Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 966 - pubb. 08/09/2007

Revocatoria, gruppo di imprese e aiuto di stato

Tribunale Bologna, 08 Maggio 2007. Est. Ferro.


Azione revocatoria fallimentare – Gruppo di imprese – Azioni recuperatorie – Rilevanza del gruppo nei rapporti con le singole imprese che lo compongono – Sussistenza.

Amministrazione di grandi imprese in crisi – Azione revocatoria promossa nella fase di liquidazione – Aiuto di stato – Compatibilità con la legislazione europea – Distinzione – Limiti.



Anche nella definizione del contesto processuale delle azioni lato sensu recuperatorie al legislatore non è estranea una considerazione di rilevo, non solo di mero fatto, della nozione assunta dal gruppo. Il che non si tramuta in compartecipazione cognitiva automatica di ogni vicenda del gruppo a livello di analisi del singolo rapporto commerciale e pur tuttavia sembra potersi affermare che la natura giuridica dell’interesse di gruppo perseguito dalla singola impresa-società che ne faccia parte qualifica in modo originale il suo statuto economico-organizzativo, al punto da orientare i criteri con cui esaminare le relazioni dei suoi specifici partners. Non è, quindi, possibile predicare una indistinta indifferenza o neutralità giuridica alle vicende del gruppo da parte di coloro che hanno instaurato relazioni d’impresa con una società dell’aggregato, dovendosi graduare la valutazione di diligenza nel seguire la criticità di quei rapporti alla luce di massime di esperienza connesse alla diversità soggettiva ed alla maggiore o minore strutturalità di tali relazioni. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Non è qualificabile come aiuto di stato l’esercizio di azione revocatoria nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria qualora l’azione venga esercitata nella fase liquidatoria, una volta esaurito il periodo di continuazione dell’attività, al fine di realizzare la par condicio creditorum e ciò pur essendo incompatibile la legge 95/79 con l’assetto normativo vigente in ambito comunitario, atteso che la nozione di aiuto di stato individua un atto in base a cui, senza la necessità di ulteriori misure di attuazione, siano adottabili singole misure di aiuto a favore di imprese, laddove, nel caso di specie, non vi è prova che posteriormente al decreto di apertura della procedura via siano stati altri aiuti di stato né che tale decreto abbia implicato ex se un’alterazione della concorrenza. (Mauro Bernardi) (riproduzione riservata)


 


omissis

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.  Con  atto di citazione notificato a banca *** – Credito Popolare *** spa il 29.7.2000 la società in procedura concorsuale attrice, premesso che:

a)  Con decreto del Min.Industria 5.9.1995, la società veniva assoggettata alla procedura di a.str. ex art.1 d.l. 30.1.1979,n.26 conv. nella l. 3.4.1979,n.95, dopo che il Tribunale di Brindisi, con provvedimento del 20.7.1995, aveva accertato lo stato di insolvenza;

b)  Nell’anno anteriore all’emanazione del citato d.m. e più puntualmente tra il febbraio 1995 ed il successivo luglio 1995 la medesima società effettuava complessivi pagamenti alla convenuta, sul c/c 1601/53 intrattenuto con il Credito Popolare *** presso la sede di Brindisi, mediante giroconto dal c/c ordinario (n. 710/63) al citato conto (che fungeva da contesto in cui appostare gli anticipi, oggetto di fido di Lit 1 miliardo); le operazioni erano incassi percepiti, regolati ad estinzione dei finanziamenti in precedenza concessi al correntista, registrati  come <accensioni> sul conto anticipi su fatture;  la revocabilità delle rimesse così transitate si correla alla funzione estintiva che esse rivestono del debito che il correntista assume, con obbligo di restituzione appena e nella misura in cui vi sia il finanziamento stesso; la natura solutoria del giroconto deriva dunque dall’efficacia estintiva che le somme, girate dal conto valutario a quello anticipi, acquisiscono; le operazioni di giroconto, effettuate il 28.2.1995, il 9.3.1995, il 4.4.1995, il 27.6.1995 ed infine il 11.7.1995 ascendono così a pagamenti per Lit 413.260.000;

2.  chiedeva dichiararsi l’inefficacia di tali atti solutori, poiché già all’epoca la Leucci Industriale spa  -  collegata alla holding Filippo Fochi spa per il tramite di F.Fochi energia srl - non era più in grado di assolvere con regolarità alle proprie obbligazioni e tale stato era conosciuto dalla convenuta; molteplici elementi di fatto, di evidenza esteriore e generale, fondavano tale congettura, articolata su un significato spiccatamente presuntivo ascrivibile a più fattori: la più generale crisi del gruppo Fochi, investito – al pari della capogruppo e dalla seconda metà del 1993 - da molteplici decreti ingiuntivi (taluni anche a carico dell’attrice, a cavallo delle forniture e dei pagamenti); il peggioramento dei dati di bilancio dell’esercizio 1993 della capogruppo e del gruppo; la flessione della quotazione del titolo di borsa; la venuta meno del sostegno di capitale dei principali soci forti ed istituzionali (Mediobanca, Sasib e Unicem); il risalto giornalistico della crisi del gruppo almeno dal maggio 1994.

3.  parte convenuta, già nel costituirsi il 19.12.2000 e poi con più compiuto sviluppo argomentativo in prosieguo,  ha sollevato la cd. pregiudiziale di contrasto con il Trattato CE, eccezione di complessiva incompatibilità del regime di aiuti di Stato alle imprese in amm. str.; in particolare il dubbio di conformità con gli artt.92-93 Tratt.CE  concernerebbe - nella sollecitazione offerta al Giudice - la disciplina concorsuale speciale nel suo complesso, sotto il profilo della contrarietà al Trattato delle provvidenze ivi previste; invero l’eccezione si allargava anche alla stessa compatibilità dell’azione revocatoria fallimentare in sé con la procedura di amministrazione straordinaria; nel merito, e come da tesi di cui alla comparsa di costituzione, comunque la domanda sarebbe infondata: mancherebbe ogni prova della conoscenza dello stato di insolvenza, non pianamente desumibile dal quadro giudiziario ed informativo tratteggiato - discendente dalla crisi del gruppo Fochi – ovvero dalla situazione borsistica o di bilancio o di interesse informativo finanziario; anche le operazioni in sé sfuggirebbero ad ogni qualificabilità come rimesse di pagamento,data la loro natura di mere scritture di evidenza non in grado di alterare la disponibilità del fido (in realtà di 1,5 miliardi) concessa; lo stesso calcolo dei giroconti, allestito non sul saldo disponibile, conduceva ad ulteriore erroneità delle richieste.                 

4.  Precisate le conclusioni all’udienza 1.2.2007, così come riportate in epigrafe, acquisite le difese scritte finali e, successivamente, il fascicolo, la causa era conseguentemente trattenuta in decisione, sulla base di istruttoria meramente documentale, dopo la decisione del g.i. di non dar corso all’istruttoria orale (v.ordinanza 16.1.2003)  e la riassunzione verso l’attuale convenuta, a seguito di interruzione del processo a causa di fusione per incorporazione in essa dell’originaria banca.

MOTIVAZIONE

Il Tribunale ritiene la domanda fondata.

1.              Quanto alla appartenenza di Leucci al gruppo Fochi: il prevalente e più aggiornato orientamento di legittimità riconosce che, nel caso di società appartenenti ad uno stesso gruppo, la “vis attractiva”, prevista dall’art.6 comma 1 del D.L. 30 gennaio 1979 n.26, convertito in Legge 3 aprile 1979 n.95, debba intendersi a favore del Tribunale che ha emesso la dichiarazione d’insolvenza della prima società del gruppo insolvente e non nei confronti della società che agisce in causa (Cass. 6.08.98 n.7704, Cass. 15.06.94 n.5812). La condivisile ratio è quella di favorire la concentrazione, nel medesimo foro, di tutti gli episodi giurisdizionali che si innestano sul tronco del procedimento amministrativo di straordinaria amministrazione. Leucci Industriale spa è società del c.d. “Gruppo Fochi”, con  una holding che guidava circa  cento società, con capogruppo Filippo Fochi S.p.A., nel maggio del 1993 quotata in borsa. Il Tribunale di Bologna, per primo, in data 23.06.95 ha dichiarato lo stato di insolvenza di una società appartenente al “Gruppo Fochi”, la Filippo Fochi Energia S.p.A. (controllante al 100% la stessa  Leucci Industriale spa) con successivo assoggettamento alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del Ministero del Tesoro del 23.06.95, facendo sì che tutte le controversie giudiziali derivanti dall’insolvenza delle altre società appartenenti al medesimo gruppo fossero concentrate presso questo stesso  Tribunale. Tale osservazione, pur non derivante da una specifica eccezione di parte relativa alla incompetenza, evidenzia che anche nella definizione del contesto processuale delle azioni lato sensu recuperatorie al legislatore non è estranea una considerazione di rilevo, non solo di mero fatto, della nozione assunta dal gruppo. Il che non si tramuta in compartecipazione cognitiva automatica di ogni vicenda del gruppo a livello di analisi del singolo rapporto commerciale e pur tuttavia sembra potersi affermare che la natura giuridica dell’interesse di gruppo mediatamente perseguito dalla singola impresa-società che ne faccia parte qualifica in modo originale il suo statuto economico-organizzativo, al punto da  orientare i criteri con cui esaminare le relazioni dei suoi specifici partners.Nel senso che non è possibile predicare una indistinta indifferenza o neutralità giuridica alle vicende del gruppo da parte di coloro che  hanno instaurato relazioni d’impresa con una società dell’aggregato, dovendosi graduare la valutazione di diligenza nel seguire la criticità  di quei rapporti alla luce di massime di esperienza connesse alla diversità soggettiva ed alla maggiore o minore strutturalità di tali relazioni. Dagli atti di causa non è seriamente contestato che la banca convenuta fosse pienamente a conoscenza dell’appartenenza di Leucci al gruppo Fochi.

2.              quanto all’inammissibilità dell’azione siccome svolta dal commissario:  l’eccezione, avanzata in comparsa di risposta, non ha alcun pregio giuridico, essendo pacifico che i commissari straordinari (ora liquidatori) delle procedure concorsuali che, per rinvio diretto tramite le norme della l.c.a. alle disposizioni sulla sezione III del capo  III del titolo II del r.d. 267/1942 (dall’art.203 l.f.), operano come <<organi>> hanno il medesimo  diritto potestativo dei curatori fallimentari, essendo sul punto il precedente di legittimità citato (Cass. 7994/96) del tutto inconferente;

3.              Quanto alla cd. pregiudiziale comunitaria ed alla compatibilità dell’azione con la fase liquidatoria. Si osserva in via ulteriore  che la principale eccezione svolta  dalla  convenuta – al di là della corretta collocazione al di fuori delle mere eccezioni processuali in senso stretto - è superata per la puntuale enunciazione della fase liquidatoria in cui da tempo la società in procedura concorsuale versava al momento dell’attivazione dell’azione. Il punto va chiarito: la prima eccezione di parte convenuta  concerne solo la pretesa incompatibilità dell’azione revocatoria in capo agli organi della cd. Prodi  se manchi una effettiva fase liquidatoria, dunque di esaurimento dei fini di ristrutturazione della procedura concorsuale riorganizzativa; in sede di memoria ex art.184 c.p.c. (del 29.7.2002) e poi comparsa conclusionale l’eccezione diviene più compiuta, mediante esplicita invocazione del contrasto comunitario; nella medesima fase processuale parte attrice, a sua volta, chiarisce che la società Leucci era inattiva e che la disposta continuazione dell’esercizio dell’impresa, in una con l’ammissione alla procedura concorsuale, non venne prorogata, dopo il biennio decorrente dal decreto ministeriale 5.9.1997, da cui occorre condivisibilmente fare discendere – anche in via di presunzione - la fase della liquidazione (cioè della riduzione dei rapporti a mera provvista in funzione del riparto ai creditori, quale unica vocazione gestoria della stessa impresa amministrata da organi concorsuali), avendo sul punto l’attore assolto in modo sufficiente alla propria prova, originata dall’eccezione della convenuta, né essendo in alcun modo necessario un atto specifico di avvio di una fase che naturalmente consegue alla cessazione, per spirare del termine (come nella fattispecie) o cessazione (rectius: revoca, come per altre società del gruppo Fochi) della continuazione dell’esercizio; è in altri termini la banca stessa a dover provare che, all’esito del biennio ed in contrasto con la portata temporale circoscritta del decreto autorizzatorio, vi sia stata da parte di Leucci una continuità aziendale  tale da rendere contrastante la domanda di revocatoria con la finalità conservativa della procedura di a.str.;

4.              ritiene questo Giudice che proprio la configurazione impressa alla eccezione di pregiudiziale comunitaria quale solo progressivamente  definita ed introdotta nel processo da MPS spa quale eccezione (tra l’altro sollevabile anche d’ufficio) conferisca un quadro di ammissibilità delle modalità difensive reciprocamente selezionate; la tesi della pregiudiziale comunitaria, come è noto, mira a stabilire l’estraneità dell’intera procedura di amm.str. vecchia legge Prodi ai divieti di cui agli artt. (precedenti) 92-93 Tratt.EU, essendo essa, per il regime degli aiuti strutturalmente previsti, in frontale contrasto con il divieto posto agli stessi dalla normativa comunitaria; parte attrice ha menzionato la procedura di richiesta-concessione di una (singola) misura agevolativa intesa quale aiuto di Stato, ai sensi  dell’allora art.92 (poi 87) del Trattato CE e si è limitata a richiamare l’avvio, antecedente all’esperimento dell’azione, della fase liquidatoria. Nè la convenuta ha situato alcun livello critico nella regolazione in fatto degli aiuti. Se ne deve peraltro parlare perché la menzionata eccezione si correla proprio a tale nozione.

5.    La “novità” dell’aiuto, ormai con riguardo all’intero impianto della legge 95/1979, è stata dichiarata a proposito del complessivo regime (di incompatibilità) della procedura di amministrazione straordinaria: così la Commissione CE il 16 maggio 2000 ha statuito  che la citata legge introduce un regime di aiuti di Stato, in favore delle imprese in causa, illegittimamente posto in essere dall’Italia in violazione degli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art.88,par.3 Trattato [] regime incompatibile con il mercato comune e che peraltro non vi è motivo di ingiungere all’Italia di procedere al recupero presso le imprese beneficiarie degli aiuti concessi. Di conseguenza anche la difesa finale att. invoca comunque – e del tutto correttamente - la più generale disciplina attinente al regime delle revocatorie fallimentari quale esclusivamente poggiante sulla sussistenza di un accertato stato di insolvenza. Sia l’azione proposta che il suo presupposto, esistenti, impedirebbero un travolgimento dell’iniziativa processuale assunta dagli organi della procedura di amm.str. Entrambe le asserzioni sono corrette. Pur dovendosi premettere che la disamina del profilo di compatibilità della l. 95/1979 ovvero del regime degli aiuti ivi previsti è, nella presente fattispecie, marcatamente circoscritta ad una selettività d’origine delle contestazioni, questo Giudice ritiene di ancorare il proprio convincimento, nella vicenda in esame, ad alcuni tratti salienti già espressi dalla giurisprudenza di questo Tribunale (Trib.Bologna, n.162/2001,22.1.2001,Filippo Fochi spa c. Centrobanca Banca Centrale di credito popolare) e della corte d’Appello di Bologna (n.829/2003). Dunque, non è contestato che la sottoposizione della società Leucci Industriale spa alla procedura di a.str. (richiamante requisiti dimensionali il cui accertamento implica la devoluzione della gestione della crisi all’autorità amministrativa con compiti di tutela giurisdizionale eventuale assegnati al giudice ordinario e finalità di gestione conservativa iniziale preminente rispetto a quella satisfattiva dei creditori) si fonda sul previo riscontro giudiziale del suo stato di insolvenza, cioè sul medesimo presupposto oggettivo alla cui stregua (ex artt.5 e 195 l.f. richiamati dall’art.1 co.5 l.3.4.1979,n.95) le imprese commerciali ordinarie nel nostro ordinamento entrano nell’ordinaria procedura di fallimento (o di liquidazione coatta amministrativa). La questione, tematicamente dibattuta nella dec.Comm.CE 16.5.2000, consente invero di isolare il rinvio della l.95/79 per vari aspetti alla legge italiana sul fallimento e, laddove prevede l’applicazione in condizioni non derogatorie ai meccanismi di quest’ultima, tali meccanismi e procedure si configurano come misure generali prive di qualsiasi carattere selettivo (VI, § 50).Ciò di per sé sembra escludere la rilevanza della dedotta eccezione di contrasto alla disciplina comunitaria.

6.    In ogni caso, la questione del recupero degli aiuti, pur esplicitamente affrontata dalla Commissione CE il 16.5.2000, non pare estrinsecare alcuna influenza sulla presente controversia: così come statuito nei precedenti cit., il cenno ad essi permette di censirne – per una particolare e singola vicenda, cioè quale “aiuto individuale” contrapposto a “regime di aiuti” - l’avvenuta notifica, l’attuazione come garanzia di Stato ex art.2bis l.95/79, l’autorizzazione comunitaria. Più in generale non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità logico-processuale tra la sorte di essi (in entrambe le sottospecie) e l’esplicitazione dell’azione revocatoria. Invero Comm.CE 16.5.2000 ha da un lato disposto la non necessità del recupero dell’aiuto in forza del principio del legittimo affidamento; dall’altro manca la prova o anche solo la allegazione di un qualunque nesso tra l’esercizio di una attività processuale volta al ripristino di un’integrità patrimoniale vulnerata da atti dispositivi compiuti dall’impresa insolvente nel periodo sospetto e l’inerenza di tale azione ovvero anche la programmazione dei suoi possibili risultati nell’ambito delle condizioni concorrenziali nel frattempo alterate in presenza dell’aiuto concesso. Se dunque, secondo un’operazione ricostruttiva cui è chiamato il giudice nazionale, si dovesse determinare che il quadro di intangibilità dell’aiuto è in realtà posto a tutela dei terzi (creditori, contraenti) mancherebbe del tutto la possibilità di circoscrivere, secondo uno scrimen oggettivo, l’esplicita salvezza delle aspettative di essi (dec.cit. VII, § 72-73) rispetto ad un supposto limite istituzionale gravante sui commissari, meri protagonisti di azioni giudiziali di recupero di utilità patrimoniali genericamente destinate al pagamento dei creditori concorsuali. D’altra parte l’esercizio dell’azione revocatoria al di fuori, perché esaurito, del periodo di continuazione dell’attività e dunque nella fase liquidatoria in senso stretto (v.la tipizzazione in Cass. 27.12.1996,n.11519), giustifica ex se l’esclusione della sua possibile qualificazione come aiuto di Stato, poiché non viene alterata la concorrenza bensì tutelata attivamente la par condicio creditorum (Trib. Torino 5 marzo 2001 e Cass. 18915/04). Ogni diversa prova è, nella presente vicenda, del tutto assente, né anche solo prospettata dalla convenuta e, perciò, resta consegnata ad un quadro critico meramente ipotetico.

7.              Possono peraltro ulteriormente enunciarsi, in ragione della sollecitazione critica mossa dalla convenuta e nella misura del suo rilievo d’ufficio  ed avendo riguardo alle acquisizioni giurisprudenziali “conservative” degli effetti dell’azione nel frattempo conseguenti alle iniziative dei commissari (così Trib.Bologna 22.1.2001), taluni punti argomentativi di resistenza della l.Prodi, sia pur ancora e solo per la presente vicenda; è vero che l’art.106 del d.lgs 8 luglio 1999,n.270, nel dettare il (primo) regime transitorio rispetto alla nuova procedura di amm.str. (contestualmente abrogante la precedente legge), disciplinò la sopravvivenza delle vecchie procedure secondo le disposizioni anteriormente vigenti e dunque, come notato in giur. mer. (Trib.Trieste 14 gennaio 2002 in critica alla nuova remissione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art.234 co.1 lett.a) per la questione interpretativa dello stesso regime transitorio, se aiuto di Stato nuovo e se rientrante nel campo di operatività del divieto dell’art.87 Tratt.CE, posta da Trib.Catania 16 luglio 2001), sussiste in apparenza un concorso tra un assetto normativo vigente (l’intera l. 95/79 per le crisi già accertate e così disciplinate) e la sua qualificazione acquisita di incompatibilità (da ultimo la dec.Commissione CE 16.5.2000). La disapplicazione dell’intera normativa, cui infatti erano pervenuti più giudici (Trib.Genova 15.11.1999, ancora Trib. Trieste 2 maggio 2001), sarebbe soluzione obbligata non potendosi isolare da essa, e dunque farne applicazione analogica, la dichiarazione dello stato di insolvenza dalle attività degli organi nominati avendo tale situazione oggettiva a mero presupposto. Il rilievo, diffusamente esposto, sembra tuttavia superabile. Va ricordato che l’illegittimità del regime degli aiuti era stata posta, con chiarezza, dalla seconda delle sentenze della Corte di Giustizia (caso Piaggio,  17.6.1999), che seguiva una parzialmente identica sentenza 1 dicembre 1998 (caso Altiforni Ferriere Servola); tale premessa individua la gerarchia interpretativa cui è tenuto il giudice nazionale, essendo la Corte (più che la Commissione) l’organo istituzionalmente deputato a fornire l’interpretazione vincolante della legge comunitaria. Nella citata pronuncia, a sua volta ed in parte alla base anche della motivazione di Trib.Bologna 22.11.2001, si statuisce che 2)l’applicazione ad un’impresa di un regime come quello istituito dalla legge italiana 3 aprile 1979,n.95, e  derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento dà luogo alla concessione di un aiuto di Stato, ai sensi dell’art.92,n.1, del Trattato [ora 87], allorchè è dimostrato che questa impresa – è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa nell’ambito dell’applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o – ha beneficiato  di uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un’aliquota d’imposta ridotta, un’esenzione dall’obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un’altra impresa insolvente nell’ambito dell’applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. 3) Qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n.95/79 è idoneo, di per sé, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell’art.92,n.1 del Trattato, il detto regime non può essere attuato se non è stato notificato alla Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che riconosca la compatibilità del progetto di aiuto con il mercato comune. La nozione di regime di aiuto di Stato (v. altresì art.1, lett.d), regolamento CE 659/99) individua un atto in base a cui, senza la necessità di ulteriori misure di attuazione, siano adottabili singole misure di aiuto a favore di imprese anche definite nell’atto in linea generale ed astratta. Nella vicenda di causa e dunque circoscrivendo il riscontro di tali aiuti di Stato  (peraltro beneficiato in modo diretto da altre società del gruppo Fochi, con esclusione di Leucci, v. memoria att.20.9.2002) a quanto emerso si ha che: pur non essendo a suo tempo la legge 95/1979 stata oggetto di previa notifica quale aiuto in sé, non v’è prova che posteriormente al singolo decreto di apertura della procedura vi siano stati altri aiuti di Stato non notificati; non vi è prova, inoltre, che il singolo decreto di apertura abbia implicato ex se un’alterazione  della concorrenza secondo i presupposti dell’art.87 co.1 Tratt.CE, poiché sia la continuazione dell’attività economica sia la fruizione degli altri vantaggi menzionati da Corte Giust.17.6.1999 debbono riferirsi ad una specifica e storica applicazione, che va dimostrata nel caso concreto nella sua relazione critica rispetto ad un regime applicato ad un concorrente insolvente (e dichiarato fallito, cioè sottoposto alla procedura ordinaria), come invece non avvenuto nel presente giudizio. La stessa Commissione CE, nella dec.16.5.2000, distinguendo tra applicazione  [della legge fallimentare] in condizioni non derogatorie ai meccanismi [che così] si configurano come misure generali prive di qualsiasi carattere selettivo rispetto ad applicazioni particolari, che comportano la concessione di taluni vantaggi specifici e che implicano risorse pubbliche, a favore di beneficiari individuabili  […] in simili casi dunque configurando un regime di aiuto di Stato ai sensi dell’art.98,par.1 del trattato CE di fatto permette, accanto all’intangibilità – almeno tendenziale e nei limiti sopra visti - del sistema delle revocatorie (come riconosciuto nel primo precedente di questo ufficio giudiziario), altresì la reiterazione della cd. verifica in concreto, nonostante la sopravvenuta qualificazione della stessa legge Prodi quale aiuto di Stato nuovo e non esistente e la incidentale espunzione di tale criterio discretivo. A tale approdo sembra potersi pervenire in diretta applicazione della pronuncia Corte di Giustizia 17 giugno 1999 emessa sul presupposto della accertata non notifica alla Commissione della legge n.95/1979 e dunque della doverosità di una disamina circa la dimostrazione che le deroghe ivi individuate rispetto al trattamento comune dell’insolvente siano state attuate – per l’impresa in a.str. - in presenza di condizioni programmaticamente non considerate o precluse alle imprese insolventi ordinarie. Tale dimostrazione, allo stato, non è stata né acquisita agli atti, né è divenuta oggetto di una sollecitazione istruttoria rivolta al giudice, così da condizionare la declinazione officiosa dell’eccezione stessa, pur prevista. Di fatto essa si è risolta in un limite di prova (cfr.Cass. 11 settembre 1999,n.9681). D’altronde, a prescindere dalla durata della continuazione dell’attività e menzionata la non implausibile relazione di vicinanza con l’esercizio provvisorio ex art.90 l.f. (nella cui nozione di danno grave ed irreparabile – vigente dal 1942 e mai censurata - si rivela una possibile protezione conservativa dell’integralità aziendale, ancor meno astrattamente prossima all’interesse dei creditori invece nell’art.2 co.1 l.95/1979, ove tale criterio soccorre quale integrativo benché non unico), gli altri vantaggi pur sempre attengono ad una fase propria della liquidazione che solo in una prospettiva di funzionalità al risanamento (e non dunque meramente progressiva verso la dismissione totale dell’attività)  esige il raffronto con comportamenti che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza (art.87 co.1 Tratt.CE).

8.              In ogni caso la cennata parziale non corrispondenza di indicazioni interpretative, quali provenienti dalla Commissione CE e la Corte di Giustizia, permette di inquadrare la resistenza dell’azione revocatoria fallimentare, ad opera dei commissari dell’a.str. ex l.95/79, ancora quale traduzione mediata ed istituzionale dei compiti di organi che, perseguendo con tali iniziative recuperatorie l’attivo oggetto di dispersione patrimoniale, danno corso ai procedimenti previsti da una legge che la stessa Commissione CE il 16.5.2000 e nel suo complesso qualifica come aiuto di Stato ma per la quale, ancora globalmente, esclude l’imposizione allo Stato italiano di un recupero degli aiuti concessi. Se, come si legge, nessuna delle deroghe previste all’art.87 del trattato permette di considerare che il regime in questione è compatibile con il mercato comune ed è quindi applicabile il divieto di cui al paragrafo 1 del medesimo articolo (§68) e se l’implicazione di risorse di Stato (§ 57) ha riguardo ai diversi vantaggi derivanti dalla legge n.95/79 [che] costituiscono un regime di aiuto (§58), la loro ricomprensione unitaria nella nozione di aiuto illegale (§70) e ciononostante l’applicazione del principio della tutela del legittimo affidamento che va analizzato in relazione allo Stato membro dispensatore del regime e destinatario della decisione oltre che delle imprese che hanno beneficiato dell’applicazione del regime succitato può implicare che: né la complessiva attribuzione, ex lege e a prescindere dalla concreta elargizione di esenzione/vantaggio, alle imprese in a.str. costringe esse a qualsivoglia attività lato sensu ripristinatoria, cioè di restituzione allo Stato erogatore delle risorse pubbliche risparmiate ed invece in condizioni soggettive e di insolvenza ordinarie dovute; né, parimenti, anche lo Stato italiano sembrerebbe tenuto, nell’attuare il recupero dell’aiuto, a neutralizzare gli effetti distorsivi sulla concorrenza attuati mediante il mantenimento della legge Prodi in sé. La Commissione, nella dec. 16 maggio 2000, ha preso atto dell’abrogazione della l. 95/1979 ma anche della tendenziale assorbibilità dei suoi effetti di sistema ove collegati ad un’altalenante qualificazione di essa prima come aiuto esistente e solo poi come nuovo; ciò è avvenuto senza che l’inizio dell’ultimo procedimento possa fungere da spartiacque temporale per una diversa ricostruzione delle a.str. nel frattempo dichiarate aperte (e da ultimo convertite in l.c.a. ex art.7 co.3 l.12.12.2002, n.273). Tale diversa ricostruzione parimenti convince dell’infondatezza della pregiudiziale sollevata.

9.              In ogni caso, e da ultimo, va sottolineato che nella presente vicenda è pacifico che anche questa azione revocatoria è stata esperita allorché la fase conservativa appariva esaurita, in quanto ad essa succeduta in concreto una puntuale fase (o procedura) liquidatoria; se la constatazione ha sinora preservato da dubbi di contrasto comunitario queste  azioni recuperatorie (riferite ad una assorbente finalità ripartitoria dell’attivo fra i creditori più che ad una conservazione dell’impresa), la tesi contraria soffre ora di un ulteriore vulnus (che appunto allarga l’area della compatibilità), quale posto dall’art. 6 del d.l. 347/2003 che, all’interno di una tipica procedura ristrutturativa (l’amministrazione straordinaria speciale ivi inaugurata), egualmente prevede l’esercizio delle azioni revocatorie; nonostante la maggiore delimitazione del campo in sede di conversione (la l. 39/2004 ha precisato che esse vanno esperite nell’interesse dei creditori, la l. 166/2004, di conv. del secondo d.l. 3.5.04,n.119, esige il vantaggio per i creditori) e al di là della disputabilità circa il loro promuovimento anche prima del programma redatto dal comm.str. ed approvato dal ministro, sussiste ora la possibilità di costruire una eventuale nuova relazione di compatibilità anche con la continuità d’impresa, riconosciuti i suoi tratti sia nella conduzione da parte del comm. str. e non più dell’imprenditore (art.3) sia nella potenziale capacità ablatoria del programma stesso rispetto al capitale di comando; dunque anche tale istituto valorizza la coerenza proprio delle azioni revocatorie con il regime concorrenziale in cui opera l’impresa in amm.str., nel presupposto che il programma di ristrutturazione escluda dal proprio orizzonte non il ritorno in bonis dell’impresa (che è invece il fine principale della procedura) ma l’utilizzo da parte dello stesso imprenditore, in una prospettiva di risanamento/ristrutturazione/reorganization, dei mezzi finanziari acquisiti con le revocatorie, invariabilmente destinati ai creditori sia in modo diretto (acconti e riparti o la soddisfazione nel piano) che indiretto (di qui le operazioni sul capitale apparentemente nella disponibilità del comm.str.); se dunque tali azioni sono ricomprese nel piano o altrimenti coerenti al citato interesse dei creditori o procurino ad essi un vantaggio, ciò sembra realizzare una possibile lettura di compatibilità comunitaria (oltre che di coerenza costituzionale ribadita di recente due volte da Corte cost. 172/2006 e 409/2006).

10.          Tali considerazioni non sono in alcun contrasto con la portata precettiva del d.l. 14.3.2005,n.35 che, pur nella sua valenza fortemente attenuativa del sistema concorsuale, trova applicazione solo quanto alle azioni promosse nell’ambito di procedure aperte dal 17.3.2005. In ogni caso non esiste alcuna pertinenza nemmeno quanto all’inquadramento del periodo sospetto che, per l’azione in esame, non rinviene collegamenti di sorta  con le diminuzioni consistentemente introdotte con la cennata riforma (completata dal d.lgs. 5/06) che, tra l’altro, ridimensionando l’istituto, non ne ha tuttavia  toccato il nucleo di razionalità economica, non avendosi nemmeno nel nuovo regime azioni ispirate alla funzione indennitaria.

11.          Quanto al presupposto oggettivo dell’azione revocatoria: è pacifico che i pagamenti eseguiti dalla società poi ammessa all’a.str. sono avvenuti in epoca del tutto interna al periodo legale sospetto di cui all’art.67 co.2 l.f. (entro l’anno dalla apertura della procedura, disposta il 5.9.1995 e comunque entro l’anno dalla dichiarazione giudiziale di insolvenza, emessa il 20.7.1995);

12.          circa la natura solutoria degli accrediti sul conto anticipi: è pacifico che gli incassi ottenuti dalla società attrice venivano girocontati dal c/c ordinario (710/63) ad un conto anticipi, con ciò procurando l’estinzione  dei finanziamenti in precedenza concessi al medesimo correntista, già oggetto di cd. accensione sul c/anticipi su  fatture; al correntista, non dissimilmente da una prassi bancaria e commerciale diffusa, non è stata giuridicamente assicurata alcuna messa a disposizione di provvista secondo lo schema dell’apertura di credito, non potendo la regolazione in conto corrente delle operazioni essere assimilata a quella situazione contrattuale tipica e formalizzata in forza della quale il correntista ha il diritto di procedere a prelievi (utilizzando un credito della banca) a prescindere dal consenso di quest’ultima che infatti si vincola, per un dato periodo di tempo o a  tempo determinato a permettere tale utilizzo (ex art.1842 c.c.); né gli elementi scritti recati al processo giustificano di superare – mediante prove orali - la regola di inefficacia puntualmente e costantemente invocata dagli organi di a.str. che, ascrivendo alla loro collocazione istituzionale la qualità processuale derivata della cd. terzietà, contestano l’opponibilità a sè del significato di quelle scritture (Cass. 6031/94; Cass. 12947/92) e non permettono – in ragione della forma prescritta dal tulb ai contratti bancari - l’accesso all’istruttoria orale richiesta dalla convenuta (Cass. 970/98); l’affidamento per castelletto ed ogni altro con denominazione omnicomprensiva in cui la banca affidi un conto o comunichi l’esistenza di un fido a favore del correntista non equivalgono né a provare né a permettere un’articolazione istruttoria più matura che ascenda alla ricostruzione di un contratto tipico che non sia già sorto con quei tratti; ciò implica che le affluenze sul conto anticipi degli incassi non ricostituiscono alcuna provvista disponibile per equivalente importo ma disciplinano, sotto il controllo e la discrezionale possibilità per la banca di interrompere in qualsiasi momento ulteriori movimenti, una riduzione del credito della banca verso il cliente, cioè procurano un effetto estintivo all’esposizione debitoria del cliente, non confondibile con la dialettica delle rimesse interne ad un conto coperto da apertura di credito;

13.          va  infine sottolineato che, indimostrata la sussistenza di un conto assistito da formale ed efficace apertura  di credito, proprio la data di valuta (per quasi tutte corrispondente alla data di contabilizzazione) delle riappostazioni nel conto anticipi degli incassi ricevuti da clienti della società appare la data più corretta per indicare quali siano i pagamenti oggetti di revocatoria;

14.          Quanto al presupposto soggettivo: la prova cognitiva di cui all’art.67 co.2 l.f., convincentemente raggiunta, consegue da una riordinazione sequenziale dei molti fattori indiziari introdotti dall’attore; e in tale operazione appare logica una giustapposizione di quelli propri del singolo contesto della relazione commerciale in cui i  pagamenti si situano all’ambito della rilevanza della situazione finanziaria del gruppo e della sua progressiva dibattuta e resocontata crisi negli anni 1993-1995; la stessa convenuta – innanzitutto - non ha smentito che le appostazioni (sul conto 1601/53) a obbiettivo  deconto dell’esposizione debitoria di Leucci risalivano ad un’epoca prossima alla prima dichiarazione di insolvenza da cui scaturì la sottoposizione del gruppo all’a.str. e soprattutto alla vicenda relativa a F.Fochi Energia srl per la quale già il 23.6.1995 il Ministro dell’Industria aveva decretato l’a.str.; addirittura due operazioni (del 27.6. e del 11.7 del 1995) sono state  effettuate dopo tale atto ministeriale, a sua volta successivo alla dichiarazione di insolvenza del Tribunale concorsuale competente relativo alla F.Fochi Energia, cioè la  società controllante Leucci; parimenti l’analisi Crediop-Efibanca (doc.86 att.) illustra come nelle rendicontazioni e nei documenti contabili a commento della situazione del gruppo Fochi anche la situazione finanziaria di Leucci trovava espressa menzione, come nel cit. doc. che esplicitamente dava conto di una diminuzione, per tale società, della produzione e di una perdita operativa, con rilevante     perdita di esercizio (9,6 mld); il collegamento diretto alla crisi finanziaria della capogruppo e delle maggiori società direttamente collegate era poi osservato da specifiche pubblicazioni periodiche (v.Milano Finzana 14.1995 e 28.3.1995, doc. att. 183,184-185); tali precisazioni si completano dando atto che dall’istruttoria documentale è emersa la natura non occasionale del rapporto di finanziamento della banca alla società Leucci e, come già detto, la piena conoscenza della banca stessa dell’appartenenza di Leucci al grupoo Fochi; la peculiare attrezzatura amministrativa del soggetto bancario,tenuto ad una diligenza  correlata alla professionalità con cui amministra il credito e ne costruisce il monitoraggio esecutivo in ragione di una speciale cura di contatto con il cliente, permette dunque di dare conto di tutte le notizie, travalicanti  la mera consapevolezza dell’imprenditore in crisi ed intercettate dai vari sensori informativi del mercato finanziario, senza che i cd. sintomi esterni dell’insolvenza debbano di per sé assumere i tratti più comuni della crisi dell’imprenditore (esecuzioni, protesti, che pure arrivarono anche per Leucci a luglio 1995); ancora nel rapporto commerciale singolo si osserva (doc.186) che l’allora Credito popolare *** scarl comunicava a Leucci il 20.4.1995 che non era in grado di dare corso a bonifici, riconoscendo che il <<conto corrente risulta avere un utilizzo fuori fido>>; nel 1993 Leucci aveva subito un crollo della produzione da 43.235 mil Lit (1992) a  33.211 mil Lit, con un indebitamento assai elevato (Lit 6.565.310.540) proprio verso la Filippo Fochi spa, a sua volta in crisi finanziaria (v. doc.2 att.); l’indebitamento bancario di Leucci era tra i maggiori delle società del gruppo Fochi, pari a 30.839 mil Lit, secondo solo a quello delle due controllanti, con un utilizzo spesso di sconfinamento delle linee di credito (v. docc. 45-85 att.); tali elementi attestano un preoccupato e consapevole  controllo del credito, in un ambito di sensibilità informativa e pratiche di rientro del tutto coerenti con un puntuale allarme sulla situazione debitoria;

15.          Tale contesto, proprio degli atti, si salda peraltro ad una situazione di crisi della società solvens e del gruppo Fochi desumibili da un quadro indiziario di convergente univocità e gravità, di per sé idoneo a fondare il convincimento della conoscenza dello stato di insolvenza: così i decreti ingiuntivi  sin dalla fine del 1993, l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni immobili della capogruppo nel giugno 1994, la relazione negativa alla relazione semestrale del 1994 della società di certificazione Price Waterhouse, i protesti nel corso del 1995, a carico della Filippo Fochi spa e delle altre società del gruppo; la pubblicizzazione delle sofferenze bancarie,  con criticità degli affidamenti e richieste di rientro; le dismissioni dal capitale di soci istituzionali (Mediobanca, Sasib,Unicem); le notizie di stampa ed il risalto delle stesse con riguardo alla complessiva crisi dell’intero gruppo (dalla caduta del valore del titolo ai dati negativi di bilancio, v. il consolidato del 1993 con perdita ed aumento delle passività a breve) senza che sia stata provata una percezione isolata della operatività della società attrice siccome scissa dallo stabile inserimento nel gruppo Fochi. Tali elementi, assunti nella loro globalità e progressiva accentuazione, convincono alla ricostruzione positiva del requisito soggettivo di cui all’art.67 co.2 l.f., apparendo ragionevole la congettura della conseguita consapevolezza, presso la convenuta, dello stato di crisi finanziaria della società attrice. Esso è infatti desumibile dalla diffusività di elementi esterni (dunque indici di allarme cognitivo ordinario in ogni imprenditore per un elementare monitoraggio del buon fine dei pagamenti attesi e dell’affidamento commerciale) e dall’andamento concretamente assunto dal rapporto fra le parti originarie (cui è estranea – anche perché ne è provato l’esatto contrario – una connotazione di legame commerciale episodico e casuale, evidenziandosi invece una relazione progressivamente contrassegnata da un progressivo rientro, cui di fatto è stata  demandata la cura dell’incasso del credito): tali fattori integrano, nella prova per presunzioni, una coordinata disamina valutativa delle circostanze richiamate, assicurano una visione critica e sintetica dei singoli fatti quali rispettivi indicatori, palesano una coerenza d’insieme sia verso la situazione della crisi strutturale e non reversibile della società Leucci Industriale spa, sia quanto alle modalità di percezione della stessa in capo all’accipiens (indistintamente rilevando il gruppo come tale), sia per la situazione economica generale in cui il singolo rapporto è stato dedotto.

16.          La conseguente dichiarazione di inefficacia fonda la condanna alla restituzione monetaria, in aggiunta agli interessi legali a far data dalla domanda.

17.          La soccombenza di parte convenuta giustifica infine la condanna alle spese di lite, liquidate come meglio descritto in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Leucci Industriale s.p.a. in a.str., in persona  dei commissari liquidatori, contro Banca ****  spa (già incorporante di Banca *** – Credito Popolare *** spa), in persona del legale rappresentante pro tempore , in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni altra istanza e domanda rigettate, così provvede :

1.  dichiara inefficace verso la procedura attrice e così revoca ex art.67 co.2 l.f. i pagamenti effettuati in favore della convenuta dal 28 febbraio 1995 all’11 luglio 1995 e comunque entro l’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza per Euro   213.430,98 (corrispondente a Lit. 413.260.000);

2.  Condanna la società convenuta alla restituzione, in favore della società in procedura concorsuale attrice, della complessiva somma – così convertita – di Euro 213.430,98 (corrispondente a Lit. 413.260.000), con interessi al saggio legale dalla domanda al saldo;

3.  condanna la convenuta alla rifusione in favore della attrice società in procedura concorsuale delle spese di lite che liquida in Euro 20.700,00, di cui Euro 3.200,00 per spese, Euro 4.500,00 per competenze ed Euro 13.000,00 per onorari, oltre accessori fiscali e previdenziali di legge.

Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della IV^ sezione civile del Tribunale, il 8 maggio  2007.

il Giudice estensore dott. Massimo  Ferro

depositato in Cancelleria il giorno 23 maggio 2007  in unica stesura dell’originale definitivo dal giudice estensore