Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23437 - pubb. 31/03/2020

La delegazione a promettere non comporta non comporta l’assunzione di un impegno diretto nei confronti della banca

Cassazione civile, sez. VI, 21 Febbraio 2020, n. 4693. Pres. Scaldaferri. Est. Dolmetta.


Delegazione di pagamento - Delegazione a promettere - Assunzione di un impegno diretto nei confronti della banca - Esclusione - Mandato all'incasso a un terzo - Assunzione di un impegno diretto nei confronti del terzo mandatario - Esclusione



Lo strumento delegatorio può essere utilizzato sia per estinguere un debito, sia per costituire un credito, sia per trasferire una somma a titolo di liberalità, come pure per qualsiasi altra ragione non vietata dall'ordinamento, considerato che il termine «pagamento» di cui all’art. 1269 cod. civ. fa riferimento alla più ampia nozione di attribuzione patrimoniale effettuata da un soggetto a favore di un altro.

In tema di delegazione a promettere, l’impegno a pagare ad un soggetto, tramite versamenti sul conto corrente a questi intestato, non comporta l’assunzione di un impegno diretto nei confronti della banca presso cui è acceso il conto corrente, in quanto il delegatario resta comunque soggetto «terzo» rispetto al rapporto obbligatorio.

Il conferimento da parte del creditore di un mandato all'incasso a un terzo (con il connesso potere di esigere la prestazione al debitore) è operazione vettorialmente opposta all’atto con cui il creditore invita il proprio debitore a impegnarsi direttamente con il terzo, sicché dalla stessa non può ricavarsi un atto del debitore di assunzione di un impegno diretto nei confronti del terzo mandatario. (Lucrezia Cipriani) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

1.- La società di diritto egiziano M.T. ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Bergamo - Sezione di Treviglio la s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro e la s.r.l. (*), dichiarando di essere debitrice di una determinata somma (titolata in rapporti contrattuali di fornitura con la (*)) e dichiarando, altresì, di essere disposta a eseguire il pagamento a favore del soggetto che ne avesse diritto (con richiesta di deposito della somma e di estromissione dal giudizio).

2.- Nei fatti, la (*) invia alla società egiziana una comunicazione (gennaio 2008) relativa alle modalità di pagamento dei rapporti intercorrenti ("deleghiamo codesta M. in via irrevocabile... al pagamento di tutte le somme... che ci saranno dovute... presso la Banca Nazionale del Lavoro. Vi preghiamo di volere cortesemente confermare il vostro accordo alla Banca suddetta alla quale sin d'ora conferiamo mandato irrevocabile ai sensi e per gli effetti dell'art. 1723 c.c., comma 2"). La comunicazione è inviata pure alla Banca, per conoscenza.

A tale missiva M. dà seguito comunicando alla Banca che, "con riferimento al contratto di fornitura,... vi confermiamo che canalizzeremo i bonifici a fronte di tale contratto sul conto corrente intestato alla (*) presso di voi".

Dopo un certo periodo di tempo e dopo l'avvenuta esecuzione di una serie di pagamenti, la (*) sollecita (giugno 2009) la società egiziana a effettuare i pagamenti ulteriori presso il conto corrente che intrattiene con la BCC Treviglio. La società si astiene dal farlo, assumendo di dovere pagare presso la BNL.

Segue scambio di lettere tra i soggetti interessati. Ricevuta (settembre 2009) una richiesta di pagamento sia dalla (*), che dalla BNL, M. si determina alla sopra indicata azione di accertamento.

3.- Interrotto per sopravvenuto fallimento della (*), il giudizio viene poi riassunto. Con sentenza depositata il 30 aprile 2012, il Tribunale di Bergamo accoglie la richiesta della società egiziana di deposito di somma e di estromissione; accerta, inoltre, il diritto del Fallimento di ottenere le somme depositate.

La Banca propone appello avanti al Corte di Brescia nei confronti sia del Fallimento, che della società egiziana.

Con sentenza depositata il 18 dicembre 2017, la Corte bresciana rigetta l'appello così proposto.

4.- La sentenza rileva, al riguardo, di non doversi applicare ai "fatti di causa la disciplina codicistica prevista per i contratti di delegazione". "Uno dei presupposti fondamentali del negozio delegatorio è l'impegno del delegato ad adempiere la sua obbligazione nei confronti del delegatario". Nella specie, tuttavia, non emerge "con certezza un impegno specifico in tal senso".

Il mero "utilizzo del verbo "delegare"", di cui alla prima missiva della (*), non si mostra sufficiente per ritenere con certezza che "tutti i soggetti abbiano compreso e condiviso la volontà di dare vita a un contratto di delegazione ex art. 1268 c.c.".

La comunicazione inviata dalla società egiziana alla BNL (cfr. sopra, secondo capoverso del n. 2) "non può essere utilizzata per confermare la valida conclusione di un rapporto di delegazione di debito, difettando di un impegno chiaro e specifico dell'attrice in primo grado ad obbligarsi nei diretti confronti di BNL". "Più rispondente alla volontà delle parti" appare j "un'interpretazione che rilevi un semplice impegno di M. a effettuare i pagamenti dovuti a (*), utilizzando - quale mezzo di pagamento - il bonifico bancario da indirizzare sul conto corrente di BNL, la quale risulta incaricata di curarne l'incasso". Del resto, "i pagamenti effettuati dalla società debitrice, consistenti in versamenti su un conto corrente intestato a (*), non possono che essere intesi come versamenti in favore di quest'ultima".

La circostanza, evidenziata dalla Banca, per cui la società egiziana si è rifiutata di dar corso alla successiva indicazione trasmessa dalla (*) nel giugno 2009, risulta quanto meno equilibrata - rileva poi la pronuncia - dal fatto che la stessa, "per ogni sua miglior tutela, ha avviato l'azione di accertamento per cui è causa".

5.- Ciò posto, la Corte bresciana rileva ancora come, d'altro canto, manchino pure le "prove effettive circa l'esistenza del rapporto di valuta tra (*) e la BNL".

Gli estratti conto relativi al rapporto tra questi soggetti "non appaiono sufficienti per determinare, al gennaio 2008, l'eventuale ammontare di un debito di (*) verto la Banca": "i diversi versamenti effettuati da M. modificano di continuo il saldo del conto, che talvolta risulta in "dare", talvolta in "avere", con ciò rendendo impossibile determinare se e fino a quanto vi fosse effettivamente un rapporto di valuta tra i due soggetti indicati o quando questo potesse dirsi definitivamente estinto".

Non può avere pregio, poi, il rilievo esposto dalla Banca appellante, "per cui i rapporti di provvista e di valuta non sono elementi necessari al fine di concludere un contratto di delegazione, potendo le parti, anzichè volere l'estinzione di due debiti, originare uno o più crediti": "se davvero fosse stata reale volontà delle parti creare rapporti di credito, sarebbe stato onere della parte, che eccepisce tale circostanza, dare prova di tale assunto".

6.- Avverso il provvedimento della Corte bresciana insorge la Banca Nazionale del Lavoro, con ricorso affidato a quattro motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, il Fallimento. Pure resiste, con distinto atto, la società egiziana.

7.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.

 

Fatti di causa

8.- I motivi di ricorso risultano intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: "violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 1268 e 1269 c.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento all'assunta necessità dell'esistenza del rapporto di valuta per la sussistenza dell'accordo delegatorio".

Secondo motivo: "violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell'art. 1362 c.c. e ss., nonchè violazione di canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. e vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento agli erronei inquadramenti della fattispecie negoziale esaminata nello schema legale del negozio delegatorio e individuazione e interpretazione della comune volontà dei contraenti".

Terzo motivo: "omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento alla pretesa mancata dimostrazione del rapporto di valuta tra delegante-mandante e delegataria-mandataria".

Quarto motivo: "violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell'art. 91 c.p.c., con riferimento alla condanna della delegataria-mandataria B.N.L. alla rifusione delle spese di lite a favore della delegata M.".

9.- Il primo motivo di ricorso si compone di più distinti ordini di censura.

9.1.- La prima di queste assume che la Corte bresciana ha errato nell'interpretare le norme dell'art. 1268 c.c. e ss., posto che sue "motivazioni muovono dal presupposto secondo il quale l'esistenza dei rapporti ("base") di provvista e di valuta costituisce requisito dell'atto delegatorio".

9.2.- La seconda censura si sostanzia nel rilevare che la Corte bresciana ha altresì errato - sempre in punto di lettura del fenomeno delegatorio - nel ritenere l'"assunzione dell'obbligazione (con il relativo impegno nei confronti del delegatario) da parte del delegato" circostanza "necessaria per la sussistenza dell'accordo delegatorio".

9.3.- Diverso il registro della terza censura, che fa sponda sul vizio di omesso esame. Dunque, ad avviso del ricorrente, la Corte bresciana non ha considerato: a) in primo luogo, che la delegata società egiziana ha "dichiarato alla (*) di rifiutare il pagamento a soggetti diversi" dalla BNL, "atteso il tenore dell'ordine irrevocabile", e di nutrire "non pochi dubbi sulla validità ed efficacia delle revoche"; b) in secondo luogo, che nell'atto di citazione avanti al Tribunale di Bergamo, la delegata ha dichiarato di essersi "impegnata a versare sul predetto conto le somme dovute a (*)"; c) in terzo luogo, che la "accettazione da parte della M. consegue, in forma tacita, dai parziali pagamenti da essa eseguiti a favore della mandataria per l'incasso e delegataria BNL".

10.- Il motivo non merita di essere accolto in nessuna delle censure in cui viene ad articolarsi.

11.- La prima censura del ricorrente muove alla Corte bresciana un rimprovero che questa non merita.

E' invero principio acquisito che lo strumento delegatorio può essere utilizzato tanto per estinguere un debito, quanto per costituire un credito, quanto pure per trasferire una somma a titolo di liberalità, come pure per una qualunque altra ragione che non risulti vietata dall'ordinamento vigente. E ciò sia con riferimento al rapporto di provvista - dove per l'appunto si distingue correntemente tra delegazione su debito e delegazione allo scoperto -sia pure con riferimento al

rapporto di valuta. Lo stesso richiamo al temine "pagamento", che compare nella rubrica dell'art. 1269 c.c., risulta all'evidenza frutto di un traslato, cosa peraltro non isolata nel vigente sistema, posta la propensione del nostro codice (e pure di parecchie leggi più recenti) a rendere con il nomen "pagamento" la più ampia nozione di attribuzione patrimoniale effettuata da un soggetto a favore di un altro.

Il fatto è, tuttavia, che la Corte bresciana non ha minimamente messo in discussione tali principi, nè vi ha disobbedito.

Nella specie, il rapporto tra la M. e la (*) (ad assumere la prospettiva della delegazione, il rapporto di provvista) risulta oggettivamente basato su un debito: e ciò sin dai presupposti primi dell'azione promossa dalla società egiziana, che per l'appunto si è senz'altro dichiarata debitrice della (*) per un rapporto di fornitura. Quanto al rapporto di valuta, poi, la Corte bresciana si è spinta sino a indagare circa l'eventualità che, nella specie, i pagamenti compiuti della società egiziana sul conto di quella poi fallita determinassero la nascita di un credito (per deposito) di quest'ultima verso la Banca (cfr. sopra, l'ultimo capoverso del n. 5).

12.- Nell'ipotesi concretamente in esame, del resto, a rilevare sono solo i profili attinenti in thesi al rapporto tra la società egiziana e la Banca, come dunque relativi - sempre a volere assumere la prospettiva delegatoria - al c.d. terzo rapporto delegatorio (nella sua delineazione astratta intercorrente, appunto, tra delegato e delegatario).

Rispetto ai quali profili va osservato che la Corte bresciana si è concentrata sulla verifica dell'eventuale sussistenza di un impegno che fosse stato assunto dalla società egiziana nei diretti confronti della B.N. L.: con riferimento al pagamento non ancora compiuto (e l'unico a venire in interesse, nella presente controversia), in effetti, questo era propriamente il solo tema da decidere.

Quello della delegazione di pagamento rimane, in altri termini, tema comunque estraneo all'oggetto proprio della lite concretamente in essere tra le parti: nel contesto di questa specifica figura, per definizione il delegato non si è obbligato personalmente verso il delegatario (nel senso, si specifica, che l'eventuale assunzione di un obbligo diretto del delegato verso il delegatario comporta il transito della delegazione da so/vendi a promittendi).

Con la conseguenza che la seconda censura mossa dal ricorrente (per cui la Corte bresciana avrebbe negato la possibilità di una delegazione che non sia a promettere) risulta in ogni caso (a prescindere, cioè, da ogni rilievo sull'effettività dell'affermazione appena riportata) inconferente e irrilevante rispetto ai termini della decisione adottata nella sentenza impugnata.

13.- Quanto al preteso vizio di omesso esame di cui alla terza censura, va osservato prima di tutto che - diversamente da quanto assunto dal ricorrente (n. 9.3.a.) - la Corte bresciana ha ben preso in considerazione la dichiarazione della società egiziana di "rifiutare il cambio di modalità di pagamento". Rilevando in proposito come a ciò la società egiziana abbia fatto seguire - appunto "per la propria miglior tutela" - l'avvio dell'azione di accertamento (sopra, n. 4 ultimo capoverso).

In effetti, risponde a un criterio di normale prudenza che il debitore si cauteli di fronte al rischio di effettuare dei pagamenti inefficaci in ragione del destinatario della prestazione (l'evidenziazione di un rischio non può comunque essere considerata come una dichiarazione di taglio confesso rio).

Così pure la Corte bresciana ha preso in esame la dichiarazione della società egiziana di essersi "impegnata a versare sul predetto conto le somme dovute a (*)". Lo stralcio dell'atto di citazione, che il ricorrente riporta (9.3.b.), non aggiunge nulla a quanto contenuto nella comunicazione dalla società trasmessa alla BNL nel gennaio del 2008 (cfr. sopra, nel corso del n. 2).

14.- L'ultima delle rilevazioni addotte dal ricorrente imputa alla Corte bresciana di non avere considerato i pagamenti fatti nel passato dalla società egiziana secondo le modalità concordate nel gennaio 2008: gli stessi per fatti concludenti importano così si dichiara - l'assunzione di un impegno diretto nei confronti della BNL quanto ai pagamenti che sarebbero seguiti nel futuro (n. 9.3.c.).

E' da osservare in proposito che - al di là dell'indiretto e fuggevole cenno che vi dedica la Corte bresciana (l'impegno diretto nei confronti del delegatario dev'essere "specifico" e risultare "con certezza") - il fatto così indicato si manifesta comunque non idoneo a risultare decisivo per l'esito del giudizio, secondo quanto per contro prescrive la norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5.

Un conto è procedere a pagamenti, che siano pur qualificabili come delegatori; un conto diverso è assumere un impegno diretto a pagare nei confronti di un soggetto terzo rispetto al rapporto obbligatorio.

D'altro canto, la Corte bresciana ha pure positivamente riscontrato (con apprezzamento non sindacabile nel merito) che i pagamenti effettuati dalla società egiziana - in quanto consistenti in versamenti sul c/c intestato alla s.r.l. (*) - debbono essere intesi come pagamenti fatti direttamente alla persona propria di quest'ultima (cfr. sopra, n. 4, penultimo capoverso, alla fine).

Manca dunque la stessa possibilità di apprezzare i pagamenti già compiuti come "base" per costruire l'eventuale assunzione di impegno diretto nei confronti della B.N. L. per ulteriori pagamenti. Tali pagamenti risultano in ogni caso inidonei a creare obblighi nei confronti di un terzo, quale appunto la B.N. L. perchè si tratta di pagamenti compiuti direttamente nelle mani del creditore (*): a mezzo di versamenti sul conto a questi intestato e a seguito di un accordo intervenuto tra le parti del rapporto obbligatorio ((*) e M., per l'appunto), come incidente, in definitiva, solamente su modalità accessorie di esecuzione della prestazione pecuniaria (cfr. sopra, nel penultimo capoverso del n. 4).

15.- Il secondo motivo di ricorso assume, in particolare, violazione del canone ermeneutico della "comune intenzione delle parti".

Il ricorrente rileva, in proposito, che, nel contesto della comunicazione indirizzata da (*) alla società egiziana, la prima ha tra l'altro dichiarato di confermare alla Banca "mandato irrevocabile (ai sensi e per gli effetti dell'art. 1723 c.c., comma 2, in quanto conferito anche nell'interesse della stessa)... per l'incasso delle somme medesime". E che la Corte bresciana ha errato nel "non valorizzare" questo passaggio.

16.- Il motivo non può essere accolto.

A fronte dell'estesa e approfondita disamina compiuta della Corte bresciana delle dichiarazioni negoziali e dei comportamenti tenuti dalle varie parti della fattispecie, il ricorrente non indica la ragione per cui la sopra riportata formula assumerebbe peso decisivo in punto di ricostruzione della "comune intenzione delle parti"; e nemmeno perchè dovrebbe potere essere stralciata dal contesto.

D'altra parte, il ricorrente nemmeno illustra, ancor prima, come il conferimento da parte del creditore di un mandato all'incasso a un terzo (con il connesso potere di esigere la prestazione al debitore) possa essere letto, e interpretato, come atto con cui il creditore invita il proprio debitore a impegnarsi direttamente con il terzo: si tratta, invero, di operazioni vettorialmente opposte. Nè, tanto meno, mostra come dalla detta formula (di conferimento di un mandato all'incasso) possa poi ricavarsi un atto del debitore di assunzione di un impegno diretto nei confronti del terzo mandatario.

17.- Il terzo motivo di ricorso assume che la Corte bresciana ha omesso di considerare una serie di fatti decisivi in punto di valutazione dell'esistenza, in fattispecie, di un rapporto di valuta delegatorio corrente tra la (*) e la B.N. L.

18.- Il motivo non può essere accolto.

Si è già sopra rilevato come, rispetto alla fattispecie concretamente in esame e all'oggetto della controversia, risulti comunque decisivo la mancanza di un impegno diretto da parte della società egiziana nei confronti della B.N. L. (cfr. in particolare, il n. 12).

19.- Il quarto motivo di ricorso censura la statuizione della Corte bresciana, laddove questa ha stabilito di condannare la B.N. L., in quanto soccombente, a rifondere le spese di lite nei confronti della M..

Secondo il ricorrente, "è evidente che il fatto causativo del presente giudizio non è certamente riconducibile al contegno della B.N. L., bensì a quello della fallita (*)", dato che tale società venne a "dichiarare di volere revocare il mandato all'incasso conferito alla B.N. L.".

20.- Il motivo non merita di essere accolto.

La controversia in questione non ha infatti riguardato le problematiche relative a un mandato all'incasso, che sia stato conferito dalla s.r.l. (*) alla B.N. L., ma l'eventualità che la società egiziana M. abbia assunto un diretto impegno di pagamento nei confronti della ridetta Banca. Nè può essere dubbio che, rispetto a tale profilo, la Banca sia risultata soccombente.

21.- Le spese inerenti al presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, per ciascuna parte resistente.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell'art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020.