Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21698 - pubb. 23/05/2019

Se il contratto di leasing si è risolto per inadempimento dell'utilizzatore prima del suo fallimento si applica l'art. 1526 c.c.

Cassazione civile, sez. VI, 17 Aprile 2019, n. 10733. Est. Campese.


Leasing – Fallimento – Risoluzione del contratto ante fallimento – Applicazione dell’art. 72quater l.f. – Esclusione



Se il contratto di leasing si è risolto, per inadempimento dell’utilizzatore, prima del suo fallimento, si applica l'art. 1526 c.c. invece che l’art. 72-quater l.fall., poiché questa norma, avente carattere eccezionale, presuppone lo scioglimento del contratto per  volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento.

La necessità di un'esegesi restrittiva della norma fallimentare, dunque, non consente di ritenere superata la distinzione tra leasing finanziario e leasing traslativo, con le differenti conseguenze che da essa derivano nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento. (Pietro Gobio Casali) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Presidente -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

Dott. CAMPESE Eduardo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

Svolgimento del processo

1. La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., dichiarando di agire esclusivamente in nome e per conto della Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring, Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese s.p.a., ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, resistito, con controricorso dalla curatela del fallimento (*) s.r.l., avverso il decreto del 18 ottobre 2016, n. 13036, con cui il Tribunale di Firenze respinse l'opposizione L. fall. ex art. 98 proposta dalla prima contro la sua avvenuta ammissione al passivo della menzionata procedura concorsuale, in chirografo, della minor somma di Euro 471.462,12, (rispetto a quella invocata di Euro 2.706.311,42) "per i canoni di leasing scaduti, riconosciuti nei limiti del differenziale calcolato alla data del fallimento tra il montante dei canoni pagati (canone iniziale e canoni periodici) e l'equo compenso determinati ai sensi dell'art. 1526 c.c., trattandosi di contratto di leasing risolto prima del fallimento per inadempimento dell'utilizzatore, con il riconoscimento al locatore del diritto di ritenzione sugli importi ricevuti in pagamento".

1.1. Quel tribunale, aderendo ai principi resi da Cass. n. 8687 del 2015, ritenne che, nella specie, doveva trovare applicazione la disciplina relativa alla vendita con riservato dominio, di valenza generale rispetto alle norme fallimentari in tema di locazione finanziaria, sicchè non potevano ritenersi superate le conseguenze derivanti, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, dalla distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, nè poteva farsi applicazione del disposto di cui alla L. fall., art. 72-quater, utilizzabile esclusivamente in quelle ipotesi in cui la risoluzione del rapporto contrattuale fosse conseguenza del fallimento dell'utilizzatore.

 

Motivi della decisione

1. Con il formulato motivo, la ricorrente denuncia la "violazione e falsa applicazione della L. fall., artt. 72 e 72-quater, degli artt. 1458 e 1526 c.c., e dell'art. 12 preleggi, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", censurando la decisione del tribunale fiorentino per avere questi ritenuto applicabile, alla concreta vicenda (contratto di leasing risoltosi, per inadempimento dell'utilizzatore, oltre due anni prima della dichiarazione di fallimento di quest'ultimo), la norma generale di cui all'art. 1526 c.c., piuttosto che la L. fall., art. 72-quater.

2. L'odierna doglianza è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1.

2.1. Posto, invero, che, nella specie, è incontroverso che il contratto di leasing intercorso tra la Banca Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring s.p.a. e la (*) s.r.l. in bonis si è risolto, per inadempimento di quest'ultima, oltre due anni prima della dichiarazione del suo fallimento (pronunciata dal Tribunale di Firenze il 18 febbraio 2016), affatto correttamente il decreto impugnato ha ritenuto di fare applicazione della disciplina di cui all'art. 1526 c.c., piuttosto che della L. fall., art. 72-quater.

2.1.1. L'appena citata norma della legge fallimentare, infatti, come ormai ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, senza che le argomentazioni dell'odierno motivo di ricorso offrano elementi nuovi per mutare un siffatto orientamento - suppone che al contratto di locazione finanziaria si applichi, in caso di fallimento dell'utilizzatore, la L. fall., art. 72, disposizione secondo la quale, per i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti, ove, nei confronti di una di esse, sia dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contatto rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal contratto medesimo. Più specificamente, ai sensi della L. fall., art. 72-quater, in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale.

2.2. Questo è, dunque, l'ambito applicativo, pacificamente delineabile, della L. fall., art. 72-quater, in base alla giurisprudenza di questa Corte avente come costante riferimento l'ipotesi dello scioglimento del contratto di leasing per volontà del curatore (cfr. Cass. n. 15975 del 2018; Cass. n. 21213 del 2017; Cass. n. 4862 del 2010), nè sarebbe ammissibile una qualsivoglia applicazione analogica di tale norma attesane la natura eccezionale.

2.3. La Suprema Corte da tempo afferma la necessità di un'esegesi restrittiva della stessa, essendo stato chiarito che l'introduzione nell'ordinamento della L. fall., art. 72-quater, non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento (cfr., ex multis, Cass. n. 30820 del 2018; Cass. n. 15975 del 2018; Cass. n. 21476 del 2017; Cass. n. 20890 del 2017; Cass. n. 2538 del 2016; Cass. n. 8687 del 2015). Pretendere di ricavare dalla legge fallimentare le regole da applicare in caso di risoluzione del contratto di leasing presupporrebbe che la legge non disciplinasse questa fattispecie, mentre così non è, perchè proprio la presenza dell'art. 1526 c.c. (che è norma generale rispetto alla citata L. fall., art. 72-quater) "rende impensabile il ricorso all'analogia, per mancanza del suo primo presupposto, cioè la lacuna nell'ordinamento" (cfr. Cass. n. 19732 del 2011). Pertanto, anche ad ammettere che nell'ordinamento vi sia una lacuna, essa non potrebbe essere colmata con l'applicazione analogica della L. fall., art. 72-quater, norma che non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (art. 1453 c.c.), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore: la norma fallimentare, dunque, è destinata a disciplinare una fattispecie concreta affatto diversa da quella (risoluzione contrattuale ante fallimento dell'utilizzatore, propria della odierna vicenda) disciplinata dalla norma codicistica.

3. Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) - della sussistenza dei presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 20 dicembre 2016).


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019.