove occorra, art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione del provvedimento impugnato in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e, ove occorra, nei limiti della omessa motivazione, dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

Con riferimento al capo C) d'incolpazione, la ricorrente rappresenta che nella sentenza impugnata si afferma in sostanza che: a) era stato emesso un provvedimento di variazione tabellare ccn riassegnazione di fascicoli non trasmesso al Consiglio giudiziario poichè anche la Dott.ssa F.S. ne aveva avuto notizia, b) la mancata contestazione della predetta aveva reso irrilevante la formale trasmissione dei provvedimenti di variazione tabellare al Consiglio Giudiziario per la formale approvazione e la trasmissione al CSM; c) era stato accertato in giudizio che la Dott.ssa F.S., dopo essersi lamentata ritenendo illegittima questa riassegnazione di fascicoli, avesse richiesto al nuovo G.E., Dott.ssa G., di poter visionare uno dei fascicoli che era stato "riassegnato" a quest'ultima, mala seguito di tale visione il fascicolo non sarebbe stato restituito alla cancelleria competente e per tale ragione era stato necessario disporre due rinvii del procedimento (udienze del 4 ed 11 luglio 2013); d) la Dott.ssa F. quindi si sarebbe resa colpevole di quanto contestatole poichè, a prescindere dalla validità e legittimità dei provvedimenti di variazione tabellare, non avrebbe dovuto omettere la doverosa "restituzione" del fascicolo inerente alla procedura 1069/11 ottenuto in visione.

Tanto premesso, la ricorrente censura l'affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui ella non avrebbe contestato la sopra riportata ricostruzione dei fatti e sostiene che non sarebbe stato affatto accertato che abbia "materialmente rifiutato la restituzione di un fascicolo", sicchè sarebbe "evidente la contraddittorietà della motivazione rispetto agli accertamenti istruttori compiuti dalla stessa Procura Generale". Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe "totalmente insufficiente" al riguardo nè darebbe conto del perchè "sia stata scartata a priori l'ipotesi del mancato rinvenimento del fascicolo, e preferita quella della "volontaria mancata restituzione"", nè sarebbero state accertatele modalità del rinvenimento di tale fascicolo.

Inoltre si censura anche il richiamo operato nella motivazione del provvedimento impugnato in questa sede, alla sentenza di questa Sezioni Unite n. 23071/14, con riferimento all'accertamento del rifiuto di restituire il fascicolo, in quanto - ad avviso della ricorrente - se è pur vero che in quella sentenza sembra darsi per scontato tale rifiuto, in realtà la fase cautelare e sommaria non aveva consentito un compiuto accertamento sul punto.

Contesta inoltre la ricorrente di aver manifestato il suo assenso in relazione ai provvedimenti organizzativi adottati nell'aprile 2012 dalla Dott. A.; sostiene che sul punto non si sarebbe pronunciato il Consiglio giudiziario; deduce di aver contestato la legittimità di tali provvedimenti e di non aver mai sottratto alcun fascicolo dalla cancelleria nè rifiutato di restituire il fascicolo di cui al capo di imputazione in parola, rappresentando che le difficoltà di reperimento dei fascicoli erano "connesse" al "continuo smistamento" e alla "trasmigrazione dei fascicoli".

4. I primi tre motivi che essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Ed invero le censure proposte non scalfiscono le ragioni della decisione impugnata, che risulta esente dalle lamentate violazioni di legge e immune dai vizi motivazionali dedotti.

La ricorrente si è a lungo soffermata, nell'illustrazione delle censure sull'argomento secondo cui la condotta della Dott.ssa F.S. non avrebbe dovuto essere valutata alla luce dell'orientamento espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza 30 ottobre 2014, n. 23071, in base al quale l'opposizione del terzo detentore va qualificata come opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. e può proporsi sia ai sensi del primo che del secondo comma dell'articolo del codice di rito appena richiamato, con la precisazione che quando l'esecuzione venga proposta ad esecuzione già iniziata sulla base dell'ordine di rilascio ne segue che il riferimento dell'art. 615, comma 2, al giudice dell'esecuzione risulta operante in funzione di una regola di competenza e, dunque, non giustifica in alcun modo che detto giudice sia quello designato ai sensi dell'art. 484 c.p.c., il quale può, semmai, venire in rilievo come tale in ambito di rimedio ai sensi dell'art. 617 c.p.c., quando un'opposizione ai sensi di tale norma venga proposta, da chi vi può essere legittimato nel corso di un'udienza del processo esecutivo).

Ad avviso, della ricorrente, la sua condotta avrebbe dovuto essere valutata, invece, tenendo conto dell'orientamento giurisprudenziale precedentemente affermato e secondo cui, poichè legittimato a provvedere alla sospensione dell'esecuzione è il giudice cui è affidata la direzione della procedura esecutiva, l'ordinanza di sospensione adottata da un diverso giudice (ancorchè appartenente allo stesso Ufficio giudiziario, è affetta da nullità, perchè infirmata da vizio che attiene alla costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.) ed al riguardo la ricorrente richiama Cass. 18/03/1994, n. 2588 e Cass. 18/09/208, n. 23847.

4.1. Il Collegio osserva che tale argomento non risulta decisivo, atteso che, comunque, la ricorrente ben avrebbe potuto rimettere gli atti al presidente ai sensi dell'art. 274 c.p.c. Ed invero, come queste Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con la sentenza 30/10/2014, n. 23071, emessa in relazione ad un ricorso proposto dalla stessa attuale ricorrente, e di cui il provvedimento impugnato ha tenuto conto, lo strumento per la gestione di una pluralità di procedimenti tra loro connessi, assegnati a differenti magistrati dello stesso ufficio, è costituito - salva più specifica regolamentazione nelle tabelle di organizzazione - dalla rimessione degli atti, per le determinazioni di competenza, al dirigente dell'ufficio ai sensi dell'art. 274 c.p.c., comma 2, senza che assuma rilievo l'esistenza di una pregressa eventuale violazione dei criteri tabellari di assegnazione degli affari od il convincimento del magistrato di dover essere l'effettivo titolare per la trattazione del procedimento.

Va peraltro evidenziato che proprio la pronuncia da ultimo richiamata e alla quale - come già detto - ha fatto espresso riferimento la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, nella sentenza impugnata in questa sede, ha precisato che l'art. 274 c.p.c., che si riferisce alla connessione tra cause cognitive, si presta ad essere utilizzato come prevedente un principio che impone al singolo magistrato e, quindi, nella specie, anche alla ricorrente - la quale, pertanto, infondatamente si duole che tale norma sia stata ritenuta applicabile nei suoi confronti - di riferire la situazione di connessione al capo dell'ufficio, cui compete il potere di eventualmente disporre che gli affari siano trattati dallo stesso magistrato.

Alla luce delle argomentazioni che precedono, l'invocazione di una diversa interpretazione delle norme seguita dalla ricorrente risulta priva di decisività al fine di escludere la sussistenza degli addebiti contestati e di cui si discute in questa sede.

Quanto poi alla ritenuta - dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura - non contestazione da parte della Dott.ssa F.S. circa la ricostruzione dei fatti così come riportata nella sentenza impugnata, strenuamente censurata, invece, dalla ricorrente, si osserva che la detta Sezione ha sostanzialmente fondato il suo convincimento al riguardo facendo ricorso alla prova logica, come emerge chiaramente dal provvedimento impugnato (v. p. 14 e sgg.), dove è evidenziato che la Dott.ssa F.S. "ha svolto la sua difesa essenzialmente in ordine alla illegittimità della riassegnazione, dalla quale sarebbe sorto in suo favore una sorta di diritto di ritenzione che avrebbe giustificato la sua mancata trasmissione del fascicolo", evidenziando che (v. nota n. 6 della pagina già indicata) trattavasi di "argomentazioni che non solo (erano) state svolte in giudizio, ma erano state spese dall'interessata nelle interlocuzioni che all'epoca dei fatti erano intervenute con al presidente A. e la collega G.".

Neppure corrisponde al vero che la Sezione Disciplinare non abbia tenuto conto dell'ultima parte del provvedimento del G.E. F.S. del 18 gennaio 2013 di cui si discute in causa, contenente seguente precisazione che "la legge riserva solo al G.E. ad esecuzione iniziata, il potere di sospendere o meno l'esecuzione". Tale precisazione, infatti, è stata riportata e ben tenuta presente ed esaminata (v. provvedimento impugnato p. 11).

5. Il quarto motivo è così rubricato: "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, el art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, lett. n) ed art. 12, nonchè dei principi in tema di giusto processo, in rapporto all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), e, ove occorra, art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione del provvedimento impugnato in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e, ove occorra, nei limiti della omessa motivazione, dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

La ricorrente lamenta che, pur avendo accertato che nei cinque giorni indicati nel capo E) di incolpazione, la Dott. F.S. non si era assentata, ma era presente in Ufficio, essendosi solo limitata a non tenere udienza per meglio svolgere lavoro arretrato, il Consiglio Superiore della Magistratura abbia ritenuto comunque ravvisabile una condotta sanzionabile (studio e scioglimento di "riservate"), pur avendo la medesima tenuto nel 2013 un numero di udienze superiore alle previsioni organizzative generali.

In via subordinata, la ricorrente sostiene in relazione alla condotta detta, se ritenuta sanzionabile, avrebbe dovuto comunque applicarsi l'esimente di cui alla L. n. 109 del 2006, art. 3 bis, trattandosi di fatto di scarsa rilevanza.

Rappresenta, inoltre, la F.S. che la contestazione riguardava la violazione della L. n. 106 del 2006, art. 2, lett. n), che, ai sensi dell'art. 12 non sarebbe punibile con la censura ma con il semplice ammonimento.

5.1. Il motivo va complessivamente rigettato.

5.2. Ed invero le censure proposte non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.

La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto provata la responsabilità dell'attuale ricorrente limitatamente alla prima delle due contestazioni di cui al capo E) della incolpazione, evidenziando che la Dott.ssa F.S. non aveva contestato di non aver tenuto le udienze tabellari nei giorni 14 gennaio, 4 marzo, 11 marzo, 20 maggio e 3 giugno 2013 ma aveva rappresentato di aver ritenuto di non dover fissare per quelle date la trattazione di procedimento, onde poter svolgere altro lavoro che aveva reputato più urgente, senza dettagliare tale situazione in modo da consentire al Capo dell'ufficio, prima e alla predetta Sezione Disciplinare, dopo, un minimo vaglio di meritevolezza in ordine a questa scelta e tali affermazioni non sono state specificamente censurate.

5.3. Quanto poi alla mancata applicazione, nel caso di specie, dell'invocata esimente di al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, si osserva che sul punto la Sezione Disciplinare del CSM ha espressamente e adeguatamente motivato senza incorrere in vizi logici.

5.4. Infine, vanno disattese le doglianze della ricorrente in relazione all'applicazione della sanzione della censura anzichè dell'ammonimento, evidenziandosi che la sanzione della censura è stata applicata con riferimento a tutte le violazioni accertate.

6. Il ricorso deve, pertanto, conclusivamente essere rigettato.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2017.